Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12539 del 09/06/2011

Cassazione civile sez. un., 09/06/2011, (ud. 24/05/2011, dep. 09/06/2011), n.12539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. DE LUCA Michele – Presidente di sezione –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23901/2010 proposto da:

D.F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

TRASTEVERE 78, presso lo studio dell’avvocato CORSO Guido, che lo

rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;

– controricorrente –

contro

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TRIONFALE

7032, presso lo studio dell’avvocato GOGGIAMANI Dimitri, che lo

rappresenta e difende, per delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 130/2010 della CORTE CONTI -Sezione

giurisdizionale d’appello per la regione siciliana – PALERMO,

depositata il 03/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

24/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO;

uditi gli avvocati Guido CORSO, Dimitri GOGGIAMANI;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. CENICCOLA

Raffaele, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Procura della Corte dei Conti per la regione Sicilia, su informativa del P.M. presso il tribunale di Palermo che procedeva per i reati di falso, abuso di ufficio e corruzione, conveniva davanti a quella Sezione giurisdizionale regionale D.F.G., dirigente della Regione Sicilia, B.L., funzionario dell’UTE di Roma, ed altri amministratori regionali per il danno erariale subito dalla regione Sicilia nella misura di Euro 2.490.000//00, quale danno patrimoniale, e di eguale somma quale danno non patrimoniale, per una serie di illeciti commessi nelle procedure di acquisto di un immobile in Roma, da adibire a rappresentanza. Il procedimento penale si concluse nei confronti del B. con sentenza emessa a norma dell’art. 444 c.p.c. (c.d.

patteggiamento) e nei confronti di D.F. con sentenza di condanna.

La sezione giurisdizionale regionale della Corte dei Conti affermava la responsabilità amministrativa del D.F. e del B. e li condannava a pagare in solido alla regione la somma di Euro 220.000,00, con rivalutazione ed interessi per danno patrimoniale dall’anno 1991 ed Euro 105.000//00 per danno all’immagine.

La sezione giurisdizionale di appello della Corte dei conti per la regione Sicilia, adita dai convenuti condannati, con sentenza depositata il 3.5.2010, rigettava l’appello.

In particolare il giudice di appello riteneva che nella fattispecie sussistesse la giurisdizione della Corte dei Conti anche nei confronti del B., funzionario dell’UTE e non della regione, nonostante che il fatto si fosse verificato anteriormente all’entrata in vigore della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, in quanto nell’attività del B., che quale tecnico UTE aveva redatto la stima di congruità e poi il verbale di consegna, era ravvisabile il rapporto di servizio in senso lato. Riteneva poi la sezione giurisdizionale che sulla base delle prove raccolte in sede penale, autonomamente ed esattamente valutate dal primo giudice, andava affermata la responsabilità amministrativa del B..

Quanto al D.F., riteneva il giudice di appello che la sentenza penale di condanna emessa in sede dibattimentale vincolava il giudice contabile quanto alla sussistenza del fatto di reato ed alla sua imputabilità al convenuto, dovendosi solo verificare la sussistenza del danno erariale e la sua riconducibilità al convenuto; che l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p. per violazione dell’art. 103 Cost., era manifestamente infondata, in quanto nel caso in esame “il fatto si è rilevato sovrapponibile con quello accertato dal giudice penale”, in particolare risultante dalla sentenza della Cassazione penale 27.7.2007, n. 30757.

Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione D. F.G. e ricorso incidentale B.L.. Resiste con due controricorsi il procuratore generale presso la Sezione giurisdizionale di appello della Corte dei Conti per la regione Sicilia. Il D.F. ha presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi. Quanto al ricorso proposto da D.F.G., va, anzitutto, rigettata l’eccezione del resistente di inammissibilità del ricorso per non essere stata riproposta in appello l’eccezione di difetto di giurisdizione. Infatti con l’appello il D.F. aveva censurato la sentenza di primo grado per omesso esercizio della giurisdizione da parte del giudice contabile, che si era adeguato al giudicato penale, a norma dell’art. 651 c.p.p..

1.2. Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione del ricorrente di illegittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p., per contrasto con l’art. 103 Cost., comma 2, nella parte in cui attribuisce efficacia vincolante al giudicato penale di condanna nel giudizio amministrativo per risarcimento del danno. Ritiene il ricorrente che l’art. 651 c.p.p., prevedendo un vincolo nel “giudizio amministrativo” per il risarcimento del danno e, quindi, nel processo di responsabilità amministrativa, derivante dal giudicato penale, sia pure relativamente all’accertamento del fatto ed all’imputabilità di questo all’agente, comporta la violazione dell’art. 103 Cost., in quanto tali fatti – in luogo di essere sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti – finiscono per essere sostanzialmente sottoposti alla giurisdizione del giudice ordinario penale.

