Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12531 del 08/06/2011

Cassazione civile sez. II, 08/06/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 08/06/2011), n.12531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MANIFATTURA TEXA 3 SRL IN LIQ IN PERSONA DEI SUOI LIQUIDATORI

B.G. E D.I.A. P.I. (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VICOLO DELL’ORO 24, presso lo

studio dell’avvocato COEN ROBERTO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BRESCI LAURA;

– ricorrente –

contro

TVE TORCITURA VOLUMINIZZATI ELASTICIZZATI SPA IN LIQUIDAZIONE E IN

CONCORDATO PREVENTIVO P. I. (OMISSIS), IN PERSONA DEL LIQUIDATORE

N.P.C. elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SILVIO PELLICO 24, presso lo studio dell’avvocato CARELLO CESARE

ROMANO, rappresentata e difesa dall’avvocato MACHERELLI MASSIMO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 569/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio CHE HA CONCLUSO PRELIMINARMENTE, L’INAMMISSIBILITA’

DELL’ISTANZA DEPOSITATA, NEL MERITO IL RIGETTO DEL RICORSO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 29-9-1993, la Manifattura Texa 3 s.r.l. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Prato, con il quale, ad istanza della T.V.E. s.p.a., le veniva intimato il pagamento della somma di L. 51.281.862, a titolo di corrispettivo per una fornitura di filati.

L’opponente, nel dedurre l’esistenza di gravi difetti della merce, chiedeva la revoca del decreto opposto e, in via riconvenzionale, la riduzione del prezzo e la condanna della società fornitrice al risarcimento danni.

Con sentenza depositata il 24-8-2001 il Tribunale, ritenuta la sussistenza dei dedotti vizi, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava la T.V.E. s.p.a. alla restituzione in favore dell’opponente della somma di L. 51.281.862 corrisposta a seguito della provvisoria esecutorietà del decreto opposto, nonchè al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di L. 70.041.174, risultante dalle note di credito dei clienti che avevano acquistato e reso il tessuto difettoso, oltre alla somma di L. 6.512.630 per spese sostenute per l’eliminazione dei difetti riscontrati.

A seguito di gravame proposto dalla società opposta, con sentenza depositata il 17-3-2005 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannava la Manifattura Texa 3 s.r.l. in liquidazione a pagare alla T.V.E. s.p.a. in liquidazione, a titolo di corrispettivo della fornitura, la minore somma di L. 44.769.232, oltre interessi legali dalla domanda.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Manifattura Texa 3 s.r.l. in liquidazione, sulla base di due motivi.

La T.V.E. s.p.a. in liquidazione resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con memoria depositata in prossimità dell’udienza la resistente, nel far presente che la Manifattura Texa 3 s.r.l. è stata dichiarata fallita in data 11-1-2006, e che il relativo fallimento è stato chiuso in data 23-4-2008, ha chiesto dichiararsi l’interruzione del processo.

L’istanza non può trovare accoglimento, alla luce del principio, pacifico in giurisprudenza, secondo cui nel giudizio di Cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto dell’interruzione del processo per uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. e segg., essendo irrilevanti i mutamenti della capacità a stare in giudizio di una delle parti (tra le tante v.

Cass. 10-12-2007 n. 25749; Cass. 14-12-2004 n. 23294; Cass. 18-4-2002 n. 5626).

2) Con il primo motivo di ricorso viene denunciata l’omessa e -M-^ insufficiente motivazione.

La ricorrente sostiene, in primo luogo, che la motivazione della sentenza impugnata è carente in relazione alla mancata ammissione della prova testimoniale formulata in primo grado all’udienza dei 23- 3-2001 e richiesta nuovamente in appello, con la quale si intendeva dimostrare l’entità del danno subito dalla Texa 3, anche mediante la conferma della documentazione fiscale già prodotta dinanzi al Tribunale. Evidenzia che la richiesta istruttoria aveva ad oggetto proprio la realizzazione con il filato della T.V.E. del tessuto oggetto delle note di credito prodotte (emesse dalla Texa 3 in seguito alla restituzione da parte di terzi acquirenti della merce difettata ad essi fornita), e che la mancata ammissione delle prova ha comportato una notevole riduzione dell’ammontare del danno liquidato dal giudice di primo grado (L. 70.041.174), corrispondente alla somma degli importi delle note di credito per la merce resa.

Deduce che, avendo la controparte contestato la riferibilità delle note di credito a merce prodotta con il filato viziato prodotto dalla T.V.E., la prova testimoniale richiesta si rendeva indispensabile ai fini della quantificazione del danno da mancato guadagno patito dall’appettata.

