Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12530 del 17/06/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 12530 Anno 2015
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: FERRO MASSIMO

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SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif. dall’Avvocatura
Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n.12
-ricorrente Contro

MALICA s.p.a., già Santa Prassede s.r.1., in persona del 1.r.p.t., rappr. e dif. dall’avv.
Giuseppe Cerulli Irelli, elett. dom. presso lo studio del medesimo, in Roma, via delle
Quattro Fontane n.20. come da procura per atto Notaio A.Carusi in Roma 9.7.2008
-resistente costituito-

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estensore

Data pubblicazione: 17/06/2015

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per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale Lazio 15.12.2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 11 marzo 2015
dal Consigliere relatore doti. Massimo Ferro;

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uditi l’avvocato dello Stato Mario Capolupo per l’Agenzia delle Entrate e l’avvocato
Giuseppe Cerulli Irelli per il controricorrente;

IL PROCESSO
Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale Lazio 15.12.2006 che, accogliendo l’appello della società Santa Prassede
s.r.l. (poi incorporata nella Malica s.p.a.) avverso la sentenza C.T.P. Roma n.
754/41/2004 resa in tema di impugnazione dell’avviso di accertamento per IRPEG
ed ILOR del 1993, con cui l’Ufficio locale aveva determinato un maggior reddito
della società, ne affermò la illegittimità in quanto fondato sulla non dovuta tassazione
di interessi su titoli di Stato esenti da imposta e sulla erronea rettifica ILOR, invero
non ascrivibile a società che svolgeva attività di gestione immobiliare e stante la
sostituzione dell’imposta con l’IC.
Ritenne complessivamente la C.T.R. che da un lato la contribuente avesse
documentato l’epoca, anteriore al 20.9.1986, di emissione dei titoli di Stato, per
quella ragione fruenti della esenzione IRPEG e che l’onere della prova, spettante
all’amministrazione, non fosse stato adeguatamente assolto.
Il ricorso è articolato su tre motivi, mentre la contribuente si è costituita con
elezione di domicilio.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

e

Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto, in relazione all’art.360 co.1 n.3
cod.proc.civ., la violazione di legge ai sensi degli artt. 63 e 75 TUIR, avendo
erroneamente trascurato la C.T.R. che il reddito imponibile è condizionato non solo
dalla esistenza ma anche dalla quantità degli interessi attivi su titoli, benchè esenti,
venendo in ipotesi ridotta la deducibilità degli interessi passivi e anche delle spese
generali.
Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto, in relazione all’art.360 co.1 n.3
cod.proc.civ., la violazione di legge ai sensi degli artt17 co.4 d.lgs. n. 504 del 1992,
nonché 2697 cod.civ., avendo la C.T.R. ritenuto che di per sé la mera introduzione
dell’ICI sin dal 1993 implicasse l’esonero dall’ILOR per tutti i redditi dei fabbricati e
terreni, mentre era la società che avrebbe dovuto dimostrare trattarsi di redditi
revenienti da immobili diversi da quelli d’impresa.
Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto, in relazione all’art.360 co.1 n•5
cod.proc.civ., il vizio di motivazione in quanto la C.T.R. non ha adeguatamente
motivato la circostanza della ritrazione dei redditi dichiarati esenti da beni non
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estensore co

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Riccardo Fuzio, che
ha concluso per raccoglimento del ricorso.

..1

Va preliminarmente rigettata l’eccezione, sollevata in udienza dalla società
contribuente, circa il limite dell’impugnazione, ravvisato in un’individuazione errata
della sentenza sottoposta a ricorso per cassazione. Osta all’accoglimento
dell’eccezione la natura manifestamente e solo formale, oltre che parziale, dei
riferimenti erronei del ricorso di Agenzia delle Entrate alla sentenza di C.T.R. n.
122/9/2006: è vero che nella prima pagina dell’atto si invoca la cassazione di una
sentenza numericamente diversa, ma nel prosieguo l’atto identifica in modo
indefettibile proprio la citata sentenza. Infatti, due sono i riferimenti testuali, e cioè il
richiamo espresso all’esatta sentenza di C.T.P. Roma 754/41/01 su cui ebbe a
pronunciarsi proprio C.T.R. 122/9/06 e poi la corretta menzione di quest’ultima nel
corpo della premessa. Inoltre, ed altrettanto decisivamente, tutto il tenore dello
svolgimento del processo, del riassunto delle posizioni delle parti e delle censure sono
senza dubbio e solo riferibili alla sentenza C.T.R. 122/9/06.
,
1. Il primo motivo è fondato. La disciplina organizzativa della deducibilità degli interessi
passivi, necessaria a comprendere i margini di esenzione da imposta degli interessi attivi
di cui si controverte, secondo il testo rilevante ratione temporis, promana dall’art.63 co.3
d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917, per il quale Se nell’esercizio sono stati conseguiti interessi o
altri proventi esenti da imposta derivanti da obbligazioni pubbliche o private sottoscritte, acquistate o
ricevute in usufrutto o pegno a decorrere dal 28 novembre 1984 o da cedole acquistate separatamente
dai titoli a decorrere dalla stessa data, gli interessi passivi non sono ammessi in deduzione fino a
concorrenza dell’ammontare complessivo degli interessi e proventi esenti Gli interessi passivi che
eccedono tale ammontare sono deducibili a norma dei commi 1 e 2 [per la parte corrispondente al
rapporto tra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito e
l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi] ma senta tenere conto, aifini del rapporto ivi

