Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12548 del 17/06/2016

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2016, (ud. 15/03/2016, dep. 17/06/2016), n.12548

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22212-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

URAI SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA OTTAVIANO 42, presso lo

studio dell’avvocato BRUNO LO GIUDICE, rappresentato e difeso dagli

avvocati FABIOLA DEL TORCHIO e PATRIZIO TUMIETTO giusta delega in

calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 48/2008 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata l’11/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2016 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GENTILI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato DEL TORCHIO che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 48/35/08, depositata il 11.07.2008 e non notificata, in parziale riforma della sentenza di primo grado, annullava la ripresa a tassazione ai fini IRAP ed IRPEG, per tutte le annualità in contestazione (2000, 2001, 2002 e 2003), degli interessi passivi conseguenti al prestito obbligazionario emesso dalla società URAI SPA per un ammontare annuo di Euro 151.063,64, oggetto degli avvisi di accertamento notificati il 21.12.2005, a seguito del processo verbale di constatazione notificato l’11.03.2005 sulla scorta della verifica fiscale eseguita dai funzionari dell’Agenzia delle entrate.

2. La ripresa a tassazione degli interessi passivi su obbligazioni veniva motivata ripercorrendo per grandi linee alcune vicende societarie che avevano visto prima delle operazioni sulle riserve straordinarie, e segnatamente un aumento di capitale e la distribuzione della maggior parte delle stesse tra i soci a titolo di utili, e poi l’emissione di un prestito obbligazionario di importo pari agli utili distribuiti, sottoscritto interamente dal socio di maggioranza.

3. In merito alla motivazione dichiarata dalla società per la emissione del prestito, segnatamente la necessità “di un congruo finanziamento in vista degli sviluppi futuri dell’azienda e dei relativi programmi, per la cui realizzazione necessiterà una notevole liquidità”, l’Ufficio aveva chiesto chiarimenti, che non erano stati forniti, circa il programma di sviluppo che giustificasse in modo specifico tale prestito.

L’Ufficio aveva, quindi, ritenuto la assenza di valide ragioni economiche idonee a legittimare le suddette operazioni considerate unitariamente, ed aveva accertato l’indebita deduzione, a titolo di interessi passivi, delle somme in oggetto.

4. La Commissione Tributaria Provinciale, adita dalla società, previa riunione, respingeva i ricorsi, ritenendo che la complessiva operazione avesse avuto lo scopo di sottrarre all’imposizione una parte di reddito, in quanto non trovava giustificazione in alcun piano di sviluppo ed aveva comportato la corresponsione al socio di un interesse annuo commisurato al tasso ufficiale di sconto in corso al momento dell’emissione, maggiorato di tre punti.

5. Nel riformare la decisione sul punto, il giudice di appello affermava che mancava nell’ordinamento italiano una norma generica antielusiva e che l’operazione in esame non era riconducibile ad alcuna delle fattispecie previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis. Sosteneva quindi che, nel caso in esame, non era invocabile la disciplina comunitaria e che – contrariamente a quanto ritenuto in primo grado non soccorreva l’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione, poichè nel caso concreto non si era di fronte ad un fatto eccezionale subito seguito dall’emissione di un prestito obbligazionario, in quanto la società aveva sempre pagato un dividendo ai propri soci ed il prestito era stato emesso nell’anno successivo alla distribuzione di utili considerata in sede di accertamento.

A parere del secondo giudice, il pagamento dei dividendi era attività lecita, anche se poteva comportare un aumento dell’indebitamento, con conseguente aumento degli interessi passivi;

la scelta di ricorrere al prestito obbligazionario rientrava nella sfera decisionale insindacabile dell’assemblea; il prestito obbligazionario aveva ridotto di tre punti il costo dell’indebitamento bancario e, quindi, gli interessi deducibili, aumentando di conseguenza l’imponibile fiscale; la scelta del sistema di finanziamento, basato sul capitale proprio o di debito, non doveva considerarsi rientrante tra le fattispecie di elusione, con riferimento a quanto risultante dalla relazione Governativa di accompagnamento al D.Lgs. n. 358 del 1997 (art. 7) che aveva introdotto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis; la coincidenza tra la posizione dell’amministratore, ad un tempo anche socio e sottoscrittore del prestito obbligazionario, era priva di rilevanza in quanto la società normalmente distribuiva dividendi e la scelta tra le tipologie di debito era scelta gestionale insindacabile.

