Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12533 del 17/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 17/06/2016, (ud. 16/03/2016, dep. 17/06/2016), n.12533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Vivaldi Roberta – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11940-2010 proposto da:

CENTRI BENESSERE SRL IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS) in persona del

liquidatore P.E., elettivamente domiciliata in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato GREZ

& ASSOCIATI SRL, rappresentata e difesa dall’avvocato

MASSIMO

BONOMI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CODEMAC SRL IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS) in persona del

liquidatore p.t. M.E., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA CALABRIA 56, presso lo studio dell’avvocato FORMICHETTI

ANASTASIA, rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO GRISOLIA

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1655/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 10/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito l’Avvocato DOMENICO GRISOLIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO ROSARIO GIOVANNI che ha concluso per l’inammissibilità della

produzione documentale ex art. 372 c.p.c. rigetto del ricorso e

condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Codemac S.r.l., premesso di aver acquistato, in data 29 febbraio 2000, con contratto di vendita con riserva di proprietà un macchinario per la depilazione definitiva, convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la venditrice Baldan S.p.a.

chiedendo che: venisse accertato il grave inadempimento della stessa, essendo risultato il bene acquistato del tutto inidoneo allo scopo;

fosse dichiarato risolto il contratto e la convenuta fosse condannata alla restituzione della somma corrisposta per l’acquisto nonchè al risarcimento dei danni subiti dall’attrice.

La convenuta si costituì riconoscendo che l’apparecchiatura fornita non era in grado di garantire i risultati sperati ed affermando di aver raggiunto un accordo con l’acquirente che aveva posto termine alla vertenza tra le parti.

Il Tribunale adito, per quanto ancora rileva in questa sede, con sentenza del 16 settembre 2005, accertato il grave inadempimento contrattuale della Baldan S.p.a., dichiarò risolto per fatto e colpa di quest’ultima il contratto di compravendita tra le parti e condannò la convenuta alla restituzione, in favore della società attrice, della somma illegittimamente percepita di Euro 70.032,26, oltre al risarcimento del danno, liquidato in complessivi Euro 36.022,15, oltre interessi legali.

Avverso tale decisione propose appello Centri Benessere in liquidazione S.r.l., già Baldan S.p.a..

Si costituì la Codemac S.r.l. in liquidazione chiedendo il rigetto del gravame.

La Corte di appello di Milano, con sentenza pubblicata il 10 giugno 2009, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta, rideterminava la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, indicata dal Tribunale in Euro 36.022,15, riducendola in complessivi Euro 10.00,00 in moneta attuale, confermava nel resto la sentenza di primo grado e regolava le spese tra le parti.

Avverso la sentenza della Corte di merito Centri Benessere S.r.l.

in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Ha resistito con controricorso la Codemac S.r.l. in liquidazione, il cui difensore ha pure comunicato che in data 23 luglio 2010 la Centri Benessere S.r.l. è stata cancellata dal registro delle imprese e tanto è stato confermato anche dal difensore di quest’ultima, che ha pure prodotto certificato camerale al riguardo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente osservato che è irrilevante in questa sede che successivamente alla notifica del ricorso per cassazione e al deposito dello stesso la società ricorrente sia stata cancellata dal registro delle imprese, come comunicato dai difensori delle parti in causa.

2. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. inserito nel codice di rito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 ed abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (10 giugno 2009).

3. Con il primo motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione di norme di diritto degli artt. 1321, 1326, 1362 e 1967 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”.

3.1. In relazione a tale mezzo la ricorrente pone i seguenti quesiti di diritto:

– “Dica la Corte nella fattispecie come quella sopra indicata ai fini dell’esistenza di un valido ed efficace contratto ex art. 1321 c.c. (scambio di corrispondenza via fax) se si applichi la seguente regola di diritto: “Il contratto si intende concluso qualora la proposta contenente le volontà del proponente di concludere il contratto alle condizioni indicate, venga sottoscritta senza modifiche dal destinatario, costituendo la sottoscrizione manifestazione della volontà di adesione della proposta e valendo pertanto come accettazione” e non la regola di diritto applicata dalla Corte di appello di Milano che ha ritenuto non concluso il contratto perchè ha ritenuto la scrittura privata dell’11.07.200 transazione ex art. 1965 c.c., anzichè un contratto ex art. 1321 c.c..

