Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12546 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. I, 24/06/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 24/06/2020), n.12546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12377-2019 proposto da:

J.S., domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato

LUCIANO NATALE VINCI, rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE

MARIANI giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI POTENZA n. 634/2018,

depositata il 3.10.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26.2.2020 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che J.S. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con la quale l’appello dell’odierno ricorrente – avverso la decisione di prime cure che aveva rigettato la domanda per il riconoscimento di protezione internazionale – veniva rigettato;

a sostegno della decisione la Corte d’appello ha rilevato che il ricorrente, musulmano, aveva dichiarato di essere fuggito dal suo Paese (Gambia) a seguito delle minacce di morte ricevute dai familiari della ragazza, cattolica, da cui aveva avuto un figlio senza essere sposati;

la Corte, da tale vicenda personale, ha rilevato non potersi trarre le condizioni per il riconoscimento del rifugio politico e per il riconoscimento della protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), dal momento che il racconto non era risultato credibile, dovendo parimenti escludersi la lett. c), non essendo stati allegati elementi a supporto di tale richiesta, e per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo state ravvisate situazioni di vulnerabilità meritevoli di tutela;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

1.1. con il primo motivo si lamenta, con riguardo alla protezione sussidiaria, vizio di motivazione per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, nonchè “violazione e/o errata applicazione” delle seguenti norme di diritto: art. 1 Convenzione di Ginevra del 1951; art. 25 dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo Onu del 1948; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1; artt. 2,10 e 32 Cost.;

1.2. si lamenta, in primo luogo, che la Corte distrettuale non abbia proceduto ad indagini istruttorie officiose dopo aver affermato il difetto di credibilità del racconto del ricorrente e per aver sottovalutato la situazione del Paese di provenienza;

1.3. la censura è inammissibile per difetto d’interesse essendo, la ratio decidendi posta a base della decisione impugnata, fondata sulla mancata prova, per carenza radicale di credibilità, della persecuzione attuata nei suoi confronti per motivi religiosi;

1.4. si contesta mediante il medesimo vizio la valutazione negativa di credibilità, ma anche questa censura è inammissibile risolvendosi in parte nel sindacato del merito della decisione impugnata ed in parte in affermazioni astratte e generali non dirette a colpire specificarle la ratio decidendi della pronuncia;

1.5. invero, la Corte territoriale ha ritenuto, con ampia e adeguata motivazione, non credibile il racconto reso dal ricorrente rilevando insanabili ed ingiustificabili contraddizioni su plurime e non secondarie circostanze circa la paternità del minore affidato peraltro ai genitori dello stesso appellante e non alla famiglia della madre, collocazione temporale delle sue vicende di vita, le ricevute minacce di morte, con riguardo alle quali non era mai stata sporta denuncia, senza neppure esternare i motivi che lo avrebbero indotto a desistere dal farlo;

1.6. al riguardo, occorre richiamare l’orientamento di questa Corte- cui il Collegio intende dare continuità- secondo cui, in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) del predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria (Cass. n. 4892/2019);

1.7. del pari inammissibile risulta quindi anche la critica relativa alla situazione di violenza generalizzata in Gambia, che la Corte d’appello ha invece escluso, alla luce della ritenuta inattendibilità del racconto del ricorrente e non essendo mai stata prospettata una situazione di pericolo derivante da violenza indiscriminata nel Paese, effettuando in ogni caso la verifica circa la situazione del Gambia sulla base di fonti di informazione internazionali aggiornata e dando quindi conto del cambiamento politico in atto nel Paese in senso democratico e di rispetto dei diritti fondamentali;

2.1. il secondo mezzo denuncia, con riguardo al diniego della protezione umanitaria, violazione dell’art. 132 c.p.c. e vizio di motivazione per avere la Corte distrettuale respinto la richiesta non avendo ravvisato la “sussistenza delle condizioni di riconoscimento delle misure maggiori”;

2.2. si lamenta che la Corte distrettuale abbia sostanzialmente omesso l’esame della domanda di protezione umanitaria sul presupposto dell’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento della tutela maggiore e perchè erroneamente non aveva ravvisato un collegamento tra la situazione personale del ricorrente e la situazione del suo paese di provenienza, trascurando di esaminare situazioni di vulnerabilità, come il diritto alla salute ed all’alimentazione;

2.3. le censure vanno disattese;

2.4. è noto che la protezione cd. umanitaria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 ante riforma di cui al D.L. n. 113 del 2018, (tuttora in fase di conversione) costituisce una misura residuale, applicabile sia ove si accerti una situazione che, di per sè considerata, è astrattamente inquadrabile in una di quelle che costituiscono motivo di persecuzione e che, tuttavia, per le circostanze del caso concreto, non sia di tale gravità da integrare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato; sia qualora venga acclarata l’esistenza di gravi ragioni di protezione reputate astrattamente idonee all’ottenimento della misura tipica richiesta, ma limitata nel tempo; sia, infine, per situazioni diverse da quelle proprie della protezione sussidiaria o correlate a condizioni temporali limitate e circoscritte, come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, per la sussistenza di gravi motivi umanitari evidentemente inidonei ad integrare le condizioni necessarie per la protezione sussidiaria, ovvero da applicarsi in condizioni di vulnerabilità anche non coincidenti con le ipotesi normative delle misure tipiche (cfr., su quest’ultimo aspetto, Cass. n. 3347 del 2015);

2.5. la Corte territoriale ha disatteso la domanda del richiedente volta ad ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari dopo aver evidenziato la mancanza di credibilità del racconto e l’insussistenza di situazioni vulnerabili di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 nel senso suindicato, tenuto conto proprio dei contenuti della vicenda personale narrata dal ricorrente;

2.6. parte appellante non ha sottoposto a specifica e circostanziata censura le valutazioni del primo giudice, nè ha illustrato e spiegato le ragioni per le quali, contrariamente a quanto opinato dal Giudice di merito, siano ravvisabili i presupposti per l’accesso alla misura della protezione umanitaria e neppure ha individuato e proposto all’attenzione della Corte emergenze istruttorie idonee a contrastare le conclusioni raggiunte in sentenza dal primo Giudice, limitandosi a reiterare, seppure con espressioni differenti, tutte comunque generiche ed astratte, lo stesso identico concetto (che, cioè, ricorrerebbero i presupposti di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie) senza tuttavia quanto meno allegare gli elementi di fatto dai quali l’assunto sarebbe sorretto;

2.7. nè, diversamente, è condivisibile l’assunto del ricorrente, peraltro affatto generico, secondo cui andavano esaminati i diritti che più direttamente interessano la sfera personale ed umana del ricorrente e che più gravemente rischiano di essere compromessi nel Paese di provenienza, ovvero del diritto alla salute e del diritto all’alimentazione, non direttamente tutelati dalla protezione internazionale nelle forme dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria;

2.8. questa Corte, infatti, ha già avuto occasione di chiarire, nella sentenza n. 4455 del 2018 (successivamente ribadendolo in Cass. n. 17072 del 2018), che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non integra, di per sè solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, in quanto “il diritto al rispetto della vita privata – tutelato dall’art. 8 CEDU (…) – può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione ed il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero (…) non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale (cfr. Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06, caso Nnyanzi c. Regno Unito, par. 72 ss.)”;

2.9. la riportata censura del ricorrente, invece, non va oltre l’allegazione di una generica criticità della situazione in cui versa il suo Paese di provenienza;

3. il ricorso va in conclusione rigettato;

3. nulla sulle spese;

4. deve darsi atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, – giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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