Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12543 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/05/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 12/05/2021), n.12543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33982-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

B.B., titolare dell’omonima ditta individuale,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARINA GUARINONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 815/6/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del VENETO, depositata il 09/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza n. 815/06/2018, depositata il 18 luglio 2018, con la quale la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello di B.B., titolare di ditta individuale, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Padova, che aveva rigettato il ricorso del medesimo contribuente contro l’avviso d’accertamento emesso nei suoi confronti, per l’anno d’imposta 2007, in materia di Irpef, Irap ed Iva, con il quale erano stati disconosciuti i costi relativi alle prestazioni fatturate dalla ditta individuale di C.F., in quanto inerenti a prestazioni oggettivamente inesistenti, con conseguente determinazione del maggior imponibile e delle maggiori imposte dovute.

La CTR, infatti, ha accolto l’appello del contribuente e per l’effetto, in riforma della sentenza della CTP, ha dichiarato illegittimo l’avviso d’accertamento.

Il contribuente si è costituito con controricorso.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

La ricorrente Agenzia ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo l’Ufficio deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la “falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 115c.p.c., comma 1 e dell’art. 116 c.p.c., comma 1”.

Assume infatti l’Amministrazione ricorrente che il giudice a quo, nell’accogliere l’appello, ha errato nel recepire, senza vaglio critico, l’esito del procedimento penale instaurato nei confronti del contribuente per reati fiscali relativi alle operazioni in questione e concluso con l’archiviazione disposta dal G.I.P.

Aggiunge poi l’Agenzia che, avendo l’accertamento per oggetto il disconoscimento di costi, era onere dello stesso contribuente dimostrarne l’effettività, ai fini della deducibilità.

Tanto premesso, secondo l’Agenzia, la CTR avrebbe “palesemente violato i principi dell’onere della prova e della valutazione delle prove”.

Il motivo è inammissibile, atteso che evidenzia, tanto nella rubrica quanto nel corpo dell’esposizione, una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, che comporta l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793).

Pertanto, i distinti vizi, cumulati formalmente nella rubrica del primo motivo di ricorso, risultano, nel contenuto di quest’ultimo, censure non ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, essendo inammissibile un intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.

Ed invero, come già questa Corte ha avuto occasione di chiarire, ” In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c..” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018).

Quanto poi alla pretesa violazione dell’art. 116 c.p.c., questa Corte ha, anche recentemente, precisato che ” In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.” (Cass., Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).

Alla luce di tali precedenti giurisprudenziali appare quindi tanto più evidente come l’Ufficio ricorrente abbia inserito, nell’unico motivo del preteso errore in procedendo, fattispecie patologiche tra loro differenti ed inconciliabili, senza porle in alcuna relazione logica e senza graduarne l’ipotetica rilevanza, così non consentendo di comprendere di quale di esse (l’inversione dell’onere della prova previsto dalla legge, l’utilizzazione di prove officiose al di fuori dei limiti di legge, l’attribuzione alle prove di un valore diverso da quello previsto dal legislatore o la libera valutazione del materiale istruttorio?) abbia effettivamente inteso censurare.

Nè, peraltro, tale carenza del ricorso può ritenersi emendata dalla memoria erariale, atteso che la memoria di cui all’art. 378 c.p.c. ha la sola funzione di illustrare i motivi del ricorso, e non è pertanto idonea a far venire meno una causa di inammissibilità dei motivi stessi, sostituendosi, quoad effectum, ad essi (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7260 del 07/04/2005, in materia di inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza del ricorso; conformi, ex plurimis, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7237 del 29/03/2006; Cass., Sez. 6 – 3, Sentenza n. 3780 del 25/02/2015; Cass., sez. 6 – 3, Ordinanza n. 5355 del 07/03/2018).

1.1. Premessa l’inammissibilità del motivo, esso è anche infondato, laddove l’attribuzione all’Amministrazione dell’onere di provare (eventualmente anche tramite elementi indiziari gravi, precisi e concordanti), che siano oggettivamente inesistenti le operazioni rispetto alle quali assume l’indetraibilità e l’indeducibilità dei componenti passivi, corrisponde a quanto già affermato da questa Corte, quando ha precisato che ” In tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018; conforme Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 27554 del 30/10/2018; Cass., ez. 5 -, Sentenza n. 33915 del 19/12/2019, in motivazione, al punto 5).

In questi termini, non ha quindi errato la CTR nel ritenere che fosse onere dell’Amministrazione fornire un “quadro indiziario” in ordine al ” presupposto delle operazioni oggettivamente inesistenti posto a base dell’accertamento impugnato”.

