Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12550 del 09/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 09/06/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 09/06/2011), n.12550

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO DEI

COLLI ALBANI 14, presso lo studio dell’avvocato PERRI NATALE,

rappresentata e difesa dall’avvocato PARISE ROBERTO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati DE ROSE

EMANUELE, TADRIS PATRIZIA, FABIANI GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1551/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 04/09/2007 R.G.N. 120/06 + altri;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato TRIOLO VINCENZO per delega TADRIS PATRIZIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 14/6 – 4/9/07 la Corte d’Appello di Catanzaro rigettò l’appello proposto da F.A. e F. M. avverso le sentenze nn. 711/05 e 664/05 del giudice dei lavoro del Tribunale di Rossano, con le quali era stata respinta la loro domanda finalizzata alla riliquidazione dell’indennità di disoccupazione straordinaria chiesta nella loro qualità di braccianti agricole per il periodo 1987-1993, dopo aver rilevato che non era stata fornita la prova dell’effettivo godimento dell’indennità di disoccupazione nell’originario importo che avrebbe dovuto essere rivalutato, a nulla valendo la generica richiesta di ordinare all’Inps l’esibizione della documentazione.

Propone ricorso in cassazione la sola F.A., la quale affida l’impugnazione a due motivi di censura. Resiste con controricorso l’Inps.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo F.A. denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 2697 c.c. e degli artt. 115-116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e con riguardo alla presunta erroneità della decisione per la quale non avrebbe provato l’effettivo godimento dell’indennità di disoccupazione nell’originario importo di L. 800 giornaliere, oggetto della richiesta di adeguamento, adducendo di aver allegato agli atti del giudizio copia della disposizione di pagamento effettuata dall’Inps in data 3/12/93, inerente l’erogazione dell’indennità di disoccupazione agricola relativa al 1992, per le giornate eccedenti il trattamento speciale, nell’importo di L. 800 giornaliere.

2. Col secondo motivo la ricorrente si duole della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia con riferimento all’art. 2697 c.c. e agli artt. 115 -116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, deducendo che la Corte d’appello aveva omesso di valutare le risultanze probatorie documentali acquisite agli atti, tra le quali la copia del cedolino di pagamento dell’indennità di disoccupazione agricola del 23/12/93, dalla quale risultava la percezione dell’importo di L. 800 giornaliere per le giornate di disoccupazione eccedenti il trattamento speciale. Il ricorso è infondato.

Anzitutto, occorre rilevare che per quel che concerne la lamentata omessa disamina del cedolino di pagamento del 23/12/93, dal quale si sarebbe ricavata la prova della percezione dell’indennità di disoccupazione agricola nella misura di L. 800 giornaliere, non vi è nemmeno l’indicazione di tale documento nell’indice degli atti allegati al presente ricorso, in evidente spregio al principio dell’autosufficienza che deve contraddistinguere il giudizio di legittimità.

Si è, infatti, statuito (Cass. sez. 3, Ordinanza n. 15628 del 3/7/2009) che “in tema di ricorso per cassazione, il soddisfacimento del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, postula che nel detto ricorso sia specificatamente indicato l’atto su cui esso si fonda, precisandosi al riguardo che incombe sul ricorrente l’onere di indicare nel ricorso non solo il contenuto di tale atto, trascrivendolo o riassumendolo, ma anche in quale sede processuale lo stesso risulta prodotto.

