Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12538 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. I, 24/06/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 24/06/2020), n.12538

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4845-2019 proposto da:

F.B., domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato

EMILIANO BENZI, rappresentato e difeso dall’Avvocato ALESSANDRA

BALLERINI giusta procura speciale estesa a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI GENOVA n. 1058/2018,

depositata il 26.6.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26.2.2020 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che F.B. propone ricorso, affidato ad unico motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con la quale l’appello dell’odierno ricorrente – avverso la decisione di prime cure che aveva rigettato la domanda per il riconoscimento di protezione internazionale – veniva rigettato;

il Ministero dell’Interno si è costituito al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

1.1. con unico mezzo – rubricato “Violazione dell’art. 2 Cost. ed art. 11 del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966 (ratificato con la L. n. 881 del 1977), in relazione, in particolare, al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 ed al D.P.R. n. 399 del 1999, art. 11, comma 1, lett. e-ter).

Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32.

Violazione dell’art. 19 del T.U. Immigrazione. Omesso esame della domanda di protezione umanitaria” – si lamenta che Corte d’Appello non abbia indagato le particolari condizioni di vulnerabilità oggettive e soggettive in cui versa il ricorrente;

1.2. la censura va disattesa;

1.3. va premesso che la protezione umanitaria è una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (cfr. Cass. nn. 23604 del 2017; conf. Cass. n. 252/2019);

1.4. a tale fine, peraltro, non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza;

1.5. poste tali premesse, nella specie non sussiste, innanzitutto, il denunciato omesso esame di domanda, posto che la Corte genovese ha chiaramente scrutinato, e respinto, con motivazione congrua, la domanda dell’odierno ricorrente volta al riconoscimento della protezione umanitaria;

1.6. la sentenza impugnata ha qualificato, in primo luogo, come inattendibile il racconto del richiedente protezione internazionale segnalando le lacune e le contraddizioni del racconto reso dallo stesso;

1.7. in materia di protezione internazionale il positivo superamento del vaglio di credibilità soggettiva del richiedente protezione condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è preliminare all’esercizio da parte del giudice del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che il richiedente non è in grado di provare, in deroga al principio dispositivo (cfr. Cass. 12/06/2019 n. 15794; Cass. 24/04/2019 n. 11267; Cass. 27/06/2018 n. 16925);

1.8. la credibilità del racconto, esclusa, vale altresì a negare la configurabilità di forme di protezione sussidiaria ed umanitaria, proprio perchè il dato della credibilità soggettiva ne costituisce un elemento imprescindibile (cfr. Cass. 12/06/2019 n. 15794, tra le altre, supra citate);

1.9. la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, che è censurabile in cassazione nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, doglianza che non solo non è stata dedotta, ma che, ovviamente, non potrebbe consistere nella prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di questione attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 05/02/2019): siffatto snodo essenziale, non attinto da critica, rende la censura generica;

1.10. quanto all’accezione oggettiva della condizione di vulnerabilità del richiedente protezione umanitaria, il ricorso non si confronta con la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di appello escludono per la zona di provenienza del richiedente, il Gambia, la sussistenza di una situazione di violenza diffusa;

1.11. la Corte territoriale ha inoltre negato la sussistenza di specifici elementi tali da far ritenere l’appellante un soggetto in situazione di vulnerabilità, non essendo state dedotte gravi condizioni di salute del richiedente, ed ha escluso la rilevanza di ulteriori situazioni di vulnerabilità, parimenti neppure dedotte, avendo anche in questa sede il ricorrente dedotto quale condizione di vulnerabilità la condizione di povertà e di mancanza di legami familiari nel Paese di origine e il percorso di integrazione in Italia;

1.12. i giudici di merito hanno, quindi, correttamente concluso, avuto riguardo alle ragioni di natura essenzialmente economiche che avevano spinto l’appellante a lasciare il proprio Paese, per l’infondatezza della sua richiesta di protezione umanitaria;

1.13. è opportuno, infatti, al proposito precisare, in diritto, che: la protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente, al che consegue che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (cfr. Cass. n. 3681/2019); la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (cfr. Cass. n. 21123/2019); non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDU 8/4/2008 Ric. 21878 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito) (cfr. Cass. n. 17072/2018);

1.14. inoltre, come affermato, ancora di recente, da Cass. n. 231 del 2019, il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente, ma tale elemento deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell’istante, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 2007, art. 5, comma 6, che, nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità;

1.15. invero, la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015), altresì evidenziando che la carenza del quadro assertivo (nella specie in ragione della sua ritenuta inattendibilità) nemmeno giustifica la spendita, da parte dello stesso, dei poteri istruttori officiosi a lui assegnati nel giudizio vertente sulle diverse forme del diritto di asilo;

1.16. infine, la censura propone un lungo excursus sulle fonti attestanti la situazione di diffusa violenza e violazione dei diritti umani esistente in Libia, Paese di transito del ricorrente, senza tuttavia tener conto che la questione relativa al trattamento del ricorrente nel predetto Paese risulta del tutto nuova, in quanto il ricorrente non deduce e non dà prova di averla proposta nei due gradi del giudizio di merito;

2. il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronunce sulle spese di questo giudizio di legittimità, in mancanza di attività difensiva del Ministero dell’Interno, e dandosi atto, altresì, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, – giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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