In subordine se la Corte dovesse accogliere la tesi della Corte di Appello che trattasi di transazione ex art. 1965 c.c. dica se nella fattispecie come quella sopra indicata ai fini dell’esistenza di un valido ed efficace atto di transazione considerato lo scambio di corrispondenza avvenuto via fax (proposta e accettazione), si applichi la seguente regola di diritto: “la transazione richiede la forma scritta solo “ad probationem” (salvo quando riguardi uno dei rapporti di cui all’art. 1350 c.c., n. 12), qualora la conclusione del contratto sfila avvenuta ex art. 1326 c.c. il giudice deve tenerne conto ai fini della decisione, a nulla rilevando la mancata produzione dell’originale dell’atto sottoscritto dai contraenti e non la regola di diritto applicata dalla Corte d’Appello di Milano che ha ritenuto che la transazione è un negozio che deve essere provato solo attraverso la produzione dell’originale sottoscritto da ambedue i contraenti”.

4. Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto del R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669, art. 94 e degli art. 2697 e 2948 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”.

4.1. In ordine al motivo di ricorso all’esame la ricorrente formula i seguenti quesiti di diritto:

“Dica la Corte nella fattispecie come quella sopra indicata se in presenza di un contratto di vendita con riserva di proprietà ai sensi della L. 28 novembre 1965, n. 1329 (c.d. Legge Sabbatini) dove una parte chiede la risoluzione contrattuale per fatto e colpa dell’altro contraente pretendendo la restituzione del corrispettivo pattuito a mezzo titoli di credito (cambiali pagherò) si applichi la seguente regola di diritto: “la parte che chiede risoluzione di un contratto di vendita con riserva di proprietà ai sensi della L. 28 novembre 1965, n. 1329 e la restituzione del corrispettivo, versato a mezzo titoli di credito, ha l’onere di provare di averne effettuato il pagamento” e non la regola di diritto applicata dalla Corte d’Appello di Milano che è ininfluente verificare l’avvenuto pagamento dei titoli di credito.

In subordine dica la Corte se nella fattispecie come quella sopra indicata si applichi la seguente regola di diritto: “l’art. 94 R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669 è applicabile in presenza di un contratto di vendita con riserva della proprietà ai sensi della L. 28 novembre 1965, n. 1329 (c.d. Legge Sabbatini) ed il pagamento rateale previsto a mezzo titoli di credito si prescrive ex art. 2948 c.c.” e non la regola di diritto applicata dalla Corte d’Appello di Milano che è ininfluente verificare l’avvenuto pagamento dei titoli di credito”.

5. Con il terzo motivo si lamenta “violazione o falsa applicazione di norme di diritto dell’art. 75 c.p.p. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 nonchè omessa od insu:ciente motivazione ex art. 360, n. 5”.

5.1. Con riferimento a tale mezzo la ricorrente pone il seguente quesito di diritto:

“Nella fattispecie come quella indicata la Corte d’Appello di Milano ha omesso di considerare la corrispondenza tra le parti del giudizio civile e quelle del giudizio penale con conseguente contraddizione laddove per tale motivo non ha ritenuto applicabile l’art. 75 c.p.p., pertanto dica la Corte se si applichi la seguente regola di diritto:

“la costituzione di parte civile comporta il trasferimento nel processo penale dell’azione precedentemente proposta in sede civile, a norma dell’art. 75 c.p.p., con conseguente estinzione del giudizio civile per rinuncia agli atti, nonchè produce di diritto, a norma dell’art. 75 c.p.p., comma 1, la rinuncia dell’attore al giudizio civile, laddove accertata l’identità delle due azioni alla stregua dei comuni canoni di identificazione delle azioni vi è identità tra i soggetti organo amministrativo nel processo penale e la società nel processo civile”.

6. Tutti i predetti motivi sono inammissibili per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., come già detto applicabile nel caso di specie in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata.

6.1. Questa Corte ha in più occasioni chiarito che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, “i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, comma 1, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, il cui rafforzamento è alla base della nuova normativa secondo l’esplicito intento evidenziato dal legislatore al Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità” (v. Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass. 9 maggio 2008, n. 11535; Cass., sez. un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., sez. un., 29 ottobre 2007, n. 22640;

Cass., sez. un., 21 giugno 2007, n. 14385).

Pertanto, affermano le Sezioni Unite di questa Corte che, “travalicando” “la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità” “la risoluzione della singola controversia, il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma.

