Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12547 del 09/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 09/06/2011, (ud. 22/02/2011, dep. 09/06/2011), n.12547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

COSTANTINO MORIN 45, presso lo studio dell’avvocato TOSCANO GIUSEPPE

MARIA, rappresentato e difeso dall’avvocato SALMERI FERDINANDO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI e RASPANTI RITA,

che lo rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 980/2008 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 05/12/2 008 r.g.n. 1377/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/02/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato RAFFAELA FABBI per delega LUIGI LA PECCERELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28/10/08 la Corte d’Appello di Reggio Calabria riformò parzialmente, su appello dell’Inail, la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo che aveva condannato l’ente appellante a corrispondere a P.P. la rendita per inabilità permanente nella misura del 20% dall’1/11/94, maggiore di quella dell’11% determinata dall’istituto assicuratore a seguito di visita di revisione del 30/3/95, e per l’effetto riconobbe all’assicurato, a seguito di una nuova consulenza d’ufficio, solo la rendita del 14% a decorrere dall’1/4/95, primo giorno del mese successivo a quello della revisione, maggiorata degli interessi legali maturati, condannando l’istituto appellante alla metà delle spese del secondo grado di giudizio, previa compensazione dell’altra metà. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il P., affidando l’impugnazione ad un unico motivo di censura.

Resiste con controricorso l’Inail.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un unico articolato motivo il ricorrente denunzia l’omessa, insufficiente o illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 5).

Sostiene il ricorrente che la relazione peritale, sulla quale il giudice d’appello ha fondato la propria decisione, presenta evidenti incongruenze, illogicità e carenze diagnostiche che inevitabilmente si riflettono sulla gravata sentenza, traducendosi in vizi e carenze motivazionali. Al riguardo, il P. rileva che il CTU si è limitato ad affermare apoditticamente che dall’infortunio del 7/5/84 era risultata una lussazione recidivante alla spalla sinistra in destrimane con limitazione articolare del 20%, già stabilizzata alla data dell’ultima revisione amministrativa del 30/3/95 e determinante sin da allora una invalidità lavorativa permanente del 14%, senza rendere, però, conto, in modo dettagliato e specifico, nè della indagine clinica effettuata, nè dei criteri eseguiti e senza procedere agli accertamenti diagnostici che il caso richiedeva.

Aggiunge il ricorrente che il consulente d’ufficio, il quale non è un ortopedico, non si è avvalso della collaborazione di uno specialista ed ha condotto un’indagine carente e superficiale sia sotto il profilo dell’esame clinico obiettivo, sia sotto il profilo metodologico, limitandosi a considerare solamente l’entità del movimento della spalla andato perduto, mentre sarebbe stata anche molto importante la collocazione topografica del movimento residuo. A conclusione della censura il P. evidenzia che se il giudice d’appello avesse valutato correttamente la relazione peritale sarebbe pervenuto a diversa conclusione in ordine alla percentuale della inabilità permanente. Il motivo è infondato.

Invero, premesso che l’impugnazione è proposta per un presunto vizio della motivazione, va ricordato che la valutazione espressa dal giudice di merito in ordine alla obbiettiva esistenza delle infermità, alla loro natura ed entità, nonchè alla loro dipendenza dall’attività lavorativa svolta costituisce tipico accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità quando è sorretto, come nella fattispecie, da motivazione immune da vizi logici e giuridici che consenta di identificare l’iter argomentativo posto a fondamento della decisione. In effetti, allorquando il giudice di merito fondi, come nel caso in esame, la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, perchè i lamentati errori e lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza di merito, censurabile in sede di legittimità, è necessario che essi siano la conseguenza di errori dovuti alla documentata devianza dai canoni della scienza medica o di omissione degli accertamenti strumentali e diagnostiche dai quali non si possa prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi.

Orbene, sotto questo specifico aspetto, non è sufficiente, per la sussistenza del vizio di motivazione, la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del CTU e quella della parte circa l’entità e l’incidenza del dato patologico, poichè in mancanza degli errori e delle omissioni sopra specificate le censure di difetto di motivazione costituiscono un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico e si traducono in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice (cfr. tra le tante Cass. n. 7341/2004).

E’, infatti, da rilevare che nella fattispecie alla valutazione del consulente tecnico d’ufficio recepita dal giudice di appello il ricorrente ha contrapposto un diverso apprezzamento della entità delle patologie riscontrate a suo carico, senza evidenziare alcuna specifica carenza o deficienza diagnostica o errore scientifico, bensì limitandosi ad esprimere una diversa valutazione del medesimo quadro patologico e non essendo affatto vero che il perito d’ufficio non diede adeguatamente conto della indagine clinica effettuata, nè dei criteri eseguiti: invero, è sufficiente leggere il contenuto della perizia, così come riportata nel ricorso, per convincersi che l’ausiliare diede compiutamente conto delle indagini svolte ed indicò espressamente il metodo scientifico di calcolo per addivenire all’individuazione della percentuale di inabilità permanente.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese di questo giudizio a norma dell’art. 152 disp att. c.p.c. nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla L. n. 326 del 2003, poichè il ricorso introduttivo è stato depositato nel corso del 1996.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2011

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