Con specifico riferimento alla mancanza di un piano di sviluppo economico che giustificasse l’emissione del prestito, il secondo giudice affermava che era un concetto non previsto da alcuna norma;

considerava, quindi, che il prestito aveva permesso di ridurre di tre punti il tasso di indebitamento, per cui l’operazione appariva positiva per la società e per l’Erario.

Ricordava che risultava rispettata la previsione di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 115, e che la discussione sul vantaggio o meno per l’Erario era superflua in quanto l’operazione era di per sè lecita.

6. La Agenzia delle entrate ricorre per Cassazione su sette motivi.

La società replica con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. La controversia è relativa alla seguente vicenda societaria, che non è oggetto di contestazione sul piano fattuale, nel suo sviluppo cronologico, e che appare opportuno ripercorrene.

– In data (OMISSIS), alle ore 16,00, l’assemblea straordinaria dei soci della società URAI SPA aveva deliberato l’aumento del capitale sociale da due a tre miliardi di lire, mediante corrispondente passaggio a capitale di parte della riserva straordinaria, che passava da Lire 4.388.154.156 a Lire 3.388.154.156. Lo stesso giorno l’assemblea ordinaria, alle ore 16,40, aveva deliberato la distribuzione di utili ai due soci –

l’ing. G.R., che deteneva il 78%, e la moglie Vincenzina Capelluti, che deteneva il restante 22% della partecipazione sociale -, attingendo ancora alla riserva straordinaria, che passava da Lire 3.388.154.156 a Lire 388.154.156, con conseguente distribuzione di Lire 3.000.000.000 di utili.

– Quindi, in data 28.02.1997, la società aveva deliberato l’emissione di un prestito obbligazionario decennale di Lire 3.000.000.000, il cui finanziatore era il socio di maggioranza ing. G.R.. L’interesse annuo su tale prestito ammontava al 9,75%, sicchè per ciascuno dei dieci anni di durata del prestito la società contabilizzava, in relazione allo stesso, oneri finanziari per Lire 292.500.000 (corrispondenti ad Euro 151.063,64), che andavano ad abbattere l’imponibile fiscale.

1.2. Si deve quindi passare all’esame dei sette motivi di ricorso.

2.1. Con il primo motivo la Agenzia denuncia la violazione dell’art. 53 Cost., commi 1 e 2, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nella parte in cui la Commissione Regionale ha affermato che, all’epoca dei fatti, nell’ordinamento italiano mancava una norma antielusiva generica.

A parere della ricorrente la CTR ha errato nel ritenere che la complessiva operazione, costituita dalla distribuzione degli utili e dalla successiva emissione del prestito obbligazionario, non era elusiva perchè all’epoca nell’ordinamento mancava una norma antielusiva e perchè l’operazione non era di per sè vietata, laddove invece va affermato il principio secondo il quale, ai sensi dell’art. 53 Cost., commi 1 e 2, già all’epoca era da ritenersi immanente nel sistema un generale principio antielusivo, anche con riferimento alle imposte dirette, la cui fonte normativa era stata individuata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sent. n. 30055/2008) nei principi costituzionali della capacità contributiva e di progressiva imposizione, in ragione del quale “il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale. Con la conseguenza che non è necessario che la condotta che si assume come elusiva sia definita come tale o comunque vietata da una specifica norma”.

