Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12517 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 12/05/2021), n.12517

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16203-2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, C.F. (OMISSIS), in persona del

Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla

via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

EUROSTRADE s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al

controricorso, dall’avv. Simona MAROTTA ed elettivamente domiciliata

in Roma, alla via Famagosta, n. 25, presso lo studio legale

dell’avv. Donatella NASTRO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9829/14/2018 della Commissione tributaria

regionale della CAMPANIA, depositata il 13/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue.

L’Agenzia delle entrate ricorre con due motivi, illustrati anche con memoria, cui replica con controricorso l’intimata Eurostrade s.r.l., per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la CTR, ritenendo che fosse impugnabile il diniego dell’amministrazione finanziaria di emettere in autotutela un provvedimento di sgravio dei tributi iscritti a ruolo, richiesto dalla società contribuente, e sul rilievo che l’agente della riscossione non aveva prodotto in giudizio le cartelle oggetto di richiesta di sgravio, annullava otto cartelle di pagamento e compensava le spese processuali stante l’accoglimento dell’eccezione sollevata dall’amministrazione finanziaria di difetto di giurisdizione del giudice adito su cartelle emesse per crediti di natura non tributaria.

Preliminarmente ed in difformità dalla proposta del relatore, va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, non trovando applicazione nella specie il termine breve, bensì il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c.

La controricorrente deduce di aver notificato la sentenza il 28 dicembre 2018, con conseguente tardività del ricorso consegnato per la notifica solo il 13 maggio 2019.

Dall’esame della relata di notifica, riprodotta nella memoria della ricorrente e comunque per stessa ammissione fattane dalla controricorrente a pag. 4 del controricorso, si evince tuttavia che la notifica è stata effettuata a mezzo posta elettronica certificata.

Orbene, questa Corte, sul rilievo che il processo tributario ha un regime di notificazione degli atti suo proprio, previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16 e 17 il primo dei quali richiamato espressamente dal vigente art. 38, comma 2, del citato D.Lgs., ha affermato che “nel processo tributario, con riguardo al luogo delle notificazioni, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 17, fa in ogni caso salva la “consegna in mani proprie”, per cui una notificazione eseguita in tal modo deve considerarsi valida anche in presenza di una elezione di domicilio. La norma citata, inoltre, facendo riferimento non alla notifica in mani proprie, bensì alla “consegna in mani proprie”, deve intendersi nel senso che venga fatta salva non solo la notificazione eseguita ai sensi dell’art. 138 c.p.c., ma anche tutte le altre notificazioni (ex art. 140 c.p.c., o a mezzo del servizio postale), a seguito delle quali l’atto venga comunque consegnato a mani del destinatario (Cass. n. 4274 del 2002, n. 10474 del 2003, n. 9381 del 2007)”(Cass. 3746/10; Cass. 16848/08 ed altre)” (Cass. n. 1528 del 2017).

Pertanto, con espresso riferimento alla notifica della sentenza, si è affermato che “la consegna a mani dalla sentenza integra una forma di notifica idonea a far decorrere il termine cd. “breve” per l’impugnazione, in quanto il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38 nella formulazione successiva alle modifiche apportate dal D.L. n. 40 del 2010, art. 3 (conv., con modif., dalla L. n. 73 del 2000), riconosce alle parti private la facoltà di notificare la sentenza mediante consegna diretta dello stesso D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 16, comma 3, in base al quale le notificazioni all’ufficio del Ministero delle finanze (ora Agenzia delle Entrate) ed all’ente locale possono essere effettuate “mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia” (cfr. Cass., sez. 5, 28/02/2018, n. 4616, Rv. 647548 – 01, e, in precedenza Cass., sez. 6-5, 2/3/2015 n. 4222, non massimata)” (Cass. n. 32869 del 2019, che si è posta sulla scia di Cass. n. 16554 del 2018, secondo cui, “Nel processo tributario, è idonea a far decorrere il termine cd. breve per impugnare, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 2, (come novellato dal D.L. n. 40 del 2010, art. 3 conv. in L. n. 73 del 2010), la consegna della sentenza direttamente alla parte pubblica individuata dall’art. 10 del detto decreto ovvero la spedizione di essa, a cura della parte o del suo procuratore, effettuata mediante il servizio postale, nei luoghi di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 ed in plico raccomandato, senza busta e con avviso di ricevimento”).

In sintesi, ai fini del decorso del termine breve di impugnazione, la notifica della sentenza può essere fatta alla parte personalmente soltanto mediante “consegna a mani” di quest’ultima, da effettuarsi, ove il destinatario sia l’amministrazione finanziaria, “mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia” (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 3, u.p.). Diversamente, la notifica va effettuata a mezzo posta in plico raccomandato senza busta e con avviso di ricevimento, presso i luoghi indicati nell’art. 17 del citato D.Lgs., ovvero nel domicilio eletto dalla parte o, in mancanza, nella residenza o nella sede dalla stessa dichiarata in sede di costituzione in giudizio, oppure per via telematica (a mezzo posta elettronica certificata), che è modalità originariamente prevista dall’art. 16, comma 1-bis ed attualmente dall’art. 16-bis del citato D.Lgs., introdotto dal D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, non equiparabile alla “consegna a mani” prevista dal citato art. 16.

A quanto detto deve aggiungersi che questa Corte, ponendosi in contrasto con un lontano precedente (Cass