Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12547 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. I, 24/06/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 24/06/2020), n.12547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14671-2019 proposto da:

S.D., domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato

LUCIANO NATALE VINCI, rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE

MARIANI giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso l’Avvocatura Generale

dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI POTENZA n. 710/2018,

depositata il 24.10.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26.2.2020 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che S.D. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con la quale l’appello dell’odierno ricorrente – avverso la decisione di prime cure che aveva rigettato la domanda per il riconoscimento di protezione internazionale – veniva rigettato;

a sostegno della decisione la Corte d’appello ha rilevato che il ricorrente aveva dichiarato di essere omosessuale e di essere fuggito dal suo Paese in quanto oggetto di aggressioni e minacce di morte da parte dei suoi familiari che lo avevano sorpreso a frequentare un altro uomo, ragione per la quale, temendo anche di essere ucciso, aveva lasciato il Paese raggiungendo l’Italia;

la Corte da tale vicenda personale ha rilevato non potersi trarre le condizioni per il riconoscimento del rifugio politico e per il riconoscimento della protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), dal momento che il racconto non era risultato credibile, dovendo parimenti escludersi la lettera c), non essendo stati allegati elementi a supporto di tale richiesta, e per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo state ravvisate situazioni di vulnerabilità meritevoli di tutela;

il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che 1.1. con il primo motivo si lamenta, con riguardo alla protezione sussidiaria, vizio di motivazione per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, nonchè “violazione e/o errata applicazione” delle seguenti norme di diritto: art. 1 Convenzione di Ginevra del 1951; art. 25 dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo Onu del 1948; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1; artt. 2,10 e 32 Cost.;

1.2. si lamenta, in primo luogo, l’omesso esame di un fatto decisivo consistente nel non aver considerato il trattamento dell’omosessualità in Gambia;

1.3. la censura è inammissibile per difetto d’interesse essendo, la ratio decidendi posta a base della decisione impugnata, fondata sulla mancata prova, per carenza radicale di credibilità, della condizione e della persecuzione per omosessualità;

1.4. si contesta mediante il medesimo vizio la valutazione negativa di credibilità, ma anche questa censura è inammissibile risolvendosi in parte nel sindacato del merito della decisione impugnata ed in parte in affermazioni astratte e generali non dirette a colpire specificarle la ratio decidendi della pronuncia;

1.5. invero, la Corte territoriale ha ritenuto, con ampia e adeguata motivazione, non credibile il racconto reso dal ricorrente circa il rischio di essere considerato omosessuale in Senegal, confermando quanto evidenziato dal Giudice di primo grado in merito al narrato “quanto mai vago, superficiale, privo di qualsivoglia elemento individualizzante, quasi del tutto stereotipo”, essendo inoltre più volte il ricorrente “caduto in contraddizione”, non avendo fornito alcuna ragione per il fatto di aver “aspettato due anni prima di lasciare il Senegal” dopo la scoperta della sua omosessualità da parte dei familiari, nulla riferendo inoltre circa il “(preteso) compagno, nè della relazione con questi… nè…(aveva)… saputo dire da chi aveva avuto il figlio che dice(va) di avere” pur non essendo sposato, nè sulle specifiche condotte di persecuzione e aggressione ai suoi danni, i contesti di luogo e di tempo in cui sarebbero state consumate o i familiari dai quali fossero arrivate;

1.6. al riguardo, occorre richiamare l’orientamento di questa Corte- cui il Collegio intende dare continuità- secondo cui, in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) del predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria (Cass. n. 4892/2019);

1.7. del pari inammissibile risulta quindi anche la critica relativa alla situazione di violenza generalizzata in Senegal (regione di Casamance), che la Corte d’appello ha invece escluso, alla luce della ritenuta inattendibilità del racconto del ricorrente e per difetto di ogni collegamento tra la situazione personale dell’appellante e l’esistenza di un conflitto e di una situazione di violenza indiscriminata in Senegal;

1.8. peraltro, la motivazione del provvedimento impugnato si è comunque trattenuta sulle condizioni generali della regione di provenienza del ricorrente (Senegal-Casamance), operando puntuale riferimento alle accreditate fonti internazionali consultate e concludendo che non si tratti di territorio dove il livello di violenza è tale per cui un civile è esposto ad un rischio grave indipendentemente da qualsiasi coinvolgimento differenziato e statuendo, pertanto, circa l’insussistenza dei presupposti che debbono necessariamente rilevarsi per il riconoscimento della protezione sussidiaria (Cass. n. 16202/2015);