2.2. Con il secondo motivo la Agenzia denuncia, per violazione dell’art. 53 Cost., commi 1 e 2, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la erroneità della sentenza impugnata per avere la CTR escluso che si era in presenza di una operazione elusiva sulla base della considerazione che trattavasi di operazione “lecita” con conseguente irrilevanza del conseguimento di un vantaggio fiscale. A parere della ricorrente va affermato il principio secondo il quale “al fine di stabilire se una operazione sia o meno elusiva, è del tutto irrilevante considerare la sua “liceità”, dovendosi considerare elusive tutte le operazioni che, pur essendo lecite, siano tuttavia compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale”.

2.3. Con il terzo motivo la Agenzia denuncia la violazione dell’art. 53, commi 1 e 2, e falsa applicazione dell’art. 41 Cost., commi 1 e 2, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sostenendo che la decisione è erronea nel punto in cui ha ritenuto insindacabili le scelte gestionali dell’imprenditore in ordine alle forme di indebitamento.

Secondo la ricorrente, la società procedendo alla distribuzione dei dividendi si era privata della liquidità, per poi indebitarsi, dopo poco tempo per lo stesso importo, importo che – se non distribuito –

sarebbe stato a disposizione dell’impresa, senza necessità di sopportare l’onere aggiuntivo del pagamento dell’interesse sul prestito ed erroneamente la Commissione aveva ritenuto indindacabile la scelta imprenditoriale.

Chiede di affermarsi il principio secondo il quale, al fine di stabilire se una operazione sia o meno elusiva, il giudice deve effettuare una valutazione dell’operazione ed accertare se sia essenzialmente volta al conseguimento del vantaggio fiscale o se invece esistano ragioni economiche alternativa o concorrenti di carattere non marginale che la giustifichino.

2.4. I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente, sono fondati e vanno accolti.

2.5. La Commissione ha affermato che nel sistema italiano non è enucleabile un principio antielusivo, che la distribuzione di dividendi, anche mediante liberazione delle riserve straordinarie, è operazione lecita pur se può comportare un aumento dell’indebitamento, che il ricorso al prestito obbligaziario piuttosto che ad altra forma di finanziamento è scelta insindacabile dell’impresa, che l’operazione, non rilevando la mancanza di un piano di sviluppo a giustificazione dell’emissione del prestito obbligazionario, risulta essere stata vantaggiosa sia per l’impresa che per l’Erario, in quanto il prestito è stato contratto ad un tasso vantaggioso.

2.6. Tali affermazioni ed il percorso logico/giuridico attraverso le quali la Commissione è pervenuta alle sue conclusioni non risultano condivisibili. Premesso che il caso in esame non ricade – ratione temporis – sotto la vigenza del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, è necessario ricordare e ribadire, come già affermato dalle Sezioni Unite che “In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione” (Cass. SS.UU. n. 30055/2008, Cass. nn. 4737/2010, 11236/2011, 3938/2014).

2.7. La decisione risulta erronea in ragione di questi principi che, seppur preesistenti, hanno avuto un espresso riconoscimento in sede giurisprudenziale in epoca successiva alla emanazione della sentenza in esame.

Invero la Commissione ha negato l’esistenza di un principio generale antielusivo, trascurando di considerare il dettato costituzionale, ove la fonte di tale principio, in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta, considerato che le norme costituzionali informano l’ordinamento tributario italiano.

2.8. Come efficacemente sottolineato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza n. 30055/2008, i principi di capacità contributiva (art. 53 Cost., comma 1) e di progressività dell’imposizione (art. 53 Cost., comma 2) costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi. Con la conseguenza the non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale.

2.9. Inoltre, non contrasta con l’individuazione nell’ordinamento di un generale principio antielusione la constatazione del sopravvenire di specifiche norme antielusive, che appaiono anzi – come questa Corte ha osservato – mero sintomo dell’esistenza di una regola generale (Cass. 8772/08).

2.10. Nel caso in esame la Commissione si è limitata a sostenere la liceità delle operazioni in esame e la insindacabilità delle scelte gestionali e non ha considerato – come sarebbe stato suo onere – se la contribuente, mediante un uso distorto delle stesse, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, mirasse al conseguimento di un risparmio d’imposta, ovvero se emergessero ragioni economicamente apprezzabili che giustificassero l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel beneficio; in tal modo il giudice di appello non ha dato corretta applicazione al principio richiamato sub 2.6. e la sentenza va emendata.