L’inammissibilità prevista dalla richiamata norma, in caso di violazione di tale duplice onere, non può ritenersi superabile qualora le predette indicazioni siano contenute in altri atti, posto che la previsione di tale sanzione esclude che possa utilizzarsi il principio, applicabile alla sanzione della nullità, del cosiddetto raggiungimento dello scopo, sicchè solo il ricorso può assolvere alla funzione prevista dalla suddetta norma ed il suo contenuto necessario è preordinato a tutelare la garanzia dello svolgimento della difesa dell’intimato, che proprio con il ricorso è posto in condizione di sapere cosa e dove è stato prodotto in sede di legittimità. Nella specie la S.C. ha ritenuto irrilevante che l’indicazione specifica dell’atto su cui si fondava il ricorso, ed in particolare della sede dove lo stesso era esaminabile, fosse contenuta nella nota di deposito e di iscrizione a ruolo, prescritta per il funzionamento della cancelleria civile della Corte di cassazione ma non normativamente prevista – a differenza della nota di iscrizione a ruolo di cui all’art. 168 cod. proc. civ. e artt. 71 e 72 disp. att. cod. proc. civ. per il giudizio dinanzi al tribunale, a cui fa riferimento anche il D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, art. 11 -, la quale è indirizzata al cancelliere e non ai giudice di legittimità ed ha il solo scopo di realizzare il contatto tra l’ufficio giudiziario Corte di cassazione e la parte ricorrente e di enunciare cosa si produce con il ricorso).” Si è, altresì, precisato (Cass. Sez. 3 n. 18506 del 25/8/2006) che “qualora il ricorrente, in sede di illegittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, ai fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione”.

D’altra parte, anche puntandosi l’attenzione sull’altro documento indicato al n. 5 dell’indice del presente ricorso, vale a dire la copia della disposizione di pagamento del 3/12/93, della quale non è però riportato il contenuto per esteso nel corpo del ricorso, ha ragione la difesa dell’ente previdenziale allorquando sostiene che se, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello in merito alla affermata insussistenza di prove documentali della percezione dell’esatto importo dell’indennità della quale si pretendeva la rivalutazione, tale organo giudicante avesse, invece, deciso senza aver visto dei documenti esistenti in atti, come sostenuto dalla odierna ricorrente, si verserebbe, semmai, nella diversa ipotesi di revocazione della stessa decisione e non in quella denunziata della violazione della norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 che riguarda i vizi motivazionali della sentenza.

Invero, si è già avuto modo di stabilire (Cass. Sez. 3 n. 15672 del 27/7/2005) che “il vizio di motivazione su un punto decisivo, denunziabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, postula che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo in modo che l’omissione venga a risolversi in un implicito apprezzamento negativo sulla rilevanza del fatto stesso, ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico. Qualora, invece, l’omessa valutazione dipenda da una falsa percezione della realtà, nel senso che il giudice ritiene per una svista, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, inesistente un fatto o un documento, la cui esistenza risulti incontestabilmente accertata dagli stessi atti di causa, è configurabile un errore di fatto deducibile esclusivamente con l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4”.

D’altra parte, se i predetti documenti fossero stati realmente prodotti nei precedenti gradi di giudizio non si spiegherebbe il motivo per il quale la ricorrente si vide indotta a chiedere al primo giudice l’esibizione della documentazione all’Inps, così come si rileva nella parte della motivazione della sentenza impugnata in cui si evidenzia l’inidoneità di un tale mezzo istruttorio ai fini del superamento della accertata carenza probatoria.

In definitiva, le censure sopra menzionate non intaccano la validità della “ratio decidendi” della sentenza impugnata che è incentrata sull’argomentazione assolutamente logica, come tale condivisibile, che l’onere gravante sulla ricorrente non poteva ritenersi assolto dalla produzione di un prospetto nel quale erano indicati gli anni di contribuzione utili ai fini della pensione, giacchè anche nel caso in cui fosse stato indicato un periodo di disoccupazione in relazione agli anni per i quali era stata chiesta la riliquidazione dell’indennità in esame, si trattava, pur sempre, di una indicazione valida solo ai fini della contribuzione e non anche della prova della effettiva percezione dell’indennità stessa nella misura indicata.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese di questo giudizio a norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla L. n. 326 del 2003, atteso che il procedimento di primo grado fu incardinato in epoca anteriore all’entrata in vigore di quest’ultima legge.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla per e spese.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2011

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