Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12534 del 17/06/2016

Cassazione civile sez. III, 17/06/2016, (ud. 17/03/2016, dep. 17/06/2016), n.12534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23827-2012 proposto da:

GOA TERMINAL SRL (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore Amministratore Unico sig. M.

A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ASOLONE 8,

presso lo studio dell’avvocato CARMINE VERTICCHIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLA GIUSEPPINA

ZAMBONIN giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INDUSTRIE REBORA SRL (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

INDUSTRIE REBORA SRL (OMISSIS), in persona del proprio

Presidente del CdA Dott. S.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUTEZIA 5, presso lo studio dell’avv.

Romeo Rodolfo, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PAOLO TURCI giusta procura speciale in calce al controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

GOA TERMINAL SRL (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 296/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 13/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/03/2016 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS UMBERTO che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo

del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 996 del 15.03.2006, il Tribunale di Genova, accogliendo le domande proposte da GOA Terminal s.r.l. (di seguito, brevemente, GOA s.r.l.) nei confronti di Terminal Scania (poi incorporata in Industrie REBORA s.r.l., di seguito, brevemente, REBORA), accertava che la convenuta aveva occupato il terreno in Genova località (OMISSIS) di proprietà attrice, senza titolo alcuno, occupandolo con containers a decorrere dal 1987;

quantificava, quindi, il danno da indebita occupazione sino al novembre 2003 in Euro 265.851,51 e condannava REBORA s.r.l. al pagamento della somma indicata, nonchè al rilascio dell’immobile.

La decisione, gravata da impugnazione di REBORA s.r.l., in via principale e di GOA s.r.l. in via incidentale, era parzialmente riformata dalla Corte di appello di Genova, la quale con sentenza n. 296 in data 13 marzo 2012, in parziale accoglimento dell’appello principale, condannava REBORA s.r.l. a pagare la somma di Euro 164.191,38 relativamente al periodo di occupazione dal luglio 1994 e, cioè, dal quinquennio anteriore alla domanda giudiziale, (ritenendo prescritto il diritto al risarcimento per il periodo antecedente) sino al novembre 2003; inoltre, in accoglimento dell’appello incidentale, condannava REBORA al pagamento degli interessi legali sulle mensilità di risarcimento, come determinate nella c.t.u. e nella successiva integrazione di cui al primo grado del giudizio;

condannava, infine, REBORA al pagamento di 2/3 delle spese dei due gradi, compensato il residuo terzo.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione GOA s.r.l., svolgendo due articolati motivi.

Ha resistito REBORA s.r.1., depositando controricorso e svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a unico motivo.

E’ stata depositata memoria da parte della Spinelli s.r.l.

qualificatasi come incorporante la Industrie Rebora.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La sentenza impugnata affida la soluzione delle questioni che qui rilevano in ordine alla prescrizione del diritto al risarcimento e alla quantificazione del danno alle seguenti considerazioni:

– l’eccezione di prescrizione quinquennale era stata tempestivamente proposta dalla REBORA con la comparsa di risposta in primo grado; e sebbene non fosse fondata la censura di omessa pronuncia denunciata dalla stessa società con l’atto di appello, era fondata la doglianza in ordine all’individuazione del dies a quo della prescrizione, nel senso che, trattandosi di illecito permanente, la prescrizione comincia a decorrere da ogni giorno di maturazione del diritto;

d’altra parte, l’unico atto interruttivo poteva individuarsi solo nella citazione introduttiva (23.07.1999), dal momento che le missive invocate da GOA s.r.l. (doc. 2, 3 e 4 allegati al fascicolo di parte di primo grado) con riferimento al diritto al risarcimento del danno, si limitavano a chiedere il rilascio dell’area e a prospettare la relativa azione; di conseguenza il diritto al risarcimento del danno per le annualità antecedenti al 23.07.1994 si era estinto per prescrizione.