2.1. L’eccezione è manifestamente infondata.

Secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale l’art. 103 Cost., comma 2, stabilisce il carattere della tendenziale e non assoluta generalità della giurisdizione della Corte dei conti sulla materia della contabilità pubblica (della quale, peraltro, è dubbia la coincidenza con il c.d. danno alle risorse pubbliche o alla finanza pubblica).

La sua concreta attribuzione, però, richiede l’interpositio legislatoris, all’esito di valutazioni che non toccano soltanto gli aspetti procedimentali dei giudizio, ma investono scelte in ordine a diversi regimi sostanziali della responsabilità e del giudizio tali da comportare effetti diversi nei riguardi tanto dei responsabili che dei soggetti danneggiati, sicchè soltanto al legislatore può spettare di valutare se e quali siano le soluzioni più idonee alla salvaguardia dei pubblici interessi insiti nella materia (vd., ad es., Corte cost. n. 307 de 1998; vd. anche n. 46 del 2008, n. 371 del 1998, n. 307 del 1998, n. 385 del 1996, n. 24 del 1993, n. 641 del 1987, n. 189 del 1984, n. 129 del 1981, n. 102 del 1977, n. 33 del 1968).

2.2.A tal fine occorre rilevare che la dottrina evidenzia correttamente che l’interpositio legislatoris, può presentarsi in due forme:

a)come interpositio in “positivo”, propria della responsabilità amministrativa, nella quale l’intervento del legislatore ordinano rileva per la determinazione dell’ambito e degli elementi della responsabilità stessa (v. Corte cost. (Ord.), 22/07/1998, n.307);

b)come interpositio in “negativo”, propria della responsabilità contabile in senso stretto, per la quale occorre, per escludere la giurisdizione della Corte dei conti per tale forma di responsabilità, un’espressa deroga alla generale attribuzione ed estensione, fondata esclusivamente sull’art. 103 Cost., nella quale è ricompresa totalmente ratione materiae (vedasi: Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 27/03/2007, n. 7390).

2.3. Il giudice delle leggi ha statuito, in relazione alle norme ancora più vincolanti del c.p.p. 1930, ispirato al principio dell’unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su tutti gli altri, che il limite funzionale della “interpositio” del legislatore attiene a scelte discrezionali del legislatore in ordine a diversi regimi della responsabilità e del giudizio. Pertanto la Corte Costituzionale ha ritenuto “non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 c.p.p. (1930), in relazione all’art. 489 c.p.p., comma 2, laddove precludeva l’azione di responsabilità amministrativa nei confronti del pubblico dipendente, in presenza del giudicato penale che abbia provveduto alla liquidazione del danno in favore della Pubblica Amministrazione costituitasi parte civile, non essendo precluso al giudice penale, sulla base di quella norma di disporre sul quantum del risarcimento, per preteso contrasto con l’art. 103 Cost., comma 2, che riserverebbe alla Corte dei Conti la giurisdizione in materia di responsabilità per danno erariale, anche se derivante da reato del pubblico dipendente, in quanto la disposizione secondo cui il giudice penale decide sulla liquidazione dei danno salvo che non sia stabilita la competenza di un altro giudice, va interpretato alla luce della normativa vigente al riguardo e delle statuizioni specificamente regolanti le singole materie, che, nel caso di specie, non attribuiscono alla Corte dei Conti una riserva di competenza” (Corte Cost., 07/07/1988, n. 773).

2.4. In applicazione del suddetto principio e della scelta discrezionale del legislatore, a maggior ragione è manifestamente infondato il prospettato difetto di legittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p. vigente, atteso che tale norma (come quella di cui agli artt. 652, 653 e 654 c.p.p.) si pone come un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione tra i giudizi penali, civili ed amministrativi, e come tale soggetta ad un’interpretazione restrittiva e non applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti (Cass. S.U. 26.1.2011, n. 1768).

2.5. Ricollegandosi a tali enunciazioni, questa Corte, con orientamento del pari consolidato, ha puntualizzato che giurisdizione penale e giurisdizione civile per risarcimento dei danni derivanti da reato, da un lato, e giurisdizione contabile, dall’altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale e l’eventuale interferenza che può determinarsi tra tali giudizi pone esclusivamente un problema di proponibilità dell’azione di responsabilità e di preclusione da giudicato e non una questione di giurisdizione (Cass. 3 febbraio 1989, n. 664; ord. 21 maggio 1991, n. 369; 23 novembre 1999, n. 82; 26/11/2004, n. 22277; 24/03/2006, n. 6581).

Inquadrata la questione nello schema della preclusione da giudicato penale e non della giurisdizione emergono anche profili di irrilevanza della sollevata eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p. in questa sede di ricorso per cassazione, ammissibile solo per difetto di giurisdizione, avverso le sentenze emesse dalla Corte dei Conti.

