Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12544 del 10/05/2019

Cassazione civile sez. lav., 10/05/2019, (ud. 13/03/2019, dep. 10/05/2019), n.12544

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorso 1628/2015 proposto da:

D.P.S., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato ANNA

MALLOZZI;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

contro

B. S.R.L. già B. DISTRIBUZIONE S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 109, presso lo studio dell’avvocato BIAGIO BERTOLONE, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENRICO DE MARTINO,

GIANLUCA BRASCHI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 641/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 10/09/2014 R.G.N. 216/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza del 10 settembre 2014, la Corte d’appello di Firenze rigettava l’appello principale proposto da D.P.S., pure respingendone, in parziale accoglimento dell’appello incidentale di B. Distribuzione s.r.l. (ora B. s.r.l.), la domanda relativa all’indennità di incasso in quanto non dovuta: così riformando la sentenza di primo grado, che l’aveva invece riconosciuta, liquidandola in via equitativa in base a quanto previsto in altri AEC, rigettando le altre domande dell’agente di maggiori provvigioni per alcuni rapporti contrattuali e di competenze di fine rapporto, per l’accertata legittimità del recesso della preponente, di cui pure rigettava la domanda risarcitoria per attività concorrenziale proposta in via riconvenzionale;

2. avverso tale sentenza D.P.S. ricorreva per cassazione con quattro motivi (al di là della ripetuta numerazione del terzo), cui resisteva la società con controricorso, contenente ricorso incidentale con tre motivi, cui il primo replicava con controricorso;

3. entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1744 c.c., artt. 3 e 4 AEC 26 febbraio 2002 come richiamato dall’art. 1 del contratto di agenzia tra le parti e dell’art. 1362 c.c., in riferimento all’art. 10 del contratto individuale, per esclusione dell’indennità di incasso, a seguito di erronea interpretazione della normativa collettiva (di negazione della facoltà dell’agente di riscuotere per conto della preponente, salvo diverso accordo scritto, ma con diritto a separato compenso qualora questa gli conferisca un tale incarico in via continuativa), espressamente richiamata dall’art. 1 del contratto individuale di agenzia e non derogabile dal suo art. 10, non correttamente interpretato in via sistematica con le norme denunciate di violazione ed omesso esame del fatto decisivo per il giudizio del comprovato incasso in via continuativa, da parte dell’agente per conto della mandante, dei corrispettivi dai clienti accertato dal primo giudice (primo motivo); nullità della pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., per vizio di ultra o extrapetizione della sentenza impugnata per avere la Corte territoriale, in assenza di una domanda della preponente che avesse circoscritto quella di recesso per giusta causa alla violazione dell’obbligo di esclusiva dell’agente (e come tale qualificato dal Tribunale il riferimento alla concorrenza sleale nella disdetta), interpretato la ragione del recesso per l’esercizio di concorrenza sleale in violazione dell’art. 7D del contratto di agenzia e perciò rigettato il motivo d’appello dell’agente di erronea interpretazione del titolo del recesso così mutandolo; oltre che violazione o falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., in relazione agli artt. 2 e 16 AEC 26 febbraio 2002, degli artt. 1362,1363 c.c., in riferimento all’art. 7D del contratto individuale, per individuazione della ragione di (legittimità del) recesso nella concorrenza sleale svolta indirettamente dall’agente attraverso la partecipazione in D.P. Wine s.a.s., ritenendone l’identità di attività con quella della preponente, tuttavia da qualificare come inadempimento grave ai sensi dell’art. 1453 c.c., in quanto non rientrante tra i motivi di risoluzione di diritto dell’art. 16 del contratto di agenzia e per erronea interpretazione, in violazione dei canoni di sistematicità (avendo le parti regolato il diritto di esclusiva, pure derogabile, nella forma di obbligo di comunicazione, rispettato dall’agente, dell’assunzione del mandato nei quindici giorni dalla sua assunzione: con una diversa modulazione della sua violazione, qualora non sia consentito il controllo da parte della preponente della partecipazione per la verifica della possibile concorrenza, in via preventiva, ma soltanto successiva) e di determinazione della comune intenzione delle parti in base al loro comportamento successivo, con omissione di esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quali il documento 6 febbraio 2006 (richiesta di chiarimento di B. s.r.l. all’agente sul nuovo rapporto di agenzia) e risultanze dell’istruttoria orale, con ragionamento illogico in ordine alla violazione dell’art. 7D del contratto di agenzia (secondo motivo); violazione dell’art. 112, come error in procedendo, per omessa pronuncia sulle domande di indennità di fine rapporto e risarcitoria ai sensi dell’art. 1751 c.c., in difetto di valutazione della gravità dell’inadempimento ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale i motivi contestati dalla preponente nella lettera di recesso (terzo motivo); violazione o falsa applicazione degli artt. 1321,1322,1372,1749 c.c., per esclusione della spettanza all’agente di maggiori compensi provvigionali su alcuni clienti per unilaterale riduzione dalla preponente, sull’erroneo assunto di un’accettazione tacita del primo per la prolungata mancata contestazione degli estratti conto periodicamente inviati su cui annotati, non integrante comportamento concludente di inequivoca volontà di rinuncia al relativo diritto (quarto motivo);

