Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12549 del 09/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 09/06/2011, (ud. 22/02/2011, dep. 09/06/2011), n.12549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE

DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato PELLICANO’

ANTONINO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro in carica,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 399/2009 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 01/04/2009 R.G.N. 442/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/02/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato PELLICANO’ ANTONINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per: in via principale rimessione

atti alle Sezioni Unite, in subordine accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con la sentenza n, 399 del 2009, depositata il 1 aprile 2009, rigettava l’impugnazione proposta da C.A.M., nei confronti del Ministero dell’Interno, in ordine alla sentenza n. 2038/01 emessa dal Giudice del lavoro di Reggio Calabria.

2. In primo grado, la C. aveva chiesto il ripristino della corresponsione dell’assegno mensile di invalidità civile del quale era già titolare ma che le era stato revocato a seguito di revisione eseguita il 29 novembre 1996. La domanda veniva rigettata per non avere la stessa provato di possedere i requisiti reddituale e dell’incollocamento al lavoro L. n. 118 del 1971, ex art. 13 necessari ai fini del riconoscimento dell’assegno mensile di invalidità civile.

3. Ricorre la C. per la cassazione della suddetta sentenza di appello, prospettando quattro motivi di ricorso.

4. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

5. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, va disattesa, ratione temporis (la C. proponeva ricorso al Pretore di Reggio Calabria il 17 febbraio 1998, come dedotto in ricorso e non contestato dal Ministero nel controricorso), l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dal Ministero dell’Interno in ragione del D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 130.

1.1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. in relazione alla L. n. 118 del 1973, art. 13; motivazione erronea, contraddittoria ed illogica circa un punto della controversia decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

In relazione allo stesso è stato proposto il seguente articolato quesito di diritto:

se, nel giudizio avente ad oggetto la domanda di ripristino di una prestazione assistenziale, quale l’assegno mensile di invalidità, concesso in prima istanza e poi revocato per sopravvenuta carenza del requisito sanitario, il Giudice di merito debba accertare o meno d’ufficio anche la sussistenza dei requisiti reddituale e di incollocamento a lavoro, ancorchè non contestati, ed in caso affermativo, se il Giudice debba sollecitare o meno la parte richiedente ad integrare, con apposita certificazione, l’allegazione della persistenza dei requisiti medesimi;

se, nel giudizio avente ad oggetto la domanda di ripristino di una prestazione assistenziale, quale l’assegno mensile di invalidità, concesso in prima istanza e poi revocato per sopravvenuta carenza del requisito sanitario, sulla parte ricorrente grava o meno l’onere di dimostrare anche l’esistenza dei requisiti reddituale e di incollocamento al lavoro, ancorchè non contestati, o se, viceversa, tale accertamento rientri eventualmente nei poteri – doveri del Giudice di cui all’art. 437 c.p.c..

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, artt. 13 e 21 in combinato disposto con l’art. 149 disp. att. c.p.c.; vizio di motivazione;

erroneità, illogicità e contraddittorietà manifeste (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

In ordine allo stesso è formulato il seguente quesito di diritto:

se, nel giudizio avente ad oggetto la domanda di ripristino di una prestazione assistenziale, quale l’assegno mensile di invalidità, concesso in prima istanza e poi revocato per sopravvenuta carenza dei requisito sanitario, la “permanenza” dello stato di invalidità presuppone o meno la permanenza anche dei requisiti reddituale e dell’incollocamento a lavoro, e rende non necessario un ulteriore accertamento anche di tali requisiti, dovendo gli stessi, in mancanza di contestazione e di prova contraria, ritenersi sussistenti.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, artt. 13 e 21 in combinato disposto con l’art. 2727 c.c.; carenza assoluta di motivazione;

