Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12526 del 17/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 17/06/2016, (ud. 09/03/2016, dep. 17/06/2016), n.12526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25103-2012 proposto da:

I GIGLIOLI DEI CASTAGNI GALLERIA DI E.C. & C SNC

(OMISSIS), in persona dell’Amministratore unico e legale

rappresentante Sig.ra C.E., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio

dell’avvocato MARIO CONTALDI, che la rappresenta e difende giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.F., F.G., F.C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COSSERIA N.2, presso lo

studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentati e difesi dagli

avvocati MARGHERITA VIGNOLI, ARNALDO FOSCHI giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 997/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 05/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato STEFANIA CONTALDI per delega;

udito l’Avvocato FRANCESCA GIUFFRE’ per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per l’inammissibilità.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza non definitiva dell’8 novembre 2004 il Tribunale di Forlì accoglieva domanda risarcitoria proposta da F. C., F.F. e F.G. nei confronti di I Giglioli dei Castagni s.n.c. per danni derivati ad un immobile di proprietà attorea da lavori di ristrutturazione e restauro effettuati dalla società convenuta su un immobile confinante di sua proprietà sito in (OMISSIS), e pertanto condannava tale società al pagamento di Euro 12.500, oltre a interessi e spese legali.

Avendo I Giglioli dei Castagni s.n.c. proposto appello contro tale sentenza, adducendo che controparte non aveva assolto il proprio onere probatorio, essendosi il Tribunale fondato esclusivamente su una CTU, la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 27 aprile-5 settembre 2011 lo rigettava.

2. Ha presentato ricorso I Giglioli dei Castagni s.n.c., sulla base di un unico motivo – illustrato poi anche con memoria ex art. 378 c.p.c. – denunciante, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione di legge e vizio motivazionale. Controparte si è difesa con controricorso, e ha depositato poi memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Nell’unico suo motivo la ricorrente lamenta che la sentenza non sarebbe correttamente motivata, in ispecie quanto alla individuazione dei requisiti di legge – ai sensi degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. nonchè art. 2697 c.c. – sia per quanto riguarda l’esecuzione dei lavori di ripristino da parte dei F. sia quanto alle spese relative. Su questo, infatti, non sarebbero state prodotte prove documentali e neppure risulterebbe addotto nell’atto di citazione che i F. avessero proceduto ad emendare la situazione: e infatti, nella citazione era chiesta la condanna della convenuta stessa al ripristino, oltre che al risarcimento dei danni.

E quindi la sentenza di primo grado nonchè la conforme sentenza di secondo grado si sarebbero fondate sulle valutazioni del c.t.u. in ordine all’esecuzione dei lavori e al loro costo – che, ad avviso della ricorrente, sarebbero valutazioni meramente teoriche – e su elementi probatori irrilevanti al riguardo, come il rapporto dei vigili urbani, le testimonianze sulla presenza delle crepe nell’edificio e le ordinanze di sospensione dei lavori. Erroneo e contraddittorio sarebbe in particolare il ragionamento del giudice d’appello laddove ritiene che la descrizione delle voci di spesa effettuata dal c.t.u. sia idonea a dimostrare l’effettuazione del ripristino e i relativi costi. Mancherebbe pertanto un esame di risultanze istruttorie e comunque sarebbe illegittimo il riconoscimento del valore di piena prova sia all’ATP sia alla CTU. Questa parte del motivo, è evidente, si fonda in sostanza sulla pretesa inidoneità probatoria degli accertamenti tecnici. A essa segue peraltro un’ulteriore doglianza, nel senso che vi sarebbe stata una lesione del contraddittorio e del diritto di difesa dell’attuale ricorrente. Poichè non sarebbe noto quando controparte effettuò il ripristino non avendolo addotto nella citazione nè prodotto documenti al riguardo, si sarebbe appreso dei lavori per la prima volta dalla CTU: ma – ribadisce ancora la ricorrente – questa non è mezzo di prova e il convenuto, comunque, che si attendeva di esaminare i luoghi durante la consulenza tecnica per difendersi quanto ai ripristini e al loro costo, si sarebbe trovato davanti a una situazione di fatto nuova, per cui il suo diritto di difesa sarebbe stato compromesso, non essendosi potute constatare entità e modalità degli interventi di ripristino nè la correlativa spesa.

E che la parte attrice non avrebbe adempiuto al suo onere probatorio al riguardo – sempre perchè la CTU non potrebbe essere un mezzo di prova, ma solo un parere tecnico, strumento di valutazione degli esiti di prove già acquisite – costituisce la conclusione in punto di diritto di queste argomentazioni, l’illustrazione del motivo terminando poi, in effetti, con rilievi di fatto su singole voci dei lavori di ripristino che in questa sede di legittimità sono chiaramente inammissibili.

3.2 La descrizione del contenuto dell’unico motivo è stata redatta in modo dettagliato in quanto già la stessa lettura della doglianza ne dimostra l’infondatezza. Le argomentazioni della ricorrente, invero, hanno tutte come perno logico una visione degli accertamenti tecnici non corrispondente nè alla ratio normativa ad essi sottesa nè alla correlata giurisprudenza di legittimità, che ne ha ben chiarito la funzione processuale.