– il c.t.u. C. nominato in appello aveva determinato il danno da indebita occupazione dal 31 luglio 1994 al 30 novembre 2003 in Euro 262.158,33, assumendo una percentuale del 20% sulla redditività ritraibile dall’impiego dell’area come deposito e stoccaggio di containers, con conseguente individuazione della redditività media mensile nella somma di Euro 2.006,52 (Euro 10.032,60 x 20%); mentre il c.t.u. L. nominato in primo grado aveva determinato l’indennità per il periodo dal gennaio 1987 al luglio 2003 in Euro 259.576,07, con la previsione di un canone mensile equo di Euro 1.300,37; il criterio seguito dal c.t.u. C., peraltro conforme a quello indicato dalla REBORA, era condivisibile e, tuttavia, tenuto conto che la s.r.l. GOA non aveva contestato il calcolo della somma capitale effettuata dal c.t.u. di primo grado e neppure l’aggiornamento annuo calcolato in ragione del 75% (e non del 100% come calcolato dal c.t.u. di secondo grado), andava fatto riferimento al calcolo effettuato dal c.t.u. di primo grado, ridimensionandolo in relazione al ridotto periodo temporale conseguente alla prescrizione, dal momento che l’appello non poteva conseguire risultati pratici sfavorevoli all’appellante.

2. Si dà atto che i ricorsi proposti in via principale e incidentale avverso la stessa decisione sono riuniti ex art. 335 c.p.c..

Con i due motivi di ricorso principale si denuncia:

2.1. violazione o falsa applicazione di norme di diritto: artt. 112, 115, 116 e 345 c.p.c., artt. 1219 e 2943 c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè omessa, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), censurandosi, sotto molteplici profili, il rilievo dell’intervenuta prescrizione quinquennale e comunque l’omesso esame di una lettera interruttiva del febbraio 1999; in particolare si deduce: che alla lettera del 19.02.1999 (all. n. 4 della citazione introduttiva) era allegata un’altra lettera, di cui si ritrascrive il contenuto, datata 29.01.1999, con cui si richiedeva il risarcimento dei danni da indebita occupazione; che nella memoria istruttoria ex art. 184 c.p.c. venivano indicati altri documenti e che all’atto del deposito in cancelleria veniva allegato l’elenco completo dei documenti, ivi inclusa la cit. lettera 29.01.1999, alla quale si faceva preciso riferimento nelle deduzioni del 11.03.2009 innanzi alla Corte di appello, nonchè nella comparsa conclusionale; di conseguenza la Corte di appello: a) sarebbe incorsa in omessa pronuncia sulla domanda di riconoscimento delle mensilità febbraio/giugno 1994; b) avrebbe commesso violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nell’interpretazione degli atti processuali; c) avrebbe erroneamente applicato l’art. 345 c.p.c., dal momento che non si trattava di domanda nuova; d) inoltre avrebbe violato gli artt. 1219 e 2943 c.c. per non aver rilevato la valenza interruttiva della cit.

lettera; e) sarebbe incorsa altresì in vizio motivazionale, per aver omesso di motivare sul punto;