1.2. Quanto poi alla censura alla valutazione della CTR in ordine al mancato adempimento di tale segmento dell’onere della prova, gravante sull’Amministrazione, il motivo è ulteriormente inammissibile, giacchè non coglie la ratio decidendi espressa dalla CTR, che non ha trasfuso acriticamente nel giudizio tributario l’archiviazione disposta dal Gip nel relativo procedimento penale, attribuendo a tale provvedimento una valenza pregiudiziale, ma ha invece premesso che da esso emergevano “elementi di fatto” che, “pur non essendo automaticamente trasferibili in sede tributaria- hanno messo gravemente in dubbio la tenuta logica del quadro indiziario posto a base dell’accertamento”.

La stessa CTR ha quindi escluso espressamente quell’automatica trasfusione, o pregiudizialità, degli esiti del procedimento penale nel giudizio tributario, censurata dall’Ufficio ricorrente, ed ha effettuato una valutazione della rilevanza indiziaria del contenuto dell’archiviazione, che la ricorrente non ha censurato nè sotto il profilo della correttezza del ragionamento inferenziale (ovvero ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c.); nè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nei termini in cui ciò sia ammissibile.

2.Con il secondo motivo l’Ufficio deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19”, assumendo che la CTR avrebbe riqualificato le operazioni, ritenute dall’accertamento oggettivamente inesistenti, in soggettivamente inesistenti, con la conseguenza che allora l’Iva non sarebbe stata comunque detraibile, in quanto le relative fatture sarebbero state emesse da chi non era controparte del rapporto relativo alle operazioni fatturate.

Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi espressa nella sentenza impugnata, nella cui motivazione non si legge che le operazioni in questioni siano da ritenersi soggettivamente inesistenti, in quanto fornite da altri soggetti piuttosto che dal C., che le ha fatturate.

Si legge invece nella motivazione, che riproduce il virgolettato attribuito al provvedimento di archiviazione, che “… C. si serviva, per le sue prestazioni, di mezzi presi in affitto o noleggio da altri e di manodopera che non risultava dipendente dalla sua ditta” e che “in base a tale dato di fatto si è escluso che i clienti di C., tra cui B. non avessero mai ricevuto le prestazioni fatturate, “… ben potendo essere accaduto che siano state rese da altri soggetti, nella convinzione dei clienti che fosse la ditta di C. a fornirle…”.

Fatte tali premesse, la motivazione si conclude con la riaffermazione esplicita che non è stato dimostrato il presupposto delle “operazioni oggettivamente inesistenti”, che era il thema decidendum effettivamente controverso, corrispondente alla ricostruzione fattuale sostenuta dall’Ufficio, come risulta dallo stesso ricorso, oltre che dalla sentenza impugnata.

Alla ricostruzione così proposta dalla CTR non si può attribuire inequivocabilmente il significato dell’accertamento che le prestazioni siano state fornite da un soggetto diverso e siano quindi soggettivamente false, poichè essa riconosce anzi un ruolo effettivo allo stesso C., definendo infatti le prestazioni come “sue” e ricollegando comunque sostanzialmente allo stesso mezzi e manodopera (ovvero gli “altri soggetti”) utilizzati.

Tanto premesso, deve poi rilevarsi che difetterebbe pure, al fine di configurare nella predetta motivazione il preteso accertamento della sussistenza di operazioni soggettivamente inesistenti, il necessario riferimento alla prova della consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta (cfr. Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 15369 del 20/07/2020, ex plurimis), che anzi sarebbe esclusa dal passaggio della motivazione relativo alla “…convinzione dei clienti che fosse la ditta di C. a fornirle…”.

Non può quindi concordarsi con la tesi della ricorrente Amministrazione che attribuisce alla decisione impugnata l’affermazione, in parte qua, di una ratio decidendi, in ordine alla natura soggettivamente inesistente delle operazioni, che ecceda quella, esplicita, dell’affermazione che non è stato dimostrato il presupposto delle “operazioni oggettivamente inesistenti”.

Non emerge pertanto (a prescindere da ogni considerazione sulla sua legittimità) quella “riqualificazione” ufficiosa, fondata su una diversa ricostruzione fattuale, che assume il secondo motivo di ricorso.

Va quindi ricordato che, secondo questa Corte, “In tema di ricorso per cassazione, è necessario che venga contestata specificamente la “ratio decidendi” posta a fondamento della pronuncia impugnata.” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017).

3. Le spese seguono la soccombenza.

4. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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