..

previsto, dell’ammontare degli interessi e proventi esenti corrispondente a quello degli interessi passivi
non ammessi in deduzione. Si tratta dunque di un regime relazionale, nel duplice senso che
la neutralizzazione impositiva di un reddito (gli interessi attivi conseguiti come frutto
di titoli) è strettamente collegata e parametrata all’aver sostenuto dei costi (almeno) in
termini di interessi passivi e, in secondo luogo, nemmeno esprime una regola assoluta,
come erroneamente postulato in sentenza, non bastando invero la datazione storica,
quale l’emissione anteriore al 20.9.1986, bensì occorrendo che siano rispettati i
rapporti quantitativi tra le due categorie di attivo e passivo, come si evince dal
completamento della disposizione offerto dall’art.75 co.5bis TUIR, per il quale Qualora
nell’esercizio siano stati conseguiti gli interessi e i proventi di cui al comma 3 dell’ articolo 63 che
eccedono l’ammontare degli interessi passivi, fino a concorrenza di tale eccedenza non sono deducibili le
spese e gli altri componenti negativi di cui alla seconda parte del precedente comma e, ai fini del
rapporto previsto dal predetto articolo 63, non si tiene conto di un ammontare corrispondente a quello
non ammesso in deduzione.
Nella vicenda, la C.T.R. ha invece applicato un meccanismo di esenzione per il quale,
erroneamente, la mera imputazione genetica della voce interessi su titoli all’epoca di
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estensore

C

1TO

relativi all’impresa, mentre l’attività della società sembrava invece e piuttosto
indicare operazioni commerciali su beni propri.

2. Il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente per l’evidente connessione,
sono in parte inammissibili e in parte infondati. Con una sintetica ricostruzione di fatto, per
vero non impugnata, la C.T.R. ha dato conto che l’Ufficio “non ha esteso la propria
indagine circa l’avvenuto pagamento o meno della nuova imposta IO”, aggiungendo che la
circostanza, se chiarita, avrebbe avuto influenza sulla natura dei beni della società o,
meglio, sulla discussione concernente l’attività immobiliare dalla stessa condotta in
relazione alla divisione interna tra beni strumentali e beni diversi benché posseduti,
cioè alla stregua di una ratio — questa sì impugnata — vertente sulla portata dell’art.17
co.4 d.lgs. n. 504 del 1992. Sul punto Agenzia delle Entrate non ha svolto alcun rilievo
censorio, così incorrendo in un limite della propria difesa, almeno quanto al terzo
motivo, posto che la citata questione non ha trovato contestazione nel motivo di
ricorso, conseguendone — già per tale causa — l’inammissibilità. Pur non dovendo
pertanto il Collegio affrontare la questione circa l’esatta latitudine della nozione di
redditi da fabbricato, nemmeno può discutersi del principio — di cui al precedente di
Cass. 651/2005 – per cui, trattandosi di beneficio invocato dal contribuente, era onere
di questi dare la dimostrazione dei relativi presupposti, in quanto il contribuente che
intenda far valere l’esclusione, dall’imponibile di un’imposta, di redditi già assoggettati
ad altra imposta, come nell’ipotesi prevista dall’art. 17 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n.
504, diretta ad evitare la doppia imposizione di ICI ed ILOR, è tenuto a fornire la
prova tanto dell’ammontare dei redditi quanto dell’effettivo assoggettamento alla
diversa imposta, non essendo sufficiente che si limiti a provare l’omessa indicazione
dei redditi stessi nell’apposito rigo della dichiarazione. Osta invero a tale disamina il
predetto limite dell’impugnazione, il quale procede dal mancato rispetto del principio,
cui qui si presta adesione, per cui. “ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni,
distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la
decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse,
la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivaione non
impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza.” (Cass.
3386/2011, 22753/2011; Cass. s.u. 7931/2013). Né il giudice potrebbe introdurre un
tema non provatamente affrontato nei gradi di merito, quale l’accertamento del
pagamento dell’ICI, per lo stesso anno 1993, da parte del contribuente.
3. L’infondatezza deriva a sua volta dall’erroneità della tesi cd. cumulativa seguita
dall’Ufficio e poi mantenuta nelle critiche impugnatorie di legittimità, dovendosi
ribadire che in tema di ILOR, proprio l’art. 17, co. 4, del d.lgs. 30 dicembre 1992 n.
504, nel prevedere l’esclusione dall’imposta in questione dei redditi di fabbricati a
qualsiasi uso destinati, “ivi compresi quelli strumentali od oggetto di locazione”, persegue
l’obiettivo di evitare una doppia tassazione dello stesso immobile ai fini dell’ICI ed
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emissione citata quale sbarramento è valsa alla stregua di causa di esenzione generale
del corrispondente attivo, così evitando di rispettare il dovuto contemperamento e le
conseguenti proporzioni — correttamente riportate dalla ricorrente per estratti
dell’avviso di accertamento — rispetto ai costi sostenuti come interessi, secondo ed
essenziale polo di calcolo direttamente influente sul reddito finale imponibile, al pari
delle spese generali e le altre componenti negative.