2.2. violazione o falsa applicazione di norme di diritto: artt. 112, 113, 324, 342, 343, 345, 346 e 352 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) per avere accolto l’eccezione di prescrizione, nonostante la decisione di prime cure non fosse stata specificamente impugnata da REBORA s.r.l. sul punto in cui si affermava che “essendo il canone di locazione solo il parametro per il calcolo della somma dovuta a titolo di risarcimento, non appare fondata l’eccezione di prescrizione”; a parere della ricorrente, nell’atto di appello la società REBORA si era limitata a lamentare l’omessa pronuncia sull’eccezione, senza censurare “in alcun modo la statuizione del Giudice di Primo grado secondo cui non vi era alcun collegamento tra l’eccepita prescrizione parziale e la liquidazione del danno in relazione al quale il canone di mercato dell’immobile per il periodo 1987-2003 costituiva solo un parametro di quantificazione del danno subito e non aveva nessuna valenza di ricondurre il danno a ciascun singolo periodo di occupazione”; di conseguenza la Corte territoriale: a) avrebbe violato gli artt. 324 e 342 c.p.c. essendo intervenuto giudicato sulla determinazione del danno in Euro 265.851,51, cui andavano aggiunti gli interessi, giusta motivo di appello incidentale; b) sarebbe inoltre incorsa nella violazione delle altre norme in rubrica, per avere ritenuto che GOA s.r.l. fosse tenuta a proporre appello incidentale e non potesse semplicemente riproporre tutte le domande ed eccezioni formulate in prime cure ai sensi dell’art. 346 c.p.c., insistendo per il riconoscimento della somma liquidata in prime cure ancorchè ritenuta inferiore al dovuto per via dell’arricchimento di REBORA; c) non avrebbe considerato – una volta ritenuto fondato e accoglibile l’appello di REBORA sul presupposto che fosse corretto il riferimento, non già al valore locatizio, bensì alla redditività dell’area al costo medio di stoccaggio – che l’accoglimento dell’appello avrebbe determinato solo la decurtazione dell’importo di Euro 265.851,51 in Euro 262.158,33 per l’applicazione della redditività mensile individuata con la c.t.u. svolta in secondo grado che quel criterio aveva applicato; d) avrebbe fornito, comunque, una motivazione insufficiente e contraddittoria, assumendo che l’accoglimento dell’appello avrebbe portato a risultati pratici sfavorevoli a REBORA dal momento che l’importo liquidato in prime cure sarebbe stato, comunque, ridotto di Euro 3.000,00.

3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale si denuncia:

3.1. violazione o falsa applicazione di norme di diritto: artt. 112, 113, 324, 343, 345, 346 e 352 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) per avere ritenuto che fosse stata REBORA a chiedere di legare “la redditività dell’area al costo medio di stoccaggio del container al luglio 1994”, travisando il contenuto e il significato dell’impugnazione, nel quale detto criterio era stato assunto solo in via ipotetica (con riguardo alla non esercitata azione di arricchimento), assumendosi, in via principale, che GOA all’epoca non esercitava nemmeno attività locativa (“per cui la sua perdita di chance indotta dalla illegittima occupazione avrebbe dovuto essere quantificata se non in “nulla”, al massimo in una frazione del canone di mercato che mai controparte avrebbe provato a stipulare”).

3.1. L’esame del ricorso incidentale si rivela logicamente prioritario, siccome inteso a negare lo stesso fondamento della condanna al risarcimento, rappresentato dall’esistenza di un danno risarcibile.

Orbene il ricorso si rivela, per una parte inammissibile e, per altra, manifestamente infondato.

L’inammissibilità consegue al rilievo che l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, nella specie non idoneamente attinto attraverso l’impropria censura di travisamento dell’atto di appello e dei contenuti delle difese ivi svolte in punto di redditività dell’area, oggetto di occupazione. Peraltro la censura, laddove predica il carattere residuale del proposto criterio della redditività come deposito di containers e stoccaggio, pecca anche di mancanza di decisività, dal momento che la Corte territoriale ha confermato il diverso (e più favorevole all’odierna ricorrente incidentale) criterio del valore locativo.

L’infondatezza consegue alla considerazione, conforme a principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che, in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, anche se del tutto marginale e limitata a parti dell’immobile non attualmente utilizzare, il danno subito dal proprietario discende dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene stesso. In tal caso la determinazione dell’entità del risarcimento ben può essere operata dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, con riferimento al c.d. danno figurativo e, quindi, eventualmente, con riguardo al valore locativo del bene usurpato (Cass., 8 maggio 2006, n. 10498; Cass., 7 giugno 2001, n. 7692).