La ricorrente assume che la motivazione è altresì insufficiente nella parte in cui ha rigettato la domanda di riduzione del prezzo (sottraendo al totale ingiunto solo le spese sostenute dalla Texa 3 per l’eliminazione dei difetti), ritenendo non provata nel quantum la riduzione del valore del filato, in contrasto con le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, che aveva accertato una riduzione del 100% di tale valore. Deduce che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello, l’esito della consulenza tecnica non si pone in contraddizione con la produzione documentale dell’opponente, in quanto le note di credito tendono a provare non solo il mancato guadagno della Texa 3, ma anche, data l’integrale restituzione della merce, la riduzione del valore della stessa a zero. Rileva che con la prova per testi articolata l’appellata avrebbe voluto confermare la restituzione da parte dei terzi acquirenti di tutta la merce difettata, ribadendo in tal modo la riduzione del 100% del valore della merce. Fa altresì presente che la motivazione della Corte di Appello circa il riconoscimento di un residuo valore della merce non può basarsi sulla dichiarazione del titolare della Texa 3, secondo cui il tessuto era stato rivenduto a prezzi inferiori, trattandosi di confessione stragiudiziale liberamente apprezzabile dal giudice e non avente il valore di una prova testimoniale.

La ricorrente deduce, infine, che la Corte di Appello non ha motivato in modo adeguato nemmeno nella parte in cui ha escluso la possibilità di procedere ad una valutazione equitativa della riduzione del valore del prodotto fornito, sul rilievo che non vi erano minimi dati certi a cui appigliarsi e che tale liquidazione non era stata neppure richiesta. Nel far presente che il giudice, anche senza una specifica richiesta di parte, può integrare con valutazioni equitative le risultanze processuali, rileva che, nel caso di specie, la stessa sentenza riconosce l’esistenza di una riduzione di valore del filato.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 24 Cost., degli artt. 2696 e 1226 c.c..

Deduce che la mancata ammissione della prova testimoniale ha comportato la violazione del diritto di difesa, costituzionalmente garantito, non consentendo alla Texa 3 di provare i danno subito, nonostante la contestazione della produzione documentale da parte avversa. Afferma che la sentenza impugnata è altresì incorsa nella violazione dell’art. 1226 c.c., nella parte in cui, pur ritenendo di non avere la prova certa del quantum della riduzione del valore del filato, non ha proceduto alla relativa liquidazione in via equitativa, in pratica escludendola.

2) Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

Quanto alle censure mosse in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale articolata dall’opponente, si osserva che la Corte di Appello ha adeguatamente illustrato le ragioni per le quali ha disatteso tale istanza istruttoria. Essa ha spiegato che, a fronte delle decise contestazioni di controparte circa il valore probatorio delle note di credito e delle bolle di reso prodotte dalla Texa sia con riferimento ai tempi che al “non combinante” metraggio e numero delle pezze, sarebbe stato onere dell’appellata fornire la prova specifica e precisa sia del minor prezzo di rivendita a terzi di parte del filato (ai fini della quanti minoris) sia dei danni lamentati. Ha altresì fatto presente che nelle menzionate note di credito, oltre al rilievo dell’appellante circa il “non combinante” metraggio e numero delle pezze, è indicato un “tessuto misto polyviscosa” nella cui composizione non è dato sapere se e in quale misura è entrato il filato in questione. Sulla base di tali premesse, che rimarcavano tutto il rigore dell’onere probatorio incombente sull’attrice, il giudice del gravame ha ritenuto irrilevante la prova testimoniale articolata dall’appellante, in quanto diretta alla conferma, del tutto generica, che la merce difettosa ceduta a terzi era quella indicata nelle menzionate note di credito.

Trattasi di argomentazioni coerenti e logiche, atteso che, avendo la Corte di Appello sottolineato l’inidoneità probatoria delle indicazioni ricavabili dalle note di credito in ordine alla consistenza dei danni subiti dalla società appellata, nessun risultato utile e risolutivo avrebbe potuto conseguire alla conferma di tali documenti in sede testimoniale, non accompagnata da più puntuali specificazioni in ordine ai punti critici evidenziati in sentenza.

La decisione impugnata, pertanto, si sottrae alle censure mosse dalla ricorrente, dando adeguato conto del corretto esercizio del potere di valutazione dell’ammissibilità dei mezzi di prova richiesti dalle parti, riservato dalla legge al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nei caso in esame, da una motivazione esauriente e congrua.

