Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12519 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. I, 24/06/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 24/06/2020), n.12519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5311/2019 r.g. proposto da:

O.O. (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Serena

Brachetti, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Perugia, Via XIV Settembre n. 69;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Perugia, depositata in

data 7.9.2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/2/2020 dal Consigliere Dott. Amatore Roberto.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Perugia ha rigettato l’appello proposto da O.O., cittadino nigeriano, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 31.1.2017 dal Tribunale di Perugia, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: 1) di essere nato e vissuto in Nigeria; 2) di essere stato costretto ad emigrare perchè affetto da una patologia dermatologica, Linchen Planus, per la quale occorrevano particolari terapie.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, perchè non ricorrevano i presupposti applicativi dell’invocata protezione, riguardando il racconto del richiedente una vicenda meramente personale; b) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la patologia lamentata non era grave e dunque non determinava una condizione di vulnerabilità del richiedente e perchè la Nigeria non versava in una situazione di deprivazione dei diritti umani per i suoi cittadini.

2. La sentenza, pubblicata il 7.9.2017, è stata impugnata da O.O. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

La parte ricorrente ha depositato memoria, fuori termine.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 13 Dir. comunitaria n. 2005/85/CE e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, denunciando altresì la nullità del procedimento amministrativo e del successivo giudizio di primo grado per omessa traduzione in lingua conosciuta o comunque comprensibile ovvero veicolare della relata di notifica del provvedimento amministrativo di rigetto e della motivazione di tale diniego.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè vizio di motivazione apparente in ordine a punti decisivi della controversia.

3. Con il terzo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in ordine al rispetto del principio dell’onere probatorio che governa la materia, e vizio di motivazione in ordine a fatti decisivi della decisione, in relazione all’accertamento della reale situazione interna in Nigeria.

4. Il quarto mezzo deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4, nonchè vizio di motivazione apparente in ordine a punti decisivi della controversia.

5. Il quinto motivo evidenzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè vizio di motivazione in relazione al diniego della reclamata protezione umanitaria.

6. Il ricorrente, denuncia, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e vizio di motivazione in ordine alla erronea valutazione della patologia denunciata.

7. Il ricorso è inammissibile.

7.1 Già il primo motivo è inammissibile.

7.1.1 In ordine alle questioni riguardanti eventuali invalidità della fase amministrativa, va detto che le stesse non rilevano nell’odierno giudizio che è volto invece ad accertare la sussistenza o meno dei presupposti applicativi per il riconoscimento del diritto soggettivo alla reclamata protezione internazionale ed umanitaria.

La doglianza è peraltro nuova perchè dedotta solo in questo giudizio di legittimità.

7.1.2 In ordine, poi, alla mancata traduzione della relata di notifica del provvedimento della commissione, le censure si pongono in netto contrato con i principi affermati, in subiecta materia, dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali – in tema di protezione internazionale dello straniero la comunicazione della decisione negativa della Commissione territoriale competente, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 10, commi 4 e 5, deve essere resa nella lingua indicata dallo straniero richiedente o, se non sia possibile, in una delle quattro lingue veicolari (inglese, francese, spagnolo o arabo, secondo l’indicazione di preferenza), determinando la relativa mancanza l’invalidità del provvedimento; tale vizio, tuttavia, analogamente alle altre nullità riguardanti la violazione delle prescrizioni inderogabili in tema di traduzione, può essere fatto valere solo in sede di opposizione all’atto che da tale violazione sia affetto, ivi compresa l’opposizione tardiva, qualora il rispetto del termine di legge sia stato reso impossibile proprio dalla nullità (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 420 del 13/01/2012; Sez. 1, Ordinanza n. 16470 del 19/06/ 2019).

7.1.3 E’ stato anche precisato – per quanto qui rileva – dalla giurisprudenza di legittimità che, in tema di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 5, non può essere interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale e inoltre il richiedente partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano (Sez. 1, Ordinanza n. 23760 del 24/09/2019).

La doglianza è dunque inammissibile in quanto in netto contrasto con quanto costantemente affermato da questa Corte in punto di garanzia linguistica del richiedente protezione.

7.2 Il secondo motivo è anch’esso inammissibile.

Va infatti osservato che, in relazione alle doglianze articolate dal ricorrente per il diniego della richiesta protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b e dello status di rifugiato, il motivo di censura non coglie la ratio decidendi, e cioè la mancanza dei presupposti normativi previsti per la richiesta tutela, che non possono essere integrati dalla vicenda di carattere meramente privato raccontata dal ricorrente e dalla mancanza di atti di persecuzione in danno di quest’ultimo.

7.3 Il terzo motivo non supera anch’esso il vaglio di ammissibilità per le medesime ragioni già sopra evidenziate in relazione al secondo motivo, e cioè la mancata aggressione da parte del ricorrente della ratio decidendi che sostiene il diniego delle richieste protezioni.

7.3.1 In relazione, poi, alle ulteriori censure, va ricordato come la giurisprudenza di questa Corte abbia già chiarito che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018).

Situazione quest’ultima neanche prospettata da parte del ricorrente.

7.3.1 Va, inoltre, aggiunto che le doglianze articolate dal ricorrente, in ordine al diniego della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, sono inammissibili perchè nuove.

7.4 La quarta censura è inammissibile perchè anch’essa proposta solo in questo giudizio di legittimità, non emergendo dalla lettura degli atti (sentenza impugnata e ricorso introduttivo) la deduzione di uno specifico motivo di gravame in ordine alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

7.5 La quinta censura è inammissibile perchè è rivolta a sollecitare questa Corte di legittimità ad una rivalutazione del profilo di gravità della patologia lamentata dal ricorrente, questione che involge, all’evidenza, uno scrutinio del merito della decisione, che è inibito a questa Corte e che è invece rimesso al giudizio delle fasi precedenti.

7.5.1 La censura è peraltro declinata come vizio di violazione di legge, in relazione ai parametri normativi sopra ricordati.

Sul punto, non è inutile ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).

7.5.2 Per il resto la censura è articolata come vizio di insufficiente motivazione, non più declinabile alla luce della novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e come omesso esame di un fatto decisivo (gravità della malattia), profilo quest’ultimo insussistente, perchè, in realtà, la corte di merito si è pronunciata sul punto, evidenziando la non gravità della malattia dichiarata e dunque la sua irrilevanza ai fini del riconoscimento della richiesta protezione umanitaria.

7.6 n sesto motivo, anch’esso articolato sul diniego della richiesta protezione umanitaria, è inammissibile perchè il ricorrente non indica le ulteriori ragioni di vulnerabilità individuali e perchè, al solito, le censure che involgono la valutazione della gravità della malattia -, richiedendo uno scrutinio del merito della decisione, risultano irricevibili in questo contesto decisorio.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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