Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12519 del 17/06/2016

Cassazione civile sez. III, 17/06/2016, (ud. 16/02/2016, dep. 17/06/2016), n.12519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25824-2013 proposto da:

COMUNE DI RUVO DI PUGLIA (OMISSIS), in persona del suo Sindaco

p.t. ins. O.N., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DI VILLA MASSIMO 57, presso lo studio dell’avvocato

COSTANTINO FERONI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE

BARILE giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.B.

VICO 40, presso lo studio dell’avvocato ORONZO PANEBIANCO,

rappresentato e difeso dagli avvocati FAUSTO DONNO, SALVATORE

BONADIES giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1029/2010 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 04/12/2012, R.G.N. 933/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS LUISA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso alla Sezione specializzata agraria del Tribunale di Trani il Comune di Ruvo di Puglia convenne in giudizio C. M. e – sulla premessa che questi era subentrato al proprio padre C.R. in due contratti di affitto di fondi rustici aventi ad oggetto terreni demaniali destinati al pascolo – chiese che fosse pronunciata la risoluzione dei contratti stessi per grave inadempimento dell’affittuario, con conseguente ordine di rilascio dei fondi e risarcimento dei danni.

A sostegno della domanda il Comune espose che, com’era emerso da un’indagine penale, il C. aveva mutato la destinazione dei beni in questione, provvedendo alla scarificazione del terreno e successiva frantumazione delle pietre, in modo da trasformare i fondi dalla destinazione a pascolo a quella a seminarivo, coni da poter beneficiare dei contributi comunitari.

Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.

Espletata prova per testi ed acquisita la relazione redatta dal c.t.u., il Tribunale accolse in parte la domanda, dichiarò risolto il contratto di affitto, rigettò l’ulteriore domanda di risarcimento dei danni e condannò il C. al rilascio dei terreni ed al pagamento delle spese di giudizio.

2. Appellata la pronuncia da parte del convenuto soccombente, la Corte d’appello di Bari, Sezione specializzata agraria, con sentenza del 4 dicembre 2012, ha accolto il gravame e, in riforma dell’impugnata sentenza, ha rigettato la domanda di risoluzione avanzata dal Comune di Ruvo di Puglia, compensando integralmente le spese dei due gradi di giudizio.

Ha osservato la Corte territoriale, per quanto ancora interessa in questa sede, che il Tribunale aveva errato nell’individuare la percentuale dei terreni affittati che era stata realmente interessata dall’opera di modificazione di destinazione da pascolo a terreno coltivabile. Ed infatti, come risultava dall’espletata c.t.u, la superficie che era stata destinata alla coltivazione del foraggio interessava, in effetti, un’estensione di ha 2.31.20, a fronte di un’estensione complessiva dei terreni affittati pari ad ha 28.06.51.

Ciò premesso in punto di fatto, la Corte barese ha rilevato che la nozione di rilevanza e gravità dell’inadempimento che legittima la risoluzione dei contratti agrari ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 5, è più grave di quella delineata dall’art. 1455 c.c., dovendosi trattare di un inadempimento che “incida in misura superiore alla norma sull’attuazione del rapporto”.

La peculiarità della disposizione speciale imponeva, secondo la Corte d’appello, una valutazione caso per caso e, alla luce di simile valutazione, la domanda di risoluzione doveva essere respinta, per una serie di concorrenti ragioni. La sentenza ha, sul punto, indicato le seguenti: la modesta estensione del terreno interessato dalla modifica, pari a circa un decimo della superficie complessiva; la natura dell’attività, che non costituiva un vero e proprio dissodamento, bensì un’eliminazione dello strato superficiale del terreno, con facile emendabilità delle modifiche apportate; la natura delle coltivazioni ivi impiantate (foraggio), destinate all’alimentazione del bestiame; la vetustà delle modifiche, risalenti ad epoca anteriore rispetto alla data nella quale il C. era subentrato al proprio padre R.; la mancanza di ogni contestazione da parte del Comune in occasione del subentro; la mancanza di un profitto da parte del trasgressore.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Bari propone ricorso il Comune di Ruvo di Puglia con atto affidato a sette motivi.

Resiste C.M. con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1590, 1615, 1618 e 1620 c.c., della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 10, nonchè della L. 3 maggio 1982, n. 203, artt. 5 e 16.