3.1. Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) che individua nel fatto che la complessiva operazione posta in essere dalla società e consistita nell’aumento del capitale sociale attingendo alla riserva straordinaria, nella distribuzione tra i soci dell’ammontare residuo della riserva per un importo pari a Lire 3.000.000.000, nella contrazione di un prestito obbligazionario decennale con il socio per il medesimo importo, ad un tasso di interesse del 9,75% annuo, e nella conseguente deduzione dall’imponibile degli interessi passivi, avesse o meno una ragione economica ulteriore e diversa dal risparmio fiscale, tale da giustificare in modo apprezzabile la convenienza economica dell’operazione.

Secondo la ricorrente, la CTR si è limitata a sostenere la liceità dell’operazione di distribuzione degli utili, sulla considerazione che avveniva ogni anno, ma non ha spiegato quale fosse la ragione economica, diversa dal risparmio fiscale, che giustificava l’operazione di distribuzione degli utili, a fronte di un corrispondente bisogno di liquidità che la aveva portata a emettere il prestito obbligazionario oneroso, che avrebbe potuto evitare non distribuendo gli utili.

3.2. Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la insufficiente motivazione sul fatto che il prestito obbligazionario aveva consentito di “ridurre” di tre punti il tasso di indebitamento della società sicchè, l’operazione era stata economicamente vantaggiosa, in questi termini avendo individuato la Commissione, l’apprezzabile ragione economica dell’operazione.

Sostiene la ricorrente che la Commissione, nell’esaminare l’operazione, la aveva parcellizzata valutando da un lato la liceità della distribuzione dei dividendi e dall’altro la emissione del prestito obbligazionario, ritenuto economicamente utile in quanto contratto ad un tasso di interesse inferiore a quello che sarebbe stato praticato dal sistema bancario, laddove la contestazione formulata dall’Ufficio riguardava le operazioni unitariamente intese.

In particolare la ricorrente lamenta l’insufficiente motivazione in merito all’affermazione sulla “riduzione” del tasso di indebitamento, e osserva che la Commissione non avrebbe dovuto limitarsi a valutare se il prestito fosse stato contratto ad un tasso più o meno conveniente di quello praticato dal mercato bancario, ma avrebbe dovuto spiegare sulla base di quali risultanze processuali era eventualmentè emerso un pregresso e maggiormente oneroso indebitamento, che le aveva consentito di giungere alla conclusione in esame; oppure, qualora la Commissione non avesse inteso riferirsi ad una vicenda sostitutiva di un debito pregresso, avrebbe dovuto spiegare perchè aveva ritenuto economicamente conveniente la liberazione delle riserve straordinarie che avevano tuttavia messo la società nella condizione di dover ricorrere ad un prestito.

3.3. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta una insufficienza motivazionale, sostenendo che la Commissione, limitandosi ad affermare che la società può sempre legittimamente distribuire gli utili ed al tempo stesso indebitarsi, senza che ciò implichi la ripresa a tassazione di tutti gli interessi passivi dedotti, ha omesso di effettuare una indagine per accertare se, nel caso concreto, vi fosse una apprezzabile ragione economica o se invece fosse stata giustificata solo dal vantaggio fiscale, laddove la Agenzia non aveva considerato elusivo il fatto che la società aveva distribuito utili e, quindi, contratto un prestito, ma la circostanza che la distribuzione degli utili era di importo pari al debito poi contratto con uno dei due soci, senza che emergesse alcuna ragione economica atta a giustificare la contrazione del debito.

