Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12550 del 21/05/2010
Cassazione civile sez. lav., 21/05/2010, (ud. 23/04/2010, dep. 21/05/2010), n.12550
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 17816-2009 proposto da:
D.S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI
ANTONELLI 50, presso lo studio dell’avvocato DE MARINIS NICOLA, che
lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.
BERTOLONI 44/46, presso lo studio dell’avvocato TORELLI GUIDO, che la
rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza non definitiva n. 7668/2008 della CORTE D’APPELLO
di ROMA del 30/10/08, depositata il 18/02/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO;
udito l’Avvocato De Marinis Nicola, difensore del ricorrente che si
riporta ai motivi scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO che nulla
osserva rispetto alla relazione scritta.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Con ricorso del 13.2.2004 M.A., premesso di aver lavorato alle dipendenze di D.S.V. in qualità di (OMISSIS) dal dicembre 1971 al maggio 2003, chiedeva al tribunale di Latina la condanna del datore di lavoro al pagamento di differenze retributive e accessori. Nella resistenza del convenuto, il Tribunale, escussi numerosi testi, accoglieva il ricorso, accertava l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e condannava il convenuto al pagamento della complessiva somma di Euro 134.716,55 a titolo di differenze retributive. La Corte di Appello di Roma, con sentenza non definitiva n. 7668 del 2008, rigettava il motivo di appello concernente la riconosciuta natura subordinata del rapporto e disponeva con separata ordinanza per il prosieguo del giudizio.
Avverso quest’ultima sentenza non definitiva D.S.V. ha proposto ricorso per cassazione con un motivo con il quale, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizi di motivazione, lamenta che il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciare sulle allegazioni di parte appellante relativamente alla valutazione data dal primo giudice ad alcune deposizioni testimoniali e avrebbe erroneamente valutato le testimonianze raccolte per quanto concerne la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.
L’intimata ha resistito con controricorso.
Il ricorso è manifestamente infondato. Premesso che la violazione dell’art. 112 c.p.c. è ravvisabile nel caso di omessa pronuncia sulla domanda, non già nel caso di mancata controdeduzione sulle censure formulate dall’appellante alla valutazione delle testimonianze fatta dal giudice di primo grado, per il resto il Collegio non può che richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui la valutazione delle prove testimoniali e documentali spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo se detta valutazione non è sorretta da motivazione congrua ovvero se la motivazione presenti vizi logici e giuridici.
Con il ricorso per cassazione, infatti, non è possibile chiedere al giudice di legittimità una diversa valutazione delle prove, rispetto a quella ritenuta dal giudice di merito, ma soltanto indicare i vizi logici, le contraddizioni e le lacune della motivazione che non consentono di ricostruire l’iter logico che sorregge la decisione (cfr. tra le tante Cass. 6064/2008, n. 17076/2007).
La deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, non essendo consentito al giudice di legittimità di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione degli atti di causa (cfr.
tra le tante Cass. n. 18214/2006, n. 3436/2006).
Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal giudice di appello sono motivate, ancorchè in modo sintetico, e l’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione. Per contro, le censure mosse dal ricorrente si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal giudice di merito in senso contrario alle aspettative del medesimo ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.
Per le suesposte considerazioni il ricorso, dunque, deve essere respinto con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese del giudizio di cassazione liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro trenta per esborsi ed in Euro quattromila per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 23 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010