Osserva il ricorrente che la stessa sentenza impugnata ha dato atto che vi era stato un procedimento penale a carico, fra gli altri, del C., colpevole di aver trasformato il fondo da pascolo a seminativo in una zona sottoposta a vincolo, per cui il Comune aveva il dovere d’ufficio di attivarsi a tutela del paesaggio. La sentenza ha ritenuto irrilevante l’inadempimento per il solo fatto che la modifica aveva interessato un decimo del terreno, ma ciò non sarebbe in armonia con i principi della giurisprudenza, in base ai quali non conta il dato astratto ma quello concreto.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Rileva il Comune ricorrente – dopo aver trascritto il contenuto dei contratti stipulati con C.R. prima e con C. M. poi – che risulterebbe chiaramente dagli stessi che i terreni in questione avevano una destinazione esclusiva a pascolo, per cui la sentenza avrebbe omesso nell’esaminare circostanze decisive ai fini dell’accoglimento della domanda.

3. Con il terzo motivo di ricorso – erroneamente numerato come quarto – si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1590, 1615, 1618 e 1620 c.c., della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 10, nonchè della L. 3 maggio 1982, n. 203, artt. 5 e 16, nonchè di normativa comunitaria.

Il ricorrente – dopo aver richiamato ampie parti della c.t.u.

espletata ed aver ribadito che il C. aveva compiuto attività di spietramento e frantumazione delle pietre – lamenta che la Corte d’appello non abbia considerato tale comportamento idoneo ad integrare la violazione dell’art. 1590 c.c., ed abbia invece erroneamente affermato che la mancanza di un vero e proprio dissodamento del terreno fosse sufficiente ad escludere l’inadempimento.

4. Con il quarto motivo di ricorso – erroneamente numerato come quinto – si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Si censura, sul punto, il fatto che la sentenza abbia ritenuto esistente una sorta di acquiescenza del Comune in relazione alle modifiche compiute dal padre del C., senza considerare che prima di essere venuto a conoscenza della pendenza di un processo penale per i fatti in questione, esso Comune non aveva a disposizione il materiale (anche fotografico) attestante le modifiche per cui è causa.

5. Con il quinto motivo di ricorso – erroneamente numerato come sesto – si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1453 e 1455 c.c..

Osserva il ricorrente che, ove pure al corrente della commissione di abusi da parte dell’affittuario, esso Comune non avrebbe potuto comunque compiere atti di tolleranza dei medesimi.

6. Con il sesto motivo di ricorso – erroneamente numerato come settimo – si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Si osserva che la Corte, nel valutare la gravità dell’inadempimento, non avrebbe considerato che le modifiche apportate dal C. ai terreni in questione non erano di facile rimovibilità.

7. Con il settimo motivo di ricorso – erroneamente numerato come ottavo – si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1590, 1615, 1618 e 1620 c.c., della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 10, nonchè della L. 3 maggio 1982, n. 203, artt. 5 e 16.

Osserva il ricorrente che la circostanza, valutata dalla Corte d’appello, per la quale il C. non avrebbe ricevuto alcun vantaggio economico dalle modifiche apportate al terreno, sarebbe del tutto estranea alla fattispecie e non avrebbe dovuto avere alcuna rilevanza ai fini della valutazione dell’inadempimento.

8. I sette motivi, sebbene tra loro diversi, possono essere trattati congiuntamente in quanto insistono tutti sulla valutazione compiuta dalla Corte territoriale della gravità dell’inadempimento addebitabile al C..

Rileva il Collegio, a questo proposito, che la valutazione della gravità dell’inadempimento – che la L. n. 203 del 1982, art. 5, comma 2, collega ad alcuni ben precisi parametri di riferimento –

integra un accertamento di fatto riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (così, tra le altre, le sentenze 26 giugno 2007, n. 14755, e 19 marzo 2009, n. 6669).

Nel caso in esame la Corte d’appello di Bari, con un’ampia ed articolata motivazione bene argomentata e del tutto priva di vizi logici, ha dato conto delle ragioni per le quali, sovvertendo il diverso giudizio dato dal Tribunale, ha ritenuto che non sussistessero le ragioni per dichiarare la risoluzione del contratto.

La motivazione resa dalla Corte di merito – i cui punti principali sono stati già in precedenza richiamati – viene criticata nei motivi di ricorso del Comune di Ruvo di Puglia riproponendo all’esame di questa Corte circostanze di fatto già valutate in quella sede.

Da tanto consegue che alcuni motivi sono evidentemente inammissibili alla luce del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), applicabile ratione temporis alla sentenza in esame, in quanto pongono censure di vizio di motivazione in relazione a circostanze esaminate dalla Corte barese (motivi secondo e quarto, erroneamente numerato come quinto). Gli altri motivi, oltre a porre questioni generiche circa l’opportunità o meno di alcune valutazioni, tendono comunque a sollecitare questa Corte ad un nuovo e non consentito esame del merito.

9. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del Comune ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare le competenze professionali.

Pur sussistendo, in astratto, le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, tale obbligo va escluso, trattandosi di ricorso esente per legge, attesa la natura della controversia.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.000, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 16 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2016

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