MATERIA TRDETARIA
dell’ILOR e si applica, quindi, ai redditi di fabbricati, anche costituenti oggetto di
locazione, a qualsiasi soggetto (persona fisica o società commerciale) appartengano
(Cass. 9550/2011). Si tratta di indirizzo, cui il Collegio presta adesione, che d’altronde
discende in modo diretto dalla lettera della disposizione, vigente per i redditi prodotti dal
periodo di imposta in corso al 1° gennaio 1993 [co.5 art.17 d.lgs. cit.], la quale recita che Sono
esclusi dall’imposta locale sui redditi i redditi di fabbricati a qualsiasi uso destinati, ivi compresi
quelli strumentali od oggetto di locione, i redditi dominicali delle aree fabbricabili e dei terreni
agricoli, nonché i redditi agrari di cui alli articolo 29 del testo unico delle imposte sui redditi,
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive
modificaioni.”. Da tale riportato tenore testuale non si evince alcuna indicazione idonea
a sorreggere la sostenuta dirimente separazione tra attività immobiliare condotta su
beni strumentali ed altra perseguita su beni non strumentali.

Invero la stessa Corte cost, con la sentenza n. 403 del 31 luglio 2000, ha inteso
superare ogni residuo dubbio applicativo di un sia pur limitato regime del cumulo,
proprio della situazione per cui, a parità di reddito e di capacità contributiva, alcuni soggetti per
un periodo del 1993 (variante a seconda della fine de/periodo di bilancio non solare) sarebbero tenuti
per il medesimo reddito fondiario (fabbricati, terreni e assimilatz) solo alla sopravvenuta forma
impositiva (IO), altri anche alla sopprimenda ILOR per la stessa iipologia di beni, finendo così
con il ritenere l’illegittimità coslitnionale dell’art. 17, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 504 (Riordino dellafinanza degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre
1992, n. 421), nella parte in cui, per coloro che sono soggetti all’imposta sul reddito delle persone
giuridiche il cui periodo d’imposta non coincide con l’anno solare, non esclude la sovrapposizione
dell’imposta locale sui redditi (ILOR) di fabbricati ed altri redditi contemplali nel comma 4. Il
principio direttivo, operante dunque anche per la corretta ricostruzione del rapporto
tra ILOR ed ICI, è quello del divieto di sovrapposizione nello stesso segmento
temporale e sulla base del medesimo possesso immobiliare, comunque
tipologicamente formato, fra le due imposte.
Pertanto il ricorso è fondato, quanto al primo motivo, va invece rigettato quanto
al secondo e al terzo, conseguendone la cassazione della sentenza con rinvio alla
C.T.R., anche per la liquidazione delle spese.

ESENTE rm, REGISMAZIONE
AI SENSI DELD.RR. 26é4/1916
N. 131 TAB. ALL. B. – N, 3

P . Q .M .

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, con rigetto quanto ai motivi
secondo e terzo, cassa e rinvia a C.T.R. Lazio, in diversa composizione anche
anche per la
IN CANCELLERIA
D
liquidazione delle spese del procedimento.
IL ……. AUL=
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11 marzo 2015.

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