2.1. il secondo mezzo denuncia, con riguardo al diniego della protezione umanitaria, violazione dell’art. 132 c.p.c. e vizio di motivazione per avere la Corte distrettuale respinto la richiesta non avendo ravvisato la “sussistenza delle condizioni di riconoscimento delle misure maggiori”;

2.2. si lamenta che la Corte distrettuale abbia sostanzialmente omesso l’esame della domanda di protezione umanitaria sul presupposto dell’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento della tutela maggiore e perchè erroneamente non aveva ravvisato un collegamento tra la situazione personale del ricorrente e la situazione del suo paese di provenienza, trascurando di esaminare situazioni di vulnerabilità, come il diritto alla salute ed all’alimentazione;

2.3. le censure vanno disattese;

2.4. è noto che la protezione cd. umanitaria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, ante riforma di cui al D.L. n. 113 del 2018, (tuttora in fase di conversione) costituisce una misura residuale, applicabile sia ove si accerti una situazione che, di per sè considerata, è astrattamente inquadrabile in una di quelle che costituiscono motivo di persecuzione e che, tuttavia, per le circostanze del caso concreto, non sia di tale gravità da integrare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato; sia qualora venga acclarata l’esistenza di gravi ragioni di protezione reputate astrattamente idonee all’ottenimento della misura tipica richiesta, ma limitata nel tempo; sia, infine, per situazioni diverse da quelle proprie della protezione sussidiaria o correlate a condizioni temporali limitate e circoscritte, come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, per la sussistenza di gravi motivi umanitari evidentemente inidonei ad integrare le condizioni necessarie per la protezione sussidiaria, ovvero da applicarsi in condizioni di vulnerabilità anche non coincidenti con le ipotesi normative delle misure tipiche (cfr., su quest’ultimo aspetto, Cass. n. 3347 del 2015);

2.5. la Corte territoriale ha disatteso la domanda del richiedente volta ad ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari dopo aver evidenziato la mancanza di credibilità del racconto e l’insussistenza di situazioni vulnerabili di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 nel senso suindicato, tenuto conto proprio dei contenuti della vicenda personale narrata dal ricorrente;

2.6. parte appellante non ha sottoposto a specifica e circostanziata censura le valutazioni del primo giudice, nè ha illustrato e spiegato le ragioni per le quali, contrariamente a quanto opinato dal Giudice di merito, siano ravvisabili i presupposti per l’accesso alla misura della protezione umanitaria e neppure ha individuato e proposto all’attenzione della Corte emergenze istruttorie idonee a contrastare le conclusioni raggiunte in sentenza dal primo Giudice, limitandosi a reiterare, seppure con espressioni differenti, tutte comunque generiche ed astratte, lo stesso identico concetto (che, cioè, ricorrerebbero i presupposti di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie) senza tuttavia quanto meno allegare gli elementi di fatto dai quali l’assunto sarebbe sorretto.

2.7. nè, diversamente, è condivisibile l’assunto del ricorrente, peraltro affatto generico, secondo cui andavano esaminati i diritti che più direttamente interessano la sfera personale ed umana del ricorrente e che più gravemente rischiano di essere compromessi nel Paese di provenienza, ovvero del diritto alla salute e del diritto all’alimentazione, non direttamente tutelati dalla protezione internazionale nelle forme dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria;

2.8. questa Corte, infatti, ha già avuto occasione di chiarire, nella sentenza n. 4455 del 2018 (successivamente ribadendolo in Cass. n. 17072 del 2018), che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non integra, di per sè solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, in quanto “il diritto al rispetto della vita privata – tutelato dall’art. 8 CEDU (…) – può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione ed il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero (…) non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale (cfr. Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06, caso Nnyanzi c. Regno Unito, par. 72 ss.)”;

2.9. la riportata censura del ricorrente, invece, non va oltre l’allegazione di una generica criticità della situazione in cui versa il suo Paese di provenienza;

3.1. con il terzo motivo si denuncia violazione di legge censurando il decreto impugnato per aver revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in virtù della ritenuta infondatezza della domanda;

3.2. la censura va disattesa in quanto la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con il provvedimento che definisce il giudizio di merito, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione prevista dall’art. 170 del cit. D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con il predetto provvedimento, sia per ciò solo impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 del D.P.R. citato (cfr. Cass. nn. 32028/2018, 3028/2018, 29228/2017), il che determina comunque l’inammissibilità della terza censura;

4. il ricorso va in conclusione rigettato;

5. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero, con liquidazione come da dispositivo;

4. deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis (cfr. Cass. S.U. n. 23535/2019 in motiv., Cass. n. 9660/2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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