Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12544 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. I, 24/06/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 24/06/2020), n.12544

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10686-2019 proposto da:

A.E., domiciliato in ROMA, presso lo studio

dell’Avvocato EMILIANO BENZI, rappresentato e difeso dall’Avvocato

AMERIGA PETRUCCI giusta procura speciale estesa a margine del

ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso l’Avvocatura Generale

dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI POTENZA n. 599/2018,

depositata il 19.9.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26.2.2020 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che A.E. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con la quale l’appello dell’odierno ricorrente – avverso la decisione di prime cure che aveva rigettato la domanda per il riconoscimento di protezione internazionale – veniva rigettato;

il Ministero dell’Interno si è costituito al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE;

1.1. con il primo motivo si lamenta, con riguardo alla protezione sussidiaria, il carattere contraddittorio, perplesso e incomprensibile della sentenza impugnata, perchè basato su affermazioni inconciliabili, nonchè “violazione e/o errata applicazione” delle seguenti norme di diritto: art. 1 Convenzione di Ginevra del 1951; art. 25 dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo Onu del 1948; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1; artt. 2,10 e 32 Cost.;

1.2. il secondo mezzo denuncia, con riguardo al diniego della protezione umanitaria, violazione dell’art. 1 Convenzione di Ginevra del 1951; art. 25 dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo Onu del 1948; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1; artt. 2,10 e 32 Cost.;

1.3. si lamenta che la Corte distrettuale abbia sostanzialmente omesso l’esame della domanda di protezione umanitaria sul presupposto dell’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento della tutela maggiore e perchè non aveva ravvisato erroneamente un collegamento tra la situazione personale del ricorrente e la situazione del suo paese di provenienza;

1.4. le censure, da esaminare congiuntamente, vanno disattese;

1.5. la Corte d’Appello, con idonea motivazione, ha esaminato la situazione esposta dal richiedente, cittadino nigeriano, il quale ha allegato di essere scappato dal suo paese dopo essere riuscito a fuggire dal carcere in cui era stato imprigionato sull’accusa di aver costretto la propria fidanza ad abortire, ed ha ritenuto il racconto non idoneo a rivelare la sussistenza dei presupposti previsti per la concessione della protezione;

1.5. la motivazione del provvedimento impugnato si è trattenuta sulle condizioni generali della regione di provenienza del ricorrente (Edo State), operando puntuale riferimento alle accreditate fonti internazionali consultate e concludendo che non si tratti di territorio dove il livello di violenza è tale per cui un civile è esposto ad un rischio grave indipendentemente da qualsiasi coinvolgimento differenziato e che nella stessa zona, con prevalenza di cristiani, non si registra una particolare avversione nei confronti dei medesimi, nè dei matrimoni misti, statuendo, pertanto, circa l’insussistenza dei presupposti che debbono necessariamente rilevarsi per il riconoscimento della protezione sussidiaria (cfr. Cass. n. 16202/2015), altresì evidenziando che, “indipendentemente dalla credibilità”, non risultava rilevante ai fini della concessione della richiesta protezione il racconto del ricorrente di essere stato arrestato con l’accusa “di aver indotto la fidanzata ad abortire, considerato… che lo stesso richiedente…(aveva)… affermato che la propria fidanzata aveva intrapreso un viaggio a Lagos dove cercava di abortire ma “senza riuscirvi”, mancando quindi anche l’evento e così prospettando la fattispecie… un mero tentativo di ipotizzato reato, trattandosi comunque di vicenda meramente familiare e personale”;

1.9. inoltre, la Corte di merito ha correttamente rilevato come, nel caso di specie, non fossero state allegate situazioni idonee (neppure enunciate nel ricorso proposto) a fondare l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria;

1.10. questa Corte ha, invero, già avuto modo di affermare che tra i motivi per i quali è possibile accordare la protezione umanitaria non rientrano di per sè l’integrazione sociale e lavorativa in Italia (Cass. 23 ottobre 2017, n. 25075), nè il versare in condizioni di indigenza o con problemi di salute, “necessitando-invece- che tale condizione sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel Paese di provenienza, in conformità al disposto degli artt. 2, 3 e 4 della CEDU” (Cass. 23 novembre 2017, n. 28015; Cass. 21 dicembre 4 2016, n. 26641), ed in tale prospettiva è stato ulteriormente chiarito che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455);

1.11. emerge con chiarezza da tali pronunce che il diritto alla protezione umanitaria è in ogni caso collegato alla sussistenza di “seri motivi”, non tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore, cosicchè essi costituiscono un catalogo aperto, tutti accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità individuale attuali o pronosticate in dipendenza del rimpatrio: non può cioè essere in nessun caso elusa la verifica della sussistenza di una condizione personale di vulnerabilità, occorrendo dunque una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio: i seri motivi di carattere umanitario possono allora positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti non soltanto un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, ma siano individuabili specifiche correlazioni tra tale sproporzione e la vicenda personale del richiedente, “perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativa di cui all’art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 cit.” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455);

1.12. la sproporzione tra i due contesti di vita non possiede quindi di per sè alcun rilievo, salvo emerga che essa ha prodotto specifiche ricadute individuali, distinte da quelle destinate a prodursi sulla generalità delle persone provenienti dal medesimo ambito territoriale, e, nel caso di specie, la decisione del giudice di merito, laddove ha escluso la sussistenza di individualizzate ragioni ostative al rimpatrio, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte;

1.13. avendo il giudice del merito compiutamente approfondito l’esame in fatto della situazione nel rispetto dei principi enunciati da questa Corte in materia ed esponendo le ragioni per le quali ha reputato il richiedente privo dei requisiti idonei al riconoscimento dello status, nessuna censura può essere promossa in questa sede, trattandosi, per l’appunto, di valutazioni fattuali non sindacabili dinanzi al giudice di legittimità;

2. il ricorso va in conclusione rigettato;

3. nulla sulle spese stante la mancanza di attività difensiva del Ministero;

4. deve darsi atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, – giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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