3.Ritenuta manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p., va rigettato anche il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente D.F. lamenta il difetto di giurisdizione della Corte dei conti per non avere accertato autonomamente il fatto, che è cagione del danno erariale, reputando incontestabile l’accertamento compiuto dal giudice penale del fatto-reato.

4. L’art. 651 c.p.p., comma 1, statuisce che “La sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale”.

La sentenza impugnata, quindi, nel riportarsi al giudicato penale quanto all’accertamento della sussistenza dei fatti di reato ed la loro imputabilità (anche) al D.F., ha correttamente applicato la disciplina di cui all’art. 651 c.p.p..

Va pertanto rigettata la censura di difetto di giurisdizione di cui al primo motivo di ricorso.

5. Passando ad esaminare il ricorso incidentale di B. L., va rilevato che lo stesso con il primo motivo lamenta la carenza di giurisdizione della Corte dei Conti e la violazione della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, in relazione all’art. 362 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 1.

Assume il ricorrente che erroneamente è stata riconosciuta la sua responsabilità amministrativa, pur non essendo egli dipendente della regione Sicilia, danneggiata, ma dello Stato, in quanto dipendente dell’UTE di Roma, e pur essendosi il fatto verificato nell’anno 1991 e quindi, prima dell’entrata in vigore della L. n. 20 del 1994.

Assume il ricorrente incidentale che il preteso rapporto di servizio con la regione Sicilia, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non poteva ritenersi instaurato nella fattispecie nè sulla base della sua relazione di stima, nè del verbale di consistenza e presa in consegna, a quale ultimo egli si limitò a partecipare in presenza di un rappresentate della regione.

Secondo il ricorrente la sua posizione sia nella stima che nella consegna del bene, era parificabile a quella di un libero professionista ed egli non aveva esercitato nè funzioni e compiti autoritativi o a rilevanza esterna o in rappresentanza nè aveva emesso alcun parere obbligatorio, a cui la regione era tenuta ad adeguarsi, nè si era immesso nel possesso del bene in rappresentanza dell’Ente. Assume poi il ricorrente che la perizia estimativa da lui redatta non era obbligatoria, ma facoltativa per le regioni che “potevano” avvalersi degli Uffici dell’UTE. La mancanza del rapporto di servizio comportava, secondo il ricorrente, il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti.

6. Il motivo è infondato.

I fatti addebitati al ricorrente rimontano al 1991.

A tale data non era ancora entrata in vigore la L. 14 gennaio 1994, n. 20, che ha esteso la giurisdizione della Corte dei conti alla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche per il caso in cui il danno fosse stato cagionato ad enti o amministrazioni diverse da quelli di appartenenza. Deve pertanto in proposito ribadirsi il principio – che consente di risolvere in modo assorbente il quesito sulla giurisdizione posto dal ricorrente – costantemente affermato da questa Corte, secondo il quale perchè sussista la giurisdizione della magistratura contabile in relazione a fatti commessi dagli amministratori e dipendenti pubblici anteriormente alla L. n. 20 de 1994, così come autenticamente interpretata dalla L. n. 639 del 1996, art. 3 deve essere configurabile una loro responsabilità patrimoniale amministrativa, basata sull’esistenza di un rapporto di servizio tra l’autore del danno e l’ente danneggiato e sui doveri ad esso inerenti, ricadendo invece nella giurisdizione ordinaria la responsabilità extracontrattuale verso enti con cui manca tale rapporto di servizio(Cass. sez. un. 30 gennaio 2003, n. 1472; 25 ottobre 1999, n. 744; 14 maggio 1998, n. 4874; 9 settembre 2008, n. 22652).

In questo secondo caso, il soggetto esterno resta tale, ma è inserito per la quota di attività che dedica alla pubblica amministrazione, nell’organizzazione funzionale dell’amministrazione o dell’ente (e ad ogni altra attività restando estranee le regole pubblicistiche della responsabilità).

Solo in questi termini di inserimento della prestazione resa dal soggetto (pure formalmente estraneo all’amministrazione) nell’attività propria della p.a., che se la riceve, il tutto sulla base di consensi formali o di fatto, si intende come a volte si sia parlato di “responsabilità patrimoniale amministrativa di natura contrattuale”, rientrante nella giurisdizione della Corte dei conti, contrapposta a responsabilità extracontrattuale verso enti terzi, con cui non vi è alcun legame giuridico o di fatto, sottoposta invece alla giurisdizione ordinaria (Cass. S.U. 25.2.2010, n. 4549).

