Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12548 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 25/06/2020), n.12548

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21171-2018 proposto da:

B.R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO COPPOLA, IPPOLITA

RIVA;

– ricorrente –

contro

FRAC SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIANFRANCO FOCHERINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 200/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA

MARIA LEONE.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 200/2018 la Corte di appello di Brescia aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto da B.R.G. avverso la sentenza con la quale il tribunale di Brescia, in sede di procedimento L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 47 e segg., aveva rigettato l’opposizione proposta dallo stesso B. avverso l’ordinanza che rigettava la domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento a lui intimato dalla Faac spa.

La Corte territoriale aveva ritenuto che, trattandosi di sentenza emessa nell’ambito del procedimento L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 47 e segg., il reclamo avverso la stessa avrebbe dovuto essere proposto nei termini specifici previsti dalla normativa in questione e quindi nei 30 giorni dalla sua comunicazione. Il reclamo, proposto invece oltre tale termine era quindi inammissibile.

Avverso detta decisione il B. aveva proposto ricorso affidato a un unico articolato motivo cui resisteva la Faac spa con controricorso. Era depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Il B. depositava successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1) Con unico articolato motivo il ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 c.p.c., perchè leso il diritto alla difesa ed al contraddittorio di cui all’art. 101 Cost., essendo stata omessa la disapplicazione del disposto della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58. Sostiene il ricorrente la illegittimità costituzionale di detta norma per violazione degli artt. 3,24,111 Cost, dell’art. art. 7 ,CEDU per il tramite della norma interposta di cui all’art. 117 Cost.

In particolare rileva che la mancata applicazione delle norme ordinarie di cui all’art. 433 c.p.c., abbia sacrificato il diritto di difesa perchè applicato il termine più breve di 30 giorni, e ciò anche alla luce del diverso trattamento invece previsto dalla disciplina del D.Lgs. n. 23 del 2015, ugualmente diretta a regolare controversie in materia di licenziamento.

Il motivo risulta infondato.

Deve premettersi in generale che questa Corte ha in più occasioni ritenuto che “Dall’adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità, nè la stessa può essere dedotta quale motivo di impugnazione, a meno che l’errore di rito non abbia inciso sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o non abbia, in generale, cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte” (Cass. n. 19136/2005). Ha ulteriormente chiarito che “L’erronea applicazione delle regole del codice di rito non può pregiudicare o aggravare in modo non proporzionato l’accertamento del diritto, in quanto la pronuncia di merito è garanzia di effettività della tutela ex art. 24 Cost., inoltre l’art. 111 Cost. assegna rilievo costituzionale al principio di ragionevole durata del processo al pari di quello del diritto di difesa, sicchè il contemperamento dei due principi porta ad escludere la correttezza di interpretazioni che prevedano la regressione del processo per il mero rilievo della mancata realizzazione di determinate formalità, la cui omissione non abbia in concreto comportato limitazioni delle garanzie difensive” (Cass. n. 8422/2018).

I principi sopra richiamati chiariscono che l’erronea applicazione di regole processuali assume rilievo solo nel caso in cui ci siano concreti effetti negativi e lesivi di diritti delle parti interessate. Solo in tali ipotesi, e dunque in caso di dimostrato ed effettivo effetto lesivo di un diritto, l’errata applicazione assume valore, altrimenti, si è in presenza di un mero errore formale privo di conseguenze negative.

Fatta tale premessa, che già avrebbe fatto conseguire un onere di specifica allegazione circa gli eventuali effetti negativi subiti, deve peraltro escludersi che nel caso di specie si sia in presenza di un errore di rito, essendo stata osservata la disposizione specifica prevista dalla disciplina vigente, ratione temporis, in materia di impugnativa di licenziamento.

La L. n. 92 del 2012, art. 1 comma 58, prevede che “contro la sentenza che decide sul ricorso è ammesso reclamo davanti alla corte d’appello. Il reclamo si propone con ricorso da depositare, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore”. Si tratta di una previsione speciale inserita in una articolata disciplina processuale che ha trovato ragione nella dichiarata volontà legislativa di “accelerare la definizione” delle controversie in tema di licenziamento (così la L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 1, lett. c)).

Questa Corte ha a riguardo statuito che “come si desume da Cass. n. 14098 del 2016, la L. n. 92 del 2012 ha introdotto un nuovo rito speciale, la cui disciplina deve essere osservata senza possibilità di deroga dai principi generali dell’ordinamento, salvo necessità di integrazione del rito nel caso di lacuna del dettato normativo” (Cass. n. 20749/2018; conf. Cass. n. 83/2019; Cass. n. 32263/2019). Il termine di trenta giorni in questione, stante la specialità del rito e la finalità cui era destinato, risulta quindi coerente con l’impianto processuale adottato dal legislatore e parte significativa dello stesso; conseguentemente non violativo delle disposizioni del processo del lavoro ordinario e neppure del diritto di difesa costituzionalmente garantito. A tale ultimo proposito risulta infondata la questione di legittimità costituzionale – per asserita violazione degli artt. 24 e 111 Cost. in relazione al ridotto termine processuale in valutazione, in quanto rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite imposto dall’art. 3 Cost. all’adozione di soluzioni obiettivamente irrazionali, la costruzione dei modelli processuali (Cass. n. 24088/2017).

Nel caso in esame la scelta di accelerazione della durata del processo, costituente il perno della riforma di cui è parte la disposizione oggetto di critica, risulta coerente con i principi del giusto processo, che trova una ragion d’essere anche nel contenimento dei tempi di soluzione delle controversie, e quindi razionale nella indicazione di uno spazio temporale comunque idoneo a consentire adeguata impostazione di ragioni difensive, peraltro facilmente emergenti dall’articolata scansione di più fasi processuali di merito.

Nessun contrasto e/o contraddizione è peraltro evincibile dalla successiva disciplina intervenuta con il D.Lgs. n. 23 del 2015, in quanto, se pur la stessa ha abolito il rito speciale in questione, riportando la impugnativa dei licenziamenti nelle regole del processo del lavoro ordinario, ciò ha fatto solo con riferimento alle controversie, e quindi alle impugnative dei licenziamenti, relative a contratti di lavoro stipulati successivamente alla sua entrata in vigore (marzo 2015). Il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.700,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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