Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12541 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/05/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 12/05/2021), n.12541

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33756-2019 proposto da:

A.F., in qualità di ex socio della MARMI ELITE SRL,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI N. 63, presso lo

studio dell’avvocato DAMIANO COMITO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1925/3/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 02/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. A.F. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza n. 1925/03/2019, depositata il 2 aprile 2019, con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva accolto il ricorso del contribuente contro l’avviso d’accertamento emesso nei suoi confronti, per l’anno d’imposta 2008, in materia di Irpef, e relativo all’attribuzione di maggiori ricavi per effetto del disconoscimento, da parte dell’Amministrazione, di costi relativi ad operazioni oggettivamente inesistenti.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo il contribuente deduce “Violazione e falsa applicazione dei principi e delle norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3). Errore diritto. Travisamento dei fatti (art. 360 c.p.c., n. 3).”.

Come eccepito dalla controricorrente, il motivo è inammissibile per diverse ragioni, ciascuna di per sè sola sufficiente alla relativa declaratoria di inammissibilità.

Invero, non solo nella rubrica del motivo, ma anche (tanto più) nel corpo di esso sono coacervate, in maniera inestricabile, una serie di censure di natura tra loro non solo eterogenea, ma anche inconciliabile, senza che possa immediatamente ed univocamente individuarsi quale sia il vizio, tra quelli tassativamente indicati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, che il ricorrente ha inteso effettivamente imputare alla sentenza impugnata.

Convivono infatti, confuse nel medesimo flusso di argomentazione che costituisce il corpo unitario dell’identico motivo, senza gradazione ed ordine logico, eterogenee considerazioni del ricorrente relative alla validità della delega al funzionario che ha sottoscritto l’accertamento; alla pretesa inammissibilità della produzione di nuovi documenti nell’appello tributario; all’asserita necessità della comunicazione dell’avviso di trattazione della pubblica udienza dell’appello alla parte appellata contumace; alla decadenza del potere d’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, all’inapplicabilità del raddoppio dei termini al caso di specie, all’onere della prova dei relativi presupposti ed all’intervenuta prescrizione del reato tributario; alla mancata allegazione di un processo verbale di constatazione all’avviso d’accertamento; alla “probabile mancanza di offensività dell’illecito penale contestato”; all'”onere della prova sulla fondatezza della notitia criminis”; al “macroscopico erroneo presupposto che il ricorrente fosse titolare della quota sociale nella nella misura del 50% anzichè del 25%”; alla “illogica, apodittica e contraddittoria” parte motiva della sentenza.

Da tale unico ed indistinto flusso narrativo-argomentativo, che si dispiega da pag. 9 a pag. 16 del ricorso, deriverebbe infine, chiosa il ricorrente “quale logico corollario che la sentenza impugnata risulta inficiata da palesi vizi di violazione e/o falsa applicazione di legge di principi e delle norme in materia di processo tributario oltre che errore e travisamento dei fatti che si traduce pertanto in un’insufficiente e/o illogica motivazione della sentenza di secondo grado.”.

Rammentato che il ricorso per cassazione non è un mezzo a critica libera della decisione d’appello, deve rilevarsi che il complesso di tali argomentazioni comporta una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, con l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie, i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793) ed i pretesi errori in procedendo.

Si tratta quindi di censure non ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili dal corpo del ricorso, non essendo ammissibile un intervento, da parte di questa Corte, che, in luogo del ricorrente, selezioni e ricostruisca ciascun ipotetico mezzo d’impugnazione, lo riconduca ad una delle fattispecie tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, ed instauri una relazione logica, eventualmente di graduazione, tra i vari motivi così ricavati.

E’ stato infatti chiarito che “Per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati “causa petendi” e “petitum”, nonchè degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perchè tanto equivarrebbe a devolvere alla S.C. un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che e riservata invece al ricorrente. Il requisito non è adempiuto, pertanto, laddove i motivi di censura si articolino in un’inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, riproduzione di atti e documenti incorporati nel ricorso, argomentazioni delle parti e frammenti di motivazione della sentenza di primo grado.” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13312 del 28/05/2018).

Per effetto della predetta formulazione del ricorso, inoltre, non sussistono, neppure i requisiti minimi di ammissibilità prescritti, quale onere di contenuto-forma, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo ribadito questa Corte che ” In tema di ricorso per cassazione, il principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, richiede per ogni motivo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto nonchè l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia.” (Cass., Sez. L -, Ordinanza n. 17224 del 18/08/2020).

Per le predette modalità di formulazione del corpo del ricorso difetta inoltre la necessaria specifica correlazione critica delle (indistinte) plurime censure alla sentenza impugnata ed alla sua ratio decidendi, mancando, con riferimento a ciascuna di esse, ” l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza.” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009).

Non esclude l’inammissibilità il generico riferimento, nella conclusione del motivo, al “travisamento dei fatti”, non ricondotto puntualmente e specificamente ad uno dei motivi di ricorso per cassazione tassativamente prescritti dal legislatore, e configurato in alternativa paritetica con l'”errore”, a sua volta non altrimenti classificato.

Altrettanto inammissibile, per genericità, è l’indistinta riconduzione, nella medesima conclusione, delle violazioni di legge alla “materia del processo tributario”.

Ulteriore ragione di inammissibilità, poi, deriva dal mancato adempimento, nel corpo del motivo, dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito. (Cass., 15/01/2019, n. 777; Cass., 18/11/2015, n. 23575; Cass., S.U., 03/11/2011, n. 22726).

Invero, è stato altresì precisato che: ” In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto.” (Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018).

Nel caso di specie, per tutte le ragioni sinora esposte, tale onere non è stato adempiuto.

2. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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