2. a propria volta la società controricorrente, in via di ricorso incidentale, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 112 c.p.c., art. 12, p.to 1 AEC 26 febbraio 2002 anche come error in procedendo, per omessa pronuncia sulla domanda di restituzione dell’indennità di fine rapporto (firr) percepita dall’agente, pure configurante nullità della sentenza per radicale vizio di motivazione, in quanto non spettantegli, per il recesso della preponente dal rapporto di agenzia a causa di attività concorrenziale posta in essere dal primo, rispetto alla quale risulterebbe inconferente la brevità della sua durata temporale, per tale ragione essendone stata esclusa la restituzione dal Tribunale (primo motivo); violazione o falsa applicazione degli artt. 1743,1218,1223,1226 c.c., artt. 2 e 3 AEC 26 febbraio 2002 anche come error in procedendo, per erronea esclusione di un danno risarcibile in conseguenza dell’attività concorrenziale posta in essere dall’agente, incidendone la breve durata solo sull’entità e non sull’esistenza, ben liquidabile in via equitativa in considerazione della perdita di fatturato subita dalla società preponente (secondo motivo); violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., anche come error in procedendo, per erronea statuizione sulle spese giudiziali di primo grado, confermate dalla Corte territoriale nel regolamento del primo giudice (di compensazione per tre quarti e di condanna della società alla rifusione del residuo quarto all’ex agente) nonostante la sua piena soccombenza all’esito del giudizio di appello (per rigetto della domanda di pagamento dell’indennità di incasso, sola accolta in primo grado), con motivazione illogica e contraddittoria (terzo motivo);

3. il collegio ritiene che il primo motivo di ricorso principale, relativo alla spettanza all’agente dell’indennità di incasso, sia fondato;

3.1. preliminarmente verificata la rituale produzione in giudizio da D.P.S. del contratto individuale di agenzia e dell’AEC 26 febbraio 2002 (docc. 4 e 489 del suo fascicolo d’appello), occorre rilevare come il Tribunale abbia accertato in fatto la prova dell’abituale attività da parte dell’agente di incasso dai clienti (così al secondo capoverso di pg. 2 della sentenza) e che essa ben possa essere attribuita in qualunque forma e la relativa prova offerta nei modi ordinari, anche in via presuntiva (Cass. 7 luglio 2006, n. 15484; Cass. 8 giugno 2012, n. 9353); ed essere convenuta, in quanto non integrante elemento essenziale o naturale del contratto di agenzia, anche nel corso del rapporto di agenzia;

3.2. una tale attività di esazione ha pertanto natura di prestazione accessoria e ulteriore rispetto all’originario contratto, per cui dà diritto ad una remunerazione con autonoma indennità (Cass. 25 luglio 1995, n. 8110; Cass. 16 settembre 2013, n. 21079), che la Corte territoriale ha invece escluso per la sola ragione della contraria pattuizione contenuta nell’art. 10 del contratto di agenzia tra le parti (terz’ultimo e penultimo capoverso di pg. 4 della sentenza);

3.3. la negazione dell’indennità di incasso richiesta si fonda tuttavia su un’erronea interpretazione, ben sindacabile in questa sede di legittimità per la corretta deduzione del canone ermeneutico violato (art. 1362 c.c.) nell’ambito di una ricostruzione sistematica della comune intenzione delle parti, con la precisazione del suo discostamento da esso da parte della Corte territoriale (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350), limitatasi ad una mera interpretazione letterale della disposizione individuale atomisticamente considerata;