3.4. Anche il settimo motivo denuncia l’insufficienza motivazionale.

La ricorrente sostiene che la Commissione, nell’esaminare l’operazione, si era limitata ad affermare che l’Erario si sarebbe visto aumentare l’imponibile tassabile senza illustrarne lo sviluppo logico argomentativo e senza smentire gli specifici rilievi dell’Ufficio, che aveva spiegato come sulle somme dedotte come interessi passivi l’Erario aveva incassato il 12,5% a titolo di imposta sulla rendita percepita dal socio (nel momento in cui le incassava come “interessi attivi” del prestito che aveva erogato) anzichè il 34-37% di aliquota IRPEG che avrebbe incassato se, in assenza di deduzione da parte della società, dette somme fossero rientrate nella base imponibile della società stessa.

3.5. I motivi dal quarto al settimo sono fondati e vanno accolti.

3.6. Invero, nello svolgere la sua motivazione, la Commissione, sulla scorta delle erronee premesse in diritto, oggetto delle censure prima esaminate sub 2.1. e ss, ed accolte, si è limitata ad una disamina dei fatti parcellizzata, formale ed anche astratta. In particolare la Commissione ha trascurato di valutare se ricorresse nel caso in esame un uso distorto di strumenti giuridici per altro verso leciti, ma soprattutto non ha individuato gli elementi di fatto concreti e specifici in ragione dei quali ha ritenuto che l’operazione avesse una sua precisa ragione economica diversa dal risparmio fiscale;

segnatamente non ha spiegato, valutandola nel complesso, perchè ha ritenuto l’operazione positiva per i risultati economici della società e dell’Erario (fol.7 della sentenza impugnata), perchè ha considerato giustificato il rilevante fabbisogno di liquidità della società e sulla scorta di quali specifiche esigenze economiche e di quali attività imprenditoriali.

3.7. Va evidenziato, in particolare, che la Commissione ha riferito che la società ogni anno distribuiva utili, ma non ha chiarito se ciò avveniva sempre nella importante misura dell’operazione in contestazione; ha escluso la rilevanza della mancanza del piano di sviluppo che giustificasse l’emissione del prestito obbligazionario, limitandosi ad una pronuncia formale, ma non ha indicato ed adeguatamente illustrato, come sarebbe stato suo onere, gli elementi di fatto del caso concreto sulla scorta dei quali è giunta a escludere l’intento elusivo dell’operazione; ha sostenuto, in modo apparentemente ipotetico che l’emissione del prestito aveva portato ad una riduzione di tre punti del tasso di indebitamento, poichè manca l’indicazione di elementi concreti e specifici, che consenta di escludere che il passaggio motivazionale sia frutto di una considerazione meramente astratta o generale.

A ciò va aggiunto che non è possibile evincere dalla motivazione, nè se già esisteva una pregressa esposizione debitoria, più onerosa, con gli istituti bancari, sostituita con il prestito obbligazionario, nè quale sia stata la causa della massiccia esigenza di liquidità e quando si sia manifestata, nè le circostanziate e concrete ragioni fondanti l’emissione del prestito, nè come quest’ultimo sia stato utilizzato nel programma imprenditoriale e, in particolare, se sia stato indirizzato al raggiungimento di specifici obiettivi economici, presumibilmente a lungo termine, trattandosi di un prestito decennale, con una adeguata individuazione degli stessi, elementi necessari per valutare in concreto la sussistenza di apprezzabili ragioni economiche dell’operazione diverse dal vantaggio fiscale.

4.1. Conclusivamente il ricorso va accolto su tutti i motivi; la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla CTR della Lombardia in altra composizione che dovrà attenersi ai principi di diritto prima espressi e riesaminare alla luce degli stessi tutti gli elementi di fatto prima ripercorsi sottoposti al suo vaglio, nonchè statuire sulle spese del presente giudizio.

4.2. Resta assorbita dalla cassazione della sentenza e dal rinvio al secondo gudice, la richiesta della controricorrente, in via subordinata, di disapplicazione delle sanzioni ex D.Lgs. n. n. 546 del 1992, art. 8.

PQM

La Corte di Cassazione, accoglie il ricorso su tutti i motivi;

cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia in altra composizione per il riesame e la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2016

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