erroneità, contraddittorietà ed illogicità manifeste (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). In merito allo stesso è stato articolato il seguente articolato quesito di diritto: se, nel giudizio avente ad oggetto la domanda di ripristino di una prestazione assistenziale, quale l’assegno mensile di invalidità, concesso in prima istanza e poi revocato per sopravvenuta carenza del requisito sanitario, la prova della sussistenza dei requisiti reddituale e di incollocamento al lavoro di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 13 e 21 possa essere desunta da presunzioni ex art. 2727 c.c.;

se, nel giudizio avente ad oggetto la domanda di ripristino di una prestazione assistenziale, quale l’assegno mensile di invalidità, concesso in prima istanza e poi revocato per sopravvenuta carenza del requisito sanitario, costituiscano o meno presunzioni semplici sulle quali il Giudice possa formare il proprio convincimento sulla sussistenza del possesso in capo alla parte richiedente dei requisiti reddituale e di incollocamento a lavoro, la tipologia del giudizio, il comportamento della controparte e la particolarità degli stessi requisiti in connessione con l’ulteriore materiale probatorio acquisito al giudizio quale appunto l’accertamento del mancato riacquisto di una sia pur residua capacità lavorativa da parte della richiedente, nonchè l’età della stessa in quanto invalida ultracinquantacinquenne.

4. Con il quarto motivo di diritto è prospettato vizio di motivazione circa un punto della controversia decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Ai fini dell’attribuzione dell’assegno mensile di invalidità, la incollocazione al lavoro, che rappresenta un elemento costitutivo del diritto alla prestazione, assume due diversi significati, rispettivamente, per gli invalidi infracinquantacinquenni e per gli invalidi che abbiano superato i cinquantacinque anni di età, ma non ancora i sessantacinque, limite preclusivo per beneficiare della prestazione.

Con riguardo ai primi, deduce la ricorrente, per incollocato al lavoro deve intendersi colui che non abbia trovato un’occupazione compatibile con le sue condizioni psicofisiche, essendo iscritto nelle liste di collocamento obbligatorio; con riferimento, invece, agli invalidi ultracinquantacinquenni e infrasessantacinquenni, che non hanno diritto all’iscrizione nelle suddette liste, l’incollocazione al lavoro deve essere intesa come stato di effettiva disoccupazione o non occupazione ricollegato ad una riduzione di capacità di lavoro, che non consente il reperimento di un’occupazione adatta alla ridotta capacità lavorativa dell’invalido, la cui prova può essere fornita in giudizio anche mediante presunzioni, senza che sia necessaria alcuna iscrizione o domanda di iscrizione nelle liste del collocamento ordinario.

Tale indirizzo giurisprudenziale (Cass. n. 28852 del 2008), ad avviso della ricorrente, è stato disatteso dal giudice di appello, benchè lo stato di incollocazione al lavoro, inteso come stato di disoccupazione o non occupazione in conseguenza della capacità lavorativa residua dell’assicurato, era chiaro e manifesto.

5. In ragione della stretta connessione, i suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente. Gli stessi sono fondati per quanto di ragione.

5.1.Secondo l’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, nel giudizio promosso dall’assistibile per il ripristino della prestazione assistenziale revocata, deve essere verificata la permanenza di tutti i requisiti ex lege richiesti, non già soltanto di quelli la cui sopravvenuta insussistenza sia posta a fondamento della revoca, giacchè la domanda di ripristino della prestazione, al pari di quelle concernenti il diritto ad ottenere per la prima volta prestazioni negate in sede amministrativa, non da luogo ad un’impugnativa del provvedimento amministrativo di revoca, ma riguarda il diritto del cittadino ad ottenere la tutela che la legge gli accorda; conseguentemente, il giudice è chiamato ad accertare se sussista, o meno, il diritto alla prestazione, verificandone le condizioni di esistenza alla stregua dei requisiti richiesti ex lege, con riguardo alla legislazione vigente al momento della nuova domanda, trattandosi del riconoscimento di un nuovo diritto del tutto diverso, ancorchè identico nel contenuto, da quello estinto per revoca (cfr. Cass. n. 392 del 2009, n.3404 del 2006).