Si rammenta che stabilire se esista un danno aquiliano, quale ne sia l’ammontare e come debba essere monetizzato costituiscono altrettanti accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità. La peculiarità – peculiarità del caso all’esame che la Corte di appello, pur ritenendo più adeguato il criterio suggerito da REBORA s.r.l. (non importa, a questi effetti, se ai fini della liquidazione del danno ovvero ai fini di un’eventuale azione di arricchimento, come postulato nel ricorso incidentale), ha finito per confermare l’altro criterio, del valore locativo, più favorevole all’allora appellante principale (siccome non contestato dall’altra parte). E di ciò non può certo dolersi la ricorrente incidentale.

In definitiva il ricorso incidentale va rigettato.

4. Passando al ricorso principale, ragioni di ordine logico impongono di muovere dall’esame del secondo motivo. E ciò in quanto, mentre il primo motivo si sostanzia nella censura di omesso rilievo di una causa interruttiva della prescrizione, il secondo motivo predica la negazione in radice della stessa ammissibilità della questione della prescrizione per essere (in tesi) intervenuto il giudicato sulla statuizione di rigetto dell’eccezione stessa, quale pronunciata dal primo giudice.

Di altro tenore ma pur sempre funzionali a “cristallizzare”, sia pure per altra via, la quantificazione del danno nei termini enunciati dal giudice di primo grado – sono le censure formulate nello stesso motivo, in ordine all’individuazione della somma mensile di riferimento, che (a parere della ricorrente) avrebbe dovuto essere individuata in quella di Euro 2.006,52 (emergente dalla c.t.u. svolta in secondo grado, secondo un criterio ritenuto, in astratto, più corretto dalla Corte di appello) anzichè in quella di Euro 1.300,37 (indicata dal primo giudice), con la conseguenza che, pur tenuto conto dell’accoglimento del motivo di appello in punto di prescrizione e del notevole ridimensionamento del periodo di prescrizione, ciò avrebbe potuto rilevare solo nel senso che non poteva essere pronunciata condanna per una somma superiore a quella pronunciata in primo grado.

Il suddetto motivo non merita accoglimento sotto nessuno dei molteplici profili di censura svolti.

Queste le ragioni.

4.1. Innanzitutto, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, si rammenta che l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, e cioè l’inerzia del titolare, a nulla rilevando che chi la invochi abbia erroneamente individuato il termine applicabile, ovvero il momento iniziale o finale di esso:

queste ultime, infatti, sono questioni di diritto, sulle quali il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte (ex multis, cfr.

Cass. civ., 22 maggio 2007, n. 11843), posto che la determinazione della durata della predetta inerzia, al pari delle norme che la disciplinano, rappresenta una mera quaestio iuris, la cui identificazione spetta al potere-dovere del giudice.

Inoltre, in tema di prescrizione del risarcimento del danno derivante da illecito permanente (che qui rileva) costituisce ius receptum che, protraendosi la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicchè il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica (Cass. civ. Sez. Unite, 14 novembre 2011, n. 23763).

4.2. Ciò posto, si osserva che la decisione impugnata salvo quanto si andrà a dire con riguardo all’altro motivo, relativamente all’interruzione della prescrizione – è immune dalle censure di violazione delle molteplici norme processuali (non tutte pertinenti) indicate nella rubrica del motivo, nonchè dal rilievo del vizio motivazionale, posto che la Corte di appello, dichiaratamente adeguandosi ai principi sopra enunciati, ha evidenziato, in termini più che adeguati e corretti sotto il profilo logico e giuridico:

che l’eccezione di prescrizione venne sollevata da REBORA s.r.l.

sin dalla comparsa di risposta, peraltro senza circoscriverla al disposto dell’art. 2948 c.c. e facendo specifico riferimento alla relativa durata quinquennale;

che detta eccezione non poteva ritenersi abbandonata nelle conclusioni definitive, dal momento che REBORA s.r.l. aveva concluso in primo grado per il rigetto della domanda attorea;

che, inoltre, nell’atto di appello, la medesima società non si era limitata a denunciare l’omessa pronuncia sull’eccezione di prescrizione, ma aveva, altresì, rilevato che, trattandosi di illecito permanente, la decorrenza comincia a decorrere da ogni giorno di verificazione dello stesso.