Incontroverso che il quesito di diritto non possa essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma debba essere esplicitamente formulato, nell’elaborazione dei canoni di redazione di esso la giurisprudenza di questa Suprema Corte è, pertanto, ormai chiaramente orientata nel ritenere che ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso debba consentire l’individuazione tanto del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, del principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata; id est che il giudice di legittimità debba poter comprendere, dalla lettura del solo quesito inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la diversa regola da applicare. Ove tale articolazione logico-giuridica manchi, il quesito si risolverebbe in un’astratta petizione di principio che, se pure corretta in diritto, risulterebbe, ciò nonostante, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la fattispecie concreta, l’errore di diritto imputato al giudice a quo ed il difforme criterio giuridico di soluzione del punto controverso che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione del principio cui la Corte deve pervenire nell’esercizio della funzione nomofilattica. Il quesito non può, pertanto, consistere in una mera richiesta d’accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte medesima in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione d’una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile, al contempo, di risolvere il caso in esame e di ricevere applicazione generale, in casi analoghi a quello deciso” (v., in motivazione, Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; v. Cass., ord., 24 luglio 2008, n. 20409).

6.2. Nella giurisprudenza di questa Corte è stato, inoltre, precisato che, secondo l’art. 366 bis c.p.c., anche nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione, sintetica ed autonoma, del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 27 ottobre 2011, n. 22453). Con l’ulteriore precisazione che tale requisito non può dirsi rispettato qualora solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo – all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente – consenta di comprendere il contenuto e il significato delle censure (Cass., ord., 18 luglio 2007, n. 16002; Cass. 19 maggio 2011, n. 11019), in quanto la rafia che sottende la disposizione indicata è associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla suprema Corte, la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (v. Cass. 18 novembre 2011, n. 24255).

6.3. Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di questa Corte, che va ribadito, è ammissibile il motivo di ricorso con cui siano denunziati sia vizi di violazione di legge che di motivazione, qualora tale motivo si concluda con la formulazione di tanti quesiti corrispondenti alle censure proposte, poichè nessuna prescrizione è rinvenibile nelle norme processuali che ostacoli tale duplice denunzia, a nulla rilevando l’art. 366 bis c.p.c., inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, il quale esige che, nel caso previsto dal n. 3 dell’art. 360 c.p.c., il motivo sia illustrato con un quesito di diritto e, nel caso previsto dal n. 5, che l’illustrazione contenga la chiara indicazione del fatto controverso, in relazione al quale si assuma che la motivazione sia omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza la renda inidonea a giustificare la decisione ma non richiede anche che il quesito di diritto e gli elementi necessari alla illustrazione del vizio di motivazione siano prospettati in motivi distinti (Cass. 18 gennaio 2008, n. 976; Cass. 26 marzo 2009, n. 7621).

6.4. Si rileva che, nel caso all’esame, la parte ricorrente, in relazione alle dedotte violazioni di legge, ha inadeguatamente formulato i necessari quesiti di diritto, essendo quelli proposti, anche in via subordinata, del tutto generici e astratti, laddove, invece, secondo i canoni indicati dalla giurisprudenza di questa Corte e sopra richiamati, il quesito di diritto deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere, dalla sua sola lettura, l’errore asseritamente compiuto dal giudice, deve compendiare la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice e la diversa regola di diritto che, ad avviso della parte ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass., ord., 25 settembre 2007, n. 19892 e 17 luglio 2008, n. 19769; Cass. 30 settembre 2008, n. 24339; Cass. 13 marzo 2013, n. 6286, in motivazione).

Inoltre, il terzo motivo non è assistito, relativamente ai lamentati vizi motivazionali, da un distinto momento di sintesi (cd. quesito di fatto), che metta in luce i fatti controversi ovvero le contraddizioni e le deficienze della motivazione della sentenza impugnata, nel contesto della specifica fattispecie dedotta in giudizio, secondo le prescrizioni di cui all’art 366 bis c.p.c., nella lettura datane dal “diritto vivente” (v., ex plurimis, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., ord., 18 luglio 2007, n. 16002; Cass. 19 maggio 2011, n. 11019; Cass. 27 ottobre 2011, n. 22453 e Cass. 18 novembre 2011, n. 24255) e sul punto si rinvia a quanto già evidenziato nel paragrafo 6.2..

Peraltro, pur a voler considerare che la parte introduttiva del riportato quesito, dalla stessa ricorrente definito come “quesito di diritto”, quale quesito di fatto, lo stesso è comunque inammissibile, in quanto in esso si lamenta, in sostanza, la contraddittorietà della motivazione senza tuttavia che nel motivo in parola siano state trascritte le proposizioni che si assume siano “contraddittorie”, ovvero tra loro inconciliabili e tali da elidersi a vicenda (Cass. 2 marzo 2012, n. 3248), evidenziandosi al riguardo che il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi che sorregge il “decisum” adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorchè – come nel caso all’esame – dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice (Cass., sez. un.,.22 dicembre 2012, n. 25984).

7. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

8. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2016

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