Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12551 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. II, 12/05/2021, (ud. 22/09/2020, dep. 12/05/2021), n.12551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20140/2019 proposto da:

S.M., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato LEONARDO BARDI,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 854 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositato il 25/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/09/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 21 maggio 2018 rigettava l’opposizione proposta dal ricorrente avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione territoriale.

Avverso tale ordinanza proponeva appello S.M. e la Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 854 del 25 febbraio 2019 rigettava il gravame.

In particolare, i giudici di appello hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal ricorrente (essere stato emarginato nel proprio Paese d’origine a seguito della morte del padre in conseguenza del virus Ebola, essendo già orfano di madre, essendo quindi costretto ad emigrare per le precarie condizioni di vita), non legittimava il riconoscimento dello stato di rifugiato trattandosi di immigrazione legata a ragioni di carattere economico; che nemmeno ricorrevano le condizioni per la protezione sussidiaria, atteso che la Guinea Conakry, paese del ricorrente, non aveva una situazione socio-politica tale da giustificare il ricorso alla protezione sussidiaria, essendo anche venuta meno la fase di emergenza legata all’epidemia del virus Ebola.

Ancora, gli esiti delle recenti elezioni politiche erano stati validati dalla Corte Costituzionale, avviandosi il paese ad una normalizzazione politico istituzionale.

Inoltre, non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero o situazioni di significativo inserimento nel territorio italiano.

Avverso il suddetto decreto, S.M. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, nonchè con il secondo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di fatto decisivo rappresentato dalla situazione di vulnerabilità personale, in relazione alla delicata situazione politico-sociale in cui tuttora versa la Guinea Conakry.

Le censure sono infondate.

La Corte milanese, proprio partendo dal tenore delle dichiarazioni rese dal ricorrente, ha rilevato che le uniche ragioni che lo avevano indotto ad abbandonare il proprio Paese erano di carattere economico, escludendo che la situazione di emarginazione nella quale si era venuto a trovare dopo la morte del padre ed ancor prima della madre, potessero legittimare il riconoscimento della condizione di rifugiato e della protezione sussidiaria.

Correttamente è stato evidenziato che mancava anche il pericolo di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e ciò perchè, una volta esclusa ogni potenzialità di persecuzione nei suoi confronti in caso di rientro in Guinea, tale ultimo Paese non rientrava tra quelli oggetto di direttiva di non rimpatrio dell’UNHCR, essendosi evidenziato, anche con specifico riferimento alla condizione sanitaria, cui si fa richiamo in ricorso, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva annunciato a far data dal 1 giugno 2016 la fine dell’emergenza Ebola, aggiungendosi poi che a seguito delle ultime elezioni, i cui esiti erano stati convalidati dalla suprema magistratura locale, si stava andando verso una normalizzazione politico-istituzionale.

La Corte d’Appello ha quindi motivatamente escluso – facendo riferimento alle fonti internazionali – che la zona di provenienza del ricorrente sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.

Ha parimenti disatteso, alla stregua delle medesime fonti e delle allegazioni del richiedente, la sussistenza dei profili di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Ne consegue che il ricorso è sostanzialmente volto ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità.

A tanto deve soltanto aggiungersi che del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 30105 del 2018).

In relazione alla invocata protezione umanitaria (alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis – cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 – di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6), inoltre, la corrispondente censura non deduce alcuna situazione di vulnerabilità non rilevata dal giudice di merito: vulnerabilità che deve riguardare la vicenda personale del richiedente, diversamente, infatti, verrebbe in rilievo non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti.

In definitiva, quanto oggi esposto dal ricorrente, argomentando le censure in esame, si risolve, sostanzialmente – benchè formalmente prospettate come vizio di motivazionale e/o di violazione di legge – in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dal già menzionato tribunale: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria” (nella specie la sentenza ha rilevato che il richiedente, sebbene vivesse in Italia da tre anni, non aveva appreso la lingua italiana, nè risultava avviato in maniera stabile all’attività lavorativa, non fruendo autonomamente di alloggio, sicchè doveva escludersi la sua concreta integrazione in Italia, risultando anzi gravato da precedenti di polizia in materia di stupefacenti).

Nè infine appare pertinente il richiamo a pag. 6 del ricorso alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Infatti, si sostiene che il giudice designato non ha proceduto ad una nuova audizione del ricorrente, ritenendo sufficiente la trascrizione delle dichiarazioni rese violando la norma che invece la impone.

La deduzione è infondata.

Va richiamato l’orientamento per cui (Cass. n. 15954/2020) se è pur vero che è nullo, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11, il provvedimento del giudice di merito che, in assenza della videoregistrazione del colloquio del richiedente innanzi alla Commissione territoriale, fissi l’udienza di comparizione escludendo, in via preventiva, la necessità di procedere all’audizione del cittadino straniero, tuttavia, in tal caso è onere di quest’ultimo procedere all’immediata contestazione della nullità, ex art. 157 c.p.c., comma 2, dovendosi, in difetto, ritenere integrata la sanatoria del vizio, sicchè avuto riguardo alla fattispecie, non emerge la prova nè risulta allegato che vi sia stata un’immediata contestazione da parte del ricorrente.

Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 8931/2020) nel procedimento, in grado di appello, relativo a una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale del richiedente, poichè l’obbligo di sentire le parti, desumibile dal rinvio operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 (testo previgente al D.Lgs. n. 150 del 2011), non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice di valutarne la specifica rilevanza, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale, che risulti manifestamente infondata, sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo di causa e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa.

Infatti, è stato precisato che (Cass. n. 21584/2020) il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incogruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile.

Il ricorso risulta del tutto silente sul punto ed aspecifico, mancando qualsivoglia allegazione in merito alle circostanze sulle quali la parte intendeva fornire chiarimenti in sede di audizione.

Per tutto quanto sopra esposto, va rigettato il ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore del Ministero delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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