Elude, infatti, la ricorrente il dato dirimente che questa Suprema Corte ha da tempo chiarito (ciò non è illustrato nella motivazione della sentenza impugnata se non con un rapido e implicito cenno, ma trattasi di questione di diritto, e quindi rileva esclusivamente la corretta applicazione del principio – cfr. Cass. sez. 3, 14 febbraio 2012 n. 2107, Cass. sez. 5, 2 febbraio 2002 n. 1374; Cass. sez. 2, 10 maggio 1996 n. 4388; Cass. sez. 1, 14 giugno 1991 n. 6752; Cass. sez. 2, 22 gennaio 1976 n. 199 – che, come si verrà a constatare, è stata effettuata dal giudice d’appello), e cioè che un accertamento tecnico non è soltanto un mezzo di valutazione di prove già acquisite, vale a dire uno strumento per dedurne una interpretazione tecnica, ma, se al consulente è dato l’incarico di accertare direttamente fatti la cui verifica esige competenze tecniche, assume il valore di vera e propria prova. In tal senso si è conformata la nota distinzione tra C.T.U. deducente e C.T.U. percipiente (tra gli arresti più recenti, v. Cass. sez. 3, 13 marzo 2009 n. 6155: “La consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perchè volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche.”; sulla stessa linea, ex multis S.U. 4 novembre 1996 n. 9522, Cass. sez. 3, 23 febbraio 2006 n. 3990, Cass. sez. 5, 11 maggio 2012 n. 7364, Cass. sez. 3, 26 febbraio 2013 n. 4792, Cass. sez. 1, 10 settembre 2013 n. 20695, Cass. sez. 1, 27 dicembre 2013 n. 28669 e Cass. sez. 1, 29 gennaio 2014 n. 1904).

Nel caso di specie, non è discutibile che i fatti addotti da parte attrice fossero da accertare avvalendosi anche di competenze tecniche; e il valore di prova oggettiva non può, d’altronde, non estendersi anche all’accertamento tecnico preventivo, ovvero alla versione cautelare della consulenza tecnica d’ufficio. Da queste constatazioni deriva il superamento della prospettazione della ricorrente sotto il profilo della inidoneità degli accertamenti tecnici a costituire prova giuridicamente utilizzabile. Osserva, invero, la corte territoriale che l’onere probatorio era stato assolto dalla parte attrice, producendo documentazione e chiedendo un ATP in corso di causa, cui aveva fatto seguito anche una C.T.U., essendo “di tutta evidenza che la nomina di un CTU da parte del giudicante, date le nozioni tecniche richieste per la soluzione del caso” onde l’accertamento tecnico era più che legittimo “anche al fine di completare il quadro probatorio”. Ed espone, quindi, il giudice d’appello come il contenuto dell’accertamento tecnico preventivo e della successiva consulenza tecnica d’ufficio abbia condotto a una descrizione completa della situazione pregiudizievole in cui era venuto a trovarsi l’immobile dei F. e all’accertamento – questo espletato nella C.T.U. – del nesso causale tra le lesioni del loro edificio e l’attività di “restauro conservativo” intrapresa dall’attuale ricorrente, dalla quale erano derivate infatti “intense vibrazioni ed altre sollecitazioni trasmesse alle fondamenta del muro dall’azione prolungata delle macchine operatrici: escavatore, pala, martello pneumatico”.

3.3 Nè presenta consistenza l’ulteriore filone argomentativo di cui si avvale la ricorrente, che lamenta assenza di domanda del risarcimento del costo dell’attività di ripristino effettuata dagli attori nell’atto introduttivo del giudizio – ove sarebbe stata chiesta solo la condanna di controparte a effettuarlo essa stessa –

nonchè la pretesa lesione del diritto di difesa per non avere la ricorrente esaminato i luoghi in sede di CTU prima del ripristino stesso, e quindi, a suo avviso, per non avere potuto difendersi sull’entità e sulle modalità degli interventi e relativi costi.

Secondo la stessa esposizione della vicenda processuale offerta nel ricorso, i F. citarono la società per ottenerne la condanna a eseguire i necessari ripristini e “a risarcire tutti i danni subiti dalla proprietà attorea”. La domanda risarcitoria per equivalente era dunque stata presentata fin dall’inizio; e il fatto che, nel corso del giudizio di primo grado, parte attrice abbia chiesto un accertamento tecnico preventivo e che questo sia stato concesso deriva evidentemente da una situazione di urgenza, ovvero dall’esigenza di un immediato ripristino (il che, trattandosi – come evidenzia la sentenza d’appello – di “inclinazione della massa muraria” dell’edificio attoreo “a partire dalle fondamenta”, non può che qualificarsi corrispondente al notorio). Nè, poi, l’attuale ricorrente può fondatamente lamentarsi di una violazione del contraddittorio in ordine appunto alla determinazione delle lesioni, nonchè dell’entità e delle modalità degli interventi necessari per il ripristino con i correlativi costi, dal momento che essa stessa ha avuto la possibilità di partecipare allo svolgimento sia dell’accertamento tecnico preventivo sia della susseguente consulenza tecnica d’ufficio, come previsto dal codice di rito; e che il lavoro di ripristino sia stato poi effettuato dalla controparte è stato d’altronde riconosciuto dalla stessa società (nel ricorso, si afferma: “se è vero, come è vero”, che parte attrice aveva fatto il ripristino, come attestato dal c.t.u.; e ciò per dedurre che si trattava, peraltro, di interventi modesti).

In conclusione, l’unico motivo del ricorso non mostra consistenza sotto alcun profilo, avendo la corte territoriale adottato una decisione conforme a quella del primo giudice che non deriva, come si è appunto illustrato, nè da una violazione del diritto di difesa della attuale ricorrente nè dall’utilizzazione di fonti probatorie illegittime.

Il ricorso deve quindi essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 3.200, oltre a Euro 200 per esborso e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2016

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