Nè in relazione alla pronuncia resa sul punto può ipotizzarsi una violazione del diritto di difesa, che non può certamente ritenersi leso da un provvedimento del giudice di merito che motivatamente neghi ingresso alla richieste istruttorie delle parti ritenute irrilevanti ai fini della decisione.

3) Quanto alle censure mosse in ordine alla ritenuta sussistenza di un prezzo residuale della merce acquistata, si rileva che la Corte di Appello ha illustrato con puntuale ed esaustiva motivazione le ragioni del proprio dissenso dal giudizio espresso dal C.T.U., secondo cui il filato fornito dalla T.V.E. avrebbe valore zero.

Nel far presente che l’indagine peritale è avvenuta “a campione”, e quindi solo su alcune pezze del tessuto, il giudice territoriale ha spiegato, con rilievi logici e congruenti, che sia dalla formulazione della domanda di riduzione del prezzo da parte della Texa, sia dalle deduzioni difensive e dalle produzioni documentali della stessa, attestanti la vendita e/o utilizzazione con costi aggiuntivi del filato oggetto di causa, emerge la prova incontestabile che tale filato ha un valore residuale ed è stato venduto ad un prezzo minore, ovvero “rifinito” per eliminare o ridurre il difetto. Ad ulteriore conferma della sussistenza di un valore residuale del prodotto, la Corte di merito ha richiamato le dichiarazioni spontanee (non contestate dalla società appellata) rese al C.T.U. dal legale rappresentante della Texa, il quale ha significativamente affermato “che il difetto …si era presentato in modo discontinuo ed informa diversa nell’arco di alcuni mesi e che i tessuti difettati erano stati venduti a prezzo minore o rifiniti ulteriormente (calandratura, stiratura) per diminuire l’evidenza del difetto e quindi con costo aggiuntivo…)”.

E’ appena il caso di rilevare che siffatte dichiarazioni del legale rappresentante della società opponente, come del resto riconosciuto dalla stessa ricorrente, ben potevano essere valutate dalla Corte territoriale, unitamente alle altre emergenze processuali, ai fini del proprio convincimento. Come è stato puntualizzato da questa Corte, infatti, le eventuali dichiarazioni rese dalla parti o da terzi al consulente tecnico nel corso delle indagini peritali possono concorrere con le altre risultanze di causa alla formazione del convincimento del giudice, quando, come nel caso in esame, nella consulenza ne siano indicate le fonti, in modo da permettere il controllo delle parti (Cass. 10-8-2004 n. 15411).

Anche sul punto della sussistenza di un valore residuo della merce fornita, pertanto, la sentenza impugnata risulta sorretta da una motivazione adeguata, che la sottrae al sindacato di questa Corte.

3) Prive di pregio, infine, risultano anche le censure mosse in ordine alla mancata liquidazione del danno in via equitativa.

Giova rammentare che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare ti danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., da luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa. Esso, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall’altro non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno, nè esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinchè l’apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'”iter” della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno (Cass. 7-6-2007 n. 13288; Cass. 10-12-2009 n. 25820; Cass. 30-4-2010 n. 10607). Il ricorso a tale forma di liquidazione è rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito, il quale riconosca che la determinazione del preciso ammontare del danno non sia possibile o sia sommamente difficile. L’accertamento di tali estremi, al pari dell’individuazione dei criteri di liquidazione, costituisce indagine di fatto, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 30-4-2010 n. 10607).

Nel caso di specie, la Corte di Appello ha rilevato che la Texa non ha dimostrato, nemmeno per sommi capi, la specifica riduzione di valore del filato acquistato, nè ha indicato – e tanto meno provatoli minor prezzo al quale ha rivenduto tale prodotto a terzi;

ed ha conseguentemente escluso la possibilità di procedere a una liquidazione in via equitativa, stante la mancanza di minimi dati cui ancorare una simile liquidazione, dando atto che l’unica prova documentale certa e specifica fornita è rappresentata dalla spesa, già riconosciuta dal primo giudice, di L. 6.512.630, sostenuta dalla Texa per eliminare o ridurre il difetto del filato in questione nella lavorazione del tessuto.

La decisione resa sul punto risulta immune da vizi logici ed è conforme ai principi sopra enunciati, secondo cui il potere discrezionale che l’art. 1226 c.c. conferisce al giudice del merito è rigorosamente subordinato al duplice presupposto che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che sia impossibile, o molto difficile, la dimostrazione de loro preciso ammontare, e non può valere, quindi, a surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza.

4) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato.

Ne discende la condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2011

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