Ne consegue che è manifestamente infondato l’assunto, al fondo del motivo, secondo cui si sarebbe formato giudicato sul punto della decisione di primo grado che aveva escluso la prescrizione.

4.3. Sotto l’altro versante denunciato si osserva che è pacifico –

perchè emerge dalle stesse allegazioni in ricorso – che l’originaria attrice non propose appello incidentale in punto di individuazione dei criteri di quantificazione del danno, avendo, anzi, insistito per la conferma della liquidazione secondo la decisione di prime cure, salvo a reclamare sulla stessa il riconoscimento di ulteriori interessi legali. La riduzione dell’importo totale del danno risulta, dunque, la naturale conseguenza dell’accoglimento del motivo di appello concernente la prescrizione con correlativa riduzione del periodo di riferimento dell’illecito; mentre la modificazione del criterio unitario (sia pure con un totale non superiore a quello liquidato dal primo giudice) avrebbe richiesto che GOA s.r.l.

avesse specificatamente posto in discussione l’assetto di interessi derivanti dalla sentenza di primo grado, proponendo appello incidentale (oltre che sulla liquidazione degli interessi) sul criterio di determinazione del danno.

Il secondo motivo di ricorso principale va, dunque, rigettato.

5. E’ invece fondato, nei termini che si preciseranno di seguito, il primo motivo del ricorso principale, con il quale si censura il mancato rilievo di un fatto interruttivo della prescrizione anteriore alla citazione introduttiva.

Va premesso che l’eccezione di interruzione della prescrizione, configurandosi diversamente dall’eccezione di prescrizione come eccezione in senso lato, può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice in qualsiasi stato e grado del processo, semprechè, beninteso, sulla base di allegazioni e di prove ritualmente acquisite o acquisibili al processo (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. 05 agosto 2013, n. 18602; Cass. civ., 14 luglio 2010, n. 16542; Cass. civ., 13 giugno 2007, n. 13783).

Va altresì evidenziato che la ricorrente ha posto a fondamento del motivo di ricorso un atto – la lettera 29.01.1999 – provvedendo a riportarne i contenuti in ricorso e a individuarne specificamente l’allocazione nel fascicolo di parte di prime cure in ottemperanza agli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

La decisività, poi, di siffatto documento appare evidente ove si consideri che la lettera, a differenza delle missive cui fa riferimento la Corte di appello relative al (solo) rilascio dell’area (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), si presenta, per i suoi contenuti, astrattamente idonea alla messa in mora nel risarcimento del danno, posto che con essa si chiedeva, tra l’altro, a Terminal Scania s.r.l. (poi incorporata da REBORA) di rifondere “per tutto il periodo della Vostra indebita occupazione i danni conseguenti”.

Ciò posto, si osserva che la verifica del fatto processuale riservata a questa Corte consente di accertare che la lettera in questione, che si assume essere stata allegata ad altra lettera 12.03.1999 (quest’ultima, menzionata nella decisione impugnata, cfr.

nota 13), venne tempestivamente prodotta, giacchè risulta essere stata depositata unitamente alla memoria ex art. 184 c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis); mentre la verifica, sul piano sostanziale, dell’efficacia interruttiva dell’atto in questione, nei limiti delle preclusioni assertive e probatorie già verificate e nell’ambito di una valutazione globale degli atti, va rimessa al giudice del merito.

In conclusione va accolto il primo motivo di ricorso principale, rigettato il secondo; va, altresì, rigettato il ricorso incidentale;

ciò comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e il rinvio alla Corte di appello di Genova in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il primo motivo di ricorso principale, rigetta il secondo motivo, nonchè il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2016

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