7.1. Nella fattispecie la sentenza impugnata ha accertato che il B., per quanto non dipendente della Regione Sicilia, ma funzionario dell’Ufficio Tecnico erariale di Roma, a seguito della richiesta della regione Sicilia prot. n. 4205 del 1990, era intervenuto nel procedimento dell’acquisizione dell’immobile, sia effettuando una perizia estimativa dello stesso, rendendo il parere di congruità ai sensi della circolare ministeriale n. 5 del 5.2.1990, sia partecipando al verbale di consistenza dell’immobile medesimo al momento della presa in consegna da parte di un rappresentante della regione, e dunque, stabilendo quella relazione funzionale,che caratterizza un rapporto di servizio, inserendosi funzionalmente nella attività propria dell’Ente regionale.

7.2. Di nessun rilievo è l’osservazione del ricorrente, secondo cui la attività svolta non era obbligatoria, ma facoltativa, poichè le regioni “possono avvalersi degli Uffici UTE”.

Infatti ciò attiene alla scelta iniziale della regione sul punto se avvalersi dell’attività del funzionario dell’UTE o di un funzionario del proprio ufficio tecnico o di un libero professionista.

Tuttavia, allorchè la regione ha effettuato la scelta del soggetto con cui instaurare il rapporto funzionale per quella specifica attività, anche ove questo soggetto sia estraneo alla p.a., si instaura un rapporto di servizio relativamente all’attività effettivamente prestata dal soggetto e ricevuta dall’Ente.

8. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’omesso esercizio della giurisdizione da parte della Corte dei conti.

Violazione dell’art. 103 Cost., comma 2, e della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, in relazione all’art. 362 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 1.

Assume il ricorrente che sussiste il difetto di giurisdizione della Corte dei conti che non ha accertato direttamente i fatti di causa, ma si è rimessa agli accertamenti effettuati da giudice penale, in un procedimento conclusosi con sentenza di patteggiamento a norma dell’art. 444 c.p.p. e, quindi, senza efficacia di giudicato.

Lamenta poi il ricorrente che nella fattispecie la corte ha posto a base della sua decisione prove raccolte nella fase delle indagini preliminari e quindi senza alcun contraddittorio nei suoi confronti.

Infine, in via gradata, il ricorrente solleva la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p., nella parte in cui prevede il vincolo de giudicato penale nel giudizio amministrativo di risarcimento del danno, nei termini in cui è stata sollevata, ai fini della giurisdizione dal ricorrente principale D. F..

9.1. Infondate sono le censure attinenti ad un preteso difetto di giurisdizione per mancato accertamento dei fatti direttamente da parte de giudice contabile, che, invece, si sarebbe riportato agli accertamenti effettuati dal giudice penale nonchè alla sentenza di patteggiamento.

Infatti la libera scelta effettuata dal giudice contabile di avvalersi delle prove raccolte in sede penale, sottoponendole a propria autonoma valutazione, non comporta un diniego della sua giurisdizione in favore di quella del giudice penale, che ha raccolto tali elementi probatori o indiziari, in quanto è proprio l’autonomia nella scelta del materiale probatorio e nella valutazione dello stesso , che garantisce la giurisdizione del giudice contabile.

9.2. Anche in relazione alla censura secondo cui tali prove nella fattispecie non sarebbero utilizzabili nei confronti del ricorrente perchè non raccolte in suo contraddittorio, va osservato che ciò non investe una questione attinente ai limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti e, come tale, è inammissibile.

Anche a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo nella formulazione dell’art. 111 Cost., il sindacato delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulle decisioni rese dalla Corte dei Conti è limitato all’accertamento dell’eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte dei giudice contabile, ovvero all’esistenza di vizi che riguardano l’essenza di tale funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio, restando, per converso, escluso ogni sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, cui attengono gli “errores in iudicando” o “in procedendo”. A tal riguardo, la censura relativa alla legittimità ed utilizzabilità delle prove penali esaminate, riguardando la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale del giudice adito, rimane estranea al controllo e al superamento dei limiti esterni della giurisdizione (cfr., con riguardo al sindacato delle S.U. su decisioni dei Cons. Stato, Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 16/02/2009, n. 3688).

10. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p., prima ancora che manifestamente infondata (v. punto 2.2.), è palesemente irrilevante ed inconferente.

Infatti la sentenza impugnata non ha invocato nei confronti del B., alcun giudicato penale, dando atto che nessuna sentenza di condanna era stata emessa nei confronti dello stesso, essendosi il giudizio penale concluso con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’art. 444 c.p.p..

11. Pertanto i ricorsi vanno rigettati e va affermata la giurisdizione della Corte dei conti.

Nessun provvedimento deve adottarsi in ordine alle spese di lite di questo giudizio di legittimità, nel contraddittorio del solo Procuratore Generate rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei conti.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta; dichiara la giurisdizione della Corte dei conti. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2011

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