Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12546 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/05/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 12/05/2021), n.12546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32711-2018 proposto da:

T.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ETTORE

ROLLI 24 C/11, presso lo studio dell’avvocato ARTURO SFORZA,

rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA CALVANI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1988/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA PUGLIA, depositata il 20/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE

CAPOZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che il contribuente T.F. propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza CTR Puglia, di rigetto dell’appello proposto avverso una sentenza CTP Bari, che aveva respinto il suo ricorso avverso il silenzio rifiuto serbato dall’ufficio in ordine ad una sua istanza di rimborso somme da lui versate per ritenute alla fonte IRPEF e relative addizionali, effettuate dall’ex IPSEMA, oggi INAIL, sulle indennità per malattia corrispostegli per il 2009, 2010, 2011 e 2012.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a quattro motivi;

che, con il primo motivo di ricorso, il contribuente lamenta violazione e falsa applicazione art. 25 Cost., artt. 158 e 276 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35 e art. 114 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto i collegi giudicanti erano soggetti al principio della immutabilità, nel senso che i giudici della decisione dovevano essere gli stessi che avevano assistito alla discussione, secondo i canoni del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost.; nella specie il principio di immutabilità del collegio era stato violato, in quanto la decisione della CTR era stata assunta da un collegio diverso da quello innanzi al quale si era svolta la discussione, atteso che, alla stregua dell’ordine del giorno della CTR della Puglia, sezione 4 alle ore 10,30 del 30 maggio 2018, il collegio era composto dal Presidente, Dott. DE BARI, e dai giudici d.ri G. e D.C., mentre dalla intestazione della sentenza emessa dalla CTR emergeva una diversa composizione del collegio, recando il nome di un giudice (Dott. DI.GI.) che non era stato presente al momento della discussione;

che, con il secondo motivo di ricorso, il contribuente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 ed art. 11, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1 bis, e della L. n. 125 del 2015, art. 4 bis, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto l’atto di costituzione dell’ufficio e le controdeduzioni sarebbero state sottoscritte da soggetto privo della rappresentanza legale dell’ufficio periferico, essendo stati tali atti sottoscritti con le parole “il capo dell’ufficio legale S.M.”, con la specificazione “su delega del direttore provinciale”; la formula usata non dava la certezza che il sottoscrittore dell’atto fosse legittimato ad agire con la delega di firma del direttore provinciale, in carenza dei documenti attestanti l’esistenza della delega di firma conferita al delegato da parte del capo ufficio nel rispetto dei criteri oggettivi e trasparenti, di cui alla L. n. 125 del 2015, art. 4 bis, comma 2, e con i requisiti di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1 bis, quali: le ragioni della delega di firma; il termine di validità; l’importo minimo e massimo delle controversie ed il nominativo del soggetto delegato; nella specie, al contrario, non sussisteva alcuna delega di firma con riferimento alla sottoscrizione della costituzione in giudizio e delle relative controdeduzioni; e detta delega scritta doveva sussistere al momento della redazione delle controdeduzioni, nel termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, con conseguente inefficacia giuridica esterna degli atti, siccome inseriti nel fascicolo il 5 agosto 2016;

che, con il terzo motivo di ricorso, il contribuente lamenta violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1918 del 1937, art. 24, comma 2, convertito con modificazioni nella L. n. 831 del 1938, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la norma da ultimo citata riconosceva ai lavoratori marittimi, al cui novero egli apparteneva, in caso di malattia, oltre all’assistenza medico-chirurgica gratuita, anche un’indennità giornaliera pari al 75% del salario effettivamente goduto dall’assicurato alla data dell’annotazione di sbarco sul ruolo fino alla guarigione clinica; e il medesimo testo di legge, art. 24, comma 2, esentava dette indennità dall’imposta di ricchezza mobile; secondo la CTR detta esenzione era da ritenere abrogata fin dal 1 gennaio 1974, per effetto dell’abrogazione dell’imposta di ricchezza mobile disposta dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 82; e la successiva esclusione, dal novero dei provvedimenti soppressi, di quelli contenuti nel citato R.D.L. n. 1918 del 1937, era da ritenere riferita solo alle norme del cit. R.D.L. vigenti al dicembre 2008, e non certo alla norma di cui all’art. 24, comma 2, essendo stata quest’ultima norma già espressamente abrogata fin dal gennaio 1974; al contrario la ricchezza mobile e l’imposta IRPEF erano imposte identiche e la L.D. n. 246 del 2005 si era limitata a delegare il governo ad individuare le disposizioni legislative pubblicate prima del 1 gennaio 1970 da ritenere ancora in vigore ed ad abrogare quelle ritenute implicitamente o tacitamente tali; inoltre la circostanza che la disciplina dell’assicurazione contro le malattie della gente di mare, di cui alla L. n. 831 del 1938, inclusa dal D.L. n. 200 del 2008 nell’elenco di quelle oggetto di abrogazione e successivamente espunta da tale elenco con la legge di conversione n. 9 del 2009, significava che la disposizione agevolativa fosse stata reintrodotta nel nostro ordinamento; inoltre l’indennità di malattia in esame non poteva essere considerata come reddito da lavoro dipendente, assoggettabile all’IRPEF, avendo essa natura risarcitoria, siccome corrisposta in via eventuale od occasionale, in presenza di un’invalidità temporanea assoluta, tale da impedire la prestazione lavorativa; pertanto la sua liquidazione non era collegabile al rapporto di lavoro dipendente; che, con il quarto motivo di ricorso, il contribuente lamenta violazione art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere la CTR preso in esame un fatto decisivo, che aveva formato oggetto di discussione fra le parti; invero una legge di abrogazione generale non poteva abrogare una legge speciale anteriore, a meno che non fosse chiara la volontà del legislatore di abrogare quest’ultima; e la norma di cui al R.D.L. n. 1918 del 1937, art. 24, comma 2, era una norma speciale, destinata a sopravvivere anche all’abolizione dell’imposta di ricchezza mobile ed alla contemporanea entrata in vigore dell’IRPEF; e la CTR non aveva preso in esame tale sua doglianza, concernente la mancata applicazione di detto principio di diritto;

