Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12533 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 12/05/2021), n.12533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24496-2019 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL MATTONATO

3, presso lo studio dell’avvocato DONATO PICCININNI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GAETANO MICHELE MARIA DE BONIS;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 886/5/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 26/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE

CAPOZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

G.G. propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza CTR Emilia Romagna, di accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso una sentenza CTP Bologna, che aveva accolto il suo ricorso avverso un avviso di accertamento IRPEF, IVA ed IRAP 2007; secondo la CTP egli aveva svolto lavoro autonomo saltuario di consulenza immobiliare e non attività d’impresa (intermediazione in compravendite immobiliari); la CTR invece, ribaltando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto che egli, nell’anno d’imposta considerato, avesse svolto attività d’impresa abituale e non occasionale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale il contribuente lamenta violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4,artt. 2082,2195,2697,2729 e 2727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la sentenza impugnata, pur avendo accertato in punto di fatto che egli aveva posto in essere nel 2007 un unico atto di commercio, ha desunto che egli avesse abitualmente esercitato attività d’impresa solo per avere egli inteso porre in essere un secondo atto, peraltro mai realizzato; al contrario egli, nel 2007, al di fuori dell’attività libero professionale, aveva solo acquistato un immobile, ristrutturandolo e rivendendolo per finalità speculative; ora, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, ai fini tributari, era attività d’impresa l’attività professionale organizzata anche in forma non esclusiva ed intesa a svolgere con abitualità una delle attività di cui all’art. 2195 c.c.; pertanto, per potersi ravvisare attività d’impresa, doveva darsi prevalenza all’abitualità ed alla professionalità, risultando irrilevante la struttura aziendale; ed era onere dell’ufficio provare la sussistenza dei requisiti dell’abitualità e della professionalità; al contrario la CTR aveva erroneamente ritenuto che fosse il contribuente tenuto a fornire la prova contraria dell’occasionalità del proprio operato; inoltre, nella specie, era emerso solo la prova di un unico atto negoziale e del tentativo di un secondo atto, non andato a buon fine; essi non costituivano indizi gravi, precisi e concordanti, idonei come tali a dimostrare il requisito dell’abitualità nello svolgimento dell’attività imprenditoriale;

che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso;

che il ricorrente ha altresì depositato memoria illustrativa;

che l’unico motivo di ricorso proposto dal contribuente è infondato;

che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 25777 del 2014; Cass. n. 20443 del 2011; Cass. n. 27211 del 2006; Cass. n. 7032 del 2014), la nozione tributaristica dell’esercizio di un’impresa commerciale non coincide con quella civilistica, in quanto il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, in materia di imposte sui redditi e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, in materia di IVA intendono per impresa commerciale l’esercizio professionale ed abituale, ancorchè non esclusivo, di una delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., anche se trattasi di attività non organizzate in forma di imprese e dunque prescindendosi dal requisito organizzativo, che, al contrario, costituisce un elemento qualificante ed indispensabile per configurare un’impresa commerciale ai fini civilistici; e spetta al giudice di merito, sulla base di apprezzamenti di fatto incensurabili in sede di legittimità, se congruamente motivati, accertare la sussistenza dei requisiti della professionalità e dell’abitualità nell’attività svolta dal contribuente e cioè il suo carattere continuativo, che non si estrinsechi quindi nel compimento di atti isolati di produzione e commercio;

che, nella specie in esame, la sentenza impugnata, pur avendo erroneamente esordito affermando che era onere del contribuente provare lo svolgimento solo occasionale di un’attività commerciale, riferendo tuttavia tale erronea affermazione unicamente alla circostanza che il contribuente avesse utilizzato un codice (n. 74878) proprio di attività d’impresa, essendo al contrario l’ufficio tenuto a provare quanto sopra, ha poi valorizzato una serie di indizi, forniti dall’ufficio, valutandoli nel loro assieme, e ritenendoli idonei a fondare il convincimento che il contribuente svolgesse attività d’impresa; e tali indizi sono stati:

– il fatto che il contribuente era intervenuto in più transazioni immobiliari, essendo irrilevante che le stesse avessero o meno avuto buon esito;

– il fatto che il contribuente si fosse avvalso in via costante ed abituale di tale ditta LEMA per le ristrutturazioni immobiliari;

– il fatto che il contribuente si fosse impegnato in collaborazione con un’agenzia di vendita di unità abitative dopo averle ristrutturate per conto della proprietà;

che, invero, questa Corte di legittimità è tenuta esclusivamente al controllo della legalità e logicità della decisione, non essendo

alla stessa consentito rivalutare profili fattuali, già esaminati e fatti propri dalla CTR, con argomentazioni non censurabili nella presente sede (cfr. Cass. n. 8867 del 2019; Cass. n. 24012 del 2016);

che, da quanto sopra, consegue il rigetto del ricorso proposto dal contribuente, con sua condanna al pagamento delle spese di giudizio, quantificate come in dispositivo;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del contribuente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso proposto dal contribuente e lo condanna al pagamento delle spese processuali, quantificate in complessivi Euro 5.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del contribuente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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