5.2. Va, altresì, ricordato, che secondo la giurisprudenza consolidata la prova dell’incollocamento al lavoro e del reddito per beneficiare delle prestazioni di invalidità civile non può essere data mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, essendo questa rilevante nei soli rapporti amministrativi ed invece priva di efficacia probatoria in sede giurisdizionale (Cass., S.U., n. 5167 del 2003). Si ritiene tale impostazione valida anche ai fini dell’applicazione del nuovo testo della L. n. 118 del 1971, art. 13, in quanto la previsione da parte di detta disposizione (secondo cui l’assegno di invalidità civile è concesso, nel concorso degli altri requisiti, “agli invalidi civili … che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste”) di una dichiarazione sostitutiva di tipo autocertificatorio da rendere annualmente all’Inps, circa il mancato svolgimento di attività lavorativa, non evidenzia deroga circa la rilevanza di dichiarazioni di tale genere solo nell’ambito amministrativo, restando impregiudicati i principi sulla prova operanti nei giudizi civili, nei quali peraltro, in difetto di specifici limiti normativi, è ammessa anche la prova per presunzioni (Cass. n. 25800 del 2010).

“Tuttavia, laddove manchi una contestazione da parte dell’amministrazione in ordine all’ammontare del reddito, la prova del requisito reddituale non è richiesta, in quanto il requisito non contestato non è compreso nel novero dei fatti costitutivi della pretesa che la parte deve dimostrare, cosicchè il giudice può ritenerlo sussistente a prescindere da una eventuale autocertificazione” (Cass. n. 7746 del 2005).

6. Tanto premesso, occorre rilevare che la Corte d’Appello ha rigettato l’impugnazione in quanto la C. non ha fornito alcuna dimostrazione della sussistenza (nè nel 1997 nè in epoca succcessiva) del requisito dell’incollocazione al lavoro, nè di quello reddituale (requisiti che la Corte afferma contestati sia nel primo grado del giudizio che in questa fase di gravame, dal Ministero dell’Interno), inidonee essendo all’uopo, le prodotte dichiarazioni sostitutive di notorietà.

Il Giudice d’Appello, pertanto, non chiarisce il tenore della suddetta contestazione, circostanza non priva di rilievo ai fini della valutazione probatoria della documentazione prodotta dalla ricorrente.

7. Consegue da quanto sinora detto che la sentenza impugnata risulta viziata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè basata su una motivazione insufficiente e incongrua. Ed invero, come è stato già esposto, la sentenza impugnata non ha precisato se sussista o meno la contestazione dell’atto di autocertificazione (e quindi del requisito socio-economico oggetto di tale atto). Contestazione questa che – da valutarsi alla stregua del dictum di cui alle Sezioni unite di questa Corte 17 giugno 2004, n. 11353 – può configurarsi solo in presenza di dati fattuali esplicitati in modo esaustivo negli atti introduttivi del giudizio e che deve essere precisa e specifica, sicchè non è configurarle una “non contestazione” con gli effetti da essa scaturenti – a fronte di dati fattuali non allegati e precisati dalla controparte (cfr. in tali sensi anche Cass. n. 7746 del 2005). Per di più la decisione del giudice d’appello appare non avere adeguatamente valutato le risultanze processuali alla stregua dei principi tutti sopra enunciati, compresi, quindi, anche quelli fissati dalla già ricordata sentenza n. 11353 del 2004 con riguardo all’esercizio dei poteri officiosi del giudice del gravame ex art. 437 c.p.c..

8. Per concludere la sentenza impugnata va cassatàalla stregua dell’art. 384 c.p.c., comma 1, essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va rimessa ad un nuovo giudice d’appello, che si designa nella Corte d’Appello di Messina, che procederà ad un nuovo esame della controversia in applicazione di quanto in precedenza esposto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e per l’effetto cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Messina anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2011

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