che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso;

che il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato; invero questa Corte ha acquisito il fascicolo di merito ed ha esaminato il processo verbale della pubblica udienza tenutasi innanzi alla CTR Puglia il 30 maggio 2018 per discutere l’appello proposto da T.F. avverso la sentenza della CTP DI Bari n. 2849/11/2015; e da tale processo verbale emerge che il collegio era composto dal Dott. D.B.G., quale presidente e dai d.ri D.C.C. e DI.Le. quali componenti; ed è la medesima compagine che risulta dall’intestazione dell’impugnata sentenza della CTR della Puglia; non sussiste pertanto la lamentata differenza fra i nominativi dei giudici che hanno partecipato alla discussione del ricorso ed i nominativi dei giudici, che hanno emesso la sentenza impugnata;

che il secondo motivo di ricorso è infondato, atteso che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 11013 del 2019; Cass. n. 8814 del 2019), nel caso di delega di firma, conferita, nella specie, dal titolare dell’ufficio al dipendente che ha sottoscritto l’atto di costituzione in giudizio e le controdeduzioni, quest’ultimo non esercita alcun potere o competenza riservata al delegante, in quanto la delega rientra nell’ambito dei poteri di ordine, direzione, coordinamento e controllo che competono al dirigente preposto all’ufficio, si che, in caso di contestazione della sottoscrizione dell’atto di costituzione in giudizio, non è richiesta alcuna indicazione nominativa della delega, ovvero la relativa determinazione temporale, apparendo conforme alle esigenze di buon andamento e di legalità della pubblica amministrazione ritenere che, nell’ambito dell’organizzazione interna di un ufficio, l’attuazione della delega di firma può ben avvenire attraverso la mera emanazione di ordini di servizio, che hanno essi stessi valore di delega e con i quali il soggetto delegato ben può essere individuato attraverso l’indicazione della qualifica rivestita, che consente la successiva agevole verifica della corrispondenza fra il sottoscrittore ed il soggetto destinatario della delega medesima;

che anche il terzo motivo di ricorso è infondato, atteso che la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 18022 del 2016; Cass. n. 22781 del 2017) è ferma nel ritenere che, in materia d’imposta sui redditi, con l’abrogazione dell’imposta di ricchezza mobile, disposta dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 82, è venuta meno l’esenzione dall’imposta di ricchezza mobile dell’indennità per inabilità temporanea assoluta al lavoro corrisposta alla “gente di mare”, esenzione prevista dal R.D.L. n. 1918 del 1937 sopra citato, art. 24, comma 2; e detta indennità è soggetta a tassazione IRPEF, in quanto strettamente ed indissolubilmente collegata al rapporto di lavoro, si da essere necessariamente ricompresa nella fattispecie di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2;

che il quarto motivo di ricorso, da ritenere più esattamente formulato come violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile, atteso che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014), il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, che ha aggiunto l’art. 348 ter al c.p.c., si applica anche ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pronunciate dalle CTR; a tali ultimi ricorsi è, in particolare, applicabile il cit. art. 348 ter c.p.c., u.c., secondo il quale la proponibilità del ricorso per cassazione è ammessa esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), qualora l’impugnazione sia proposta avverso una sentenza di appello che confermi la decisione di primo grado per le medesime ragioni e per le medesime questioni di fatto poste a base della decisione appellata;

che, nella specie in esame, sia la CTP di Bari, sia la CTR della Puglia hanno concordemente ritenuto che la norma agevolativa contenuta nel R.D.L. n. 1918 del 1937, art. 24, comma 2, secondo cui era esente dall’imposta di ricchezza mobile l’indennità per inabilità temporanea assoluta al lavoro corrisposta alla “gente di mare”, fosse da ritenere abrogata per effetto dell’abrogazione dell’imposta di ricchezza mobile, disposta dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 82;

che, pertanto, il ricorso in esame va respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, quantificate come in dispositivo;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del contribuente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, quantificate in complessivi Euro 5.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del contribuente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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