3.4. essa deve invece essere condotta nel più ampio contesto sistematico delle previsioni dell’AEC 26 febbraio 2002, secondo cui “qualora” all’agente “venga conferito l’incarico continuativo di riscuotere per conto della casa mandante, questa ultima stabilirà separatamente dalle competenze la provvigione di incasso” (art. 3, comma 4, prima parte) ed in tal caso “dovrà essere stabilito uno specifico compenso aggiuntivo, in forma non provvigionale” (art. 4, comma 6, ultima parte); esse sono più favorevoli rispetto a quella individuale unicamente considerata dalla Corte fiorentina e pertanto applicabili, ai sensi dell’art. 16 AEC cit., secondo il generale principio di efficacia vincolante degli accordi economici collettivi di diritto comune stipulati per la disciplina dei contratti di agenzia non solo per gli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti, ma anche per coloro che esplicitamente o implicitamente vi prestino adesione, senza che l’impresa mandante possa eccepire la propria appartenenza ad un settore produttivo diverso da quello al quale il contratto si riferisce (Cass. 14 gennaio 1999, n. 368), peraltro espressamente richiamato dall’art. 1 del contratto di agenzia;

4. il secondo motivo, relativo alla legittimità del recesso per giusta causa della preponente, è infondato;

4.1. quanto al profilo di error in procedendo, in merito al vizio di ultra o extrapetizione, occorre osservare come l’interpretazione della domanda operata dal giudice di merito sia insindacabile in sede di legittimità: non senza rilevare anche una modulazione strumentale della deduzione del ricorrente, che si duole proprio di quella interpretazione della domanda dalla Corte d’appello (sotto il profilo della concorrenza sleale), che aveva lamentato in sede di gravame essere frutto di una inammissibile modificazione del primo giudice (da recesso per detta ragione a violazione del diritto di esclusiva), censurata anch’essa per ultra o extrapetizione;

4.2. nel giudizio di legittimità deve, infatti, essere tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti la violazione del principio di corrispondenza della pronuncia alla domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne abbia dato il giudice del merito: nel primo caso, infatti, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta; nel secondo, invece, poichè l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. 7 luglio 2006, n. 15603; Cass. 18 maggio 2012, n. 7932; Cass. 21 dicembre 2017, n. 30684);

4.3. posto che l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, ove questi abbia espressamente statuito sulla domanda avanzata, ancorchè in ipotesi erroneamente, il suddetto difetto non è logicamente verificabile prima di avere accertato l’erroneità della relativa motivazione, sicchè l’errore può concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale (Cass. 18 aprile 2006, n. 8953; Cass. 5 febbraio 2014, n. 2630; Cass. 27 ottobre 2015, n. 21874: tutte in riferimento ad ipotesi di censura per ultrapetizione);

4.4. oggi il cono devolutivo è tanto più limitato, per effetto della novellazione del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che ne ha rigorosamente circoscritto l’ambito all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); sicchè la rilevanza del vizio di motivazione deve essere interpretata come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità, ossia alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento alla previsione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”; ed essa si configura quando la motivazione manchi del tutto (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione) ovvero esista solo formalmente come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);

4.5. quanto al profilo di error in iudicando, relativo all’individuazione di un inadempimento dell’agente ai propri obblighi contrattuali senza un accertamento di gravità, sottende una sollecitazione di revisione del merito;

4.6. non sussiste, infatti, la violazione di norme denunciata, avendo la Corte territoriale accertato la legittimità del recesso, per la contestata ragione di attività concorrenziale in contrasto con il regolamento contrattuale tra le parti (per le ragioni esposte dal penultimo capoverso di pg. 3 al secondo di pg. 4 della sentenza), correttamente interpretato, senza inosservanza dei canoni ermeneutici denunciati, in base a criteri sussidiari in presenza di un chiaro tenore letterale esattamente valorizzato (divieto espresso dell’art. 7D di assunzione di interessi direttamente o per interposta persona presso ditte concorrenti: al secondo capoverso di pg. 4 della sentenza), quali l’argomento sistematico (art. 1363 c.c.) e del comportamento successivo delle parti (art. 1362 c.c., comma 2): per giunta, in base a fatti di cui è stato denunciato l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, inconfigurabile a norma dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5 (in difetto di indicazione e dimostrazione dalla parte ricorrente, per evitare l’inammissibilità del motivo, della diversità delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello: Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774), applicabile ratione temporis, per interposizione dell’appello dopo il 12 settembre 2012;

4.7. in ogni caso, non si configura alcun fatto storico che non sia stato esaminato, non potendo essere ravvisato nelle risultanze istruttorie prospettate;

5. il terzo motivo, relativo a vizi di mancato riconoscimento delle indennità di fine rapporto e risarcitoria, ai sensi dell’art. 1751 c.c., è assorbito dal rigetto del precedente;

6. il quarto motivo, riguardante la spettanza all’agente di maggiori compensi provvigionali su alcuni clienti per unilaterale riduzione dalla preponente, è fondato;

6.1. non è sufficiente, ai fini della sua esclusione, la mera “accettazione tacita e prolungata nel tempo… da parte dell’agente di tutti gli estratti conto provvigionali trasmessi periodicamente…” per “desumere indirettamente anche l’accettazione delle differenti condizioni economiche riconosciute dalla mandante per alcuni specifici affari” (sesto capoverso di pg. 4 della sentenza);

6.2. la non contestazione degli estratti conto spiega, infatti, un’efficacia limitata agli accrediti e agli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonchè alla verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate (con conseguente decadenza delle parti dalla facoltà di proporre eccezioni relative ad esse), senza tuttavia impedire la formulazione di censure concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti (Cass. 19 marzo 2007, n. 6514; Cass. 26 maggio 2011, n. 11626; Cass. 17 novembre 2016, n. 23421; Cass. 20 novembre 2018, n. 30000);

6.3. sicchè, deve essere esclusa una tacita rinuncia ai maggiori compensi provvigionali, posto che, pur potendo la rinuncia ad un diritto oltre che espressa essere anche tacita, in tale ultimo caso può desumersi soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco la sua effettiva e definitiva volontà abdicativa: al di fuori dei casi in cui gravi sul creditore l’onere di rendere una dichiarazione volta a far salvo il suo diritto di credito, non potendo il silenzio o l’inerzia essere interpretati quale manifestazione tacita della volontà di rinunciare al diritto di credito, che mai può essere oggetto di presunzioni (Cass. 25 agosto 1999, n. 8891; Cass. 21 giugno 2005, n. 13322; Cass. 22 aprile 2009, n. 9547; Cass. 5 febbraio 2018, n. 2739);

7. il primo motivo di ricorso incidentale, relativo ad omessa pronuncia sulla domanda di restituzione dell’indennità di fine rapporto (firr) percepita dall’agente, è infondato;

7.1. non ricorre il vizio di omessa pronuncia, avendo la Corte territoriale esplicitamente rigettato (Cass. 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718) le richieste risarcitorie della proponente, “confermata la decisione del Tribunale” (all’ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza), pure con adeguata argomentazione (ai primi periodo e capoverso di pg. 5 della sentenza), senza alcun vizio di motivazione a tal punto radicale da produrre la nullità della sentenza per violazione della norma denunciata come error in procedendo, non individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile” (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. 25 settembre 2018, n. 22598); neppure riscontrandosi alcun contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendano incomprensibili le ragioni poste a base della decisione, integrante la nullità denunciata (Cass. 25 giugno 2018, n. 16611);

8. il secondo motivo, relativo ad erronea esclusione di un danno risarcibile in conseguenza dell’attività concorrenziale dell’agente, è inammissibile;

8.1. premessa la non risarcibilità del danno denunciato in re ipsa, la Corte territoriale ha accertato in fatto la mancanza di prova della sua esistenza con argomentazione congrua (ai primi periodo e capoverso di pg. 5 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità, cui non deferibile il riesame del merito decisorio, sollecitato dalla ricorrente con la contestazione dell’accertamento in fatto e della valutazione probatoria (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679), tanto meno nel più rigoroso ambito devolutivo del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);

9. il terzo motivo, relativo ad erronea statuizione sulle spese giudiziali di primo grado, è inammissibile;

9.1. non è infatti sindacabile in sede di legittimità la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito, se non nel caso di violazione del divieto, posto dall’art. 91 c.p.c., di porre anche parzialmente le spese a carico della parte vittoriosa (Cass. 7 marzo 2001, n. 3272; Cass. 31 luglio 2006, n. 17450; Cass. 6 ottobre 2011, n. 20457): ipotesi qui non ricorrente, per la mantenuta reciproca soccombenza tra le stesse, anche in esito alla riforma parziale della sentenza di primo grado, con diversa quota di compensazione tra le parti congruamente giustificata dalla Corte territoriale;

10. dalle superiori argomentazioni discende allora l’accoglimento del primo e del quarto motivo di ricorso principale, con rigetto degli altri e del ricorso incidentale, la cassazione della sentenza, con rinvio anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione;

11. ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso principale, rigettati gli altri e il ricorso incidentale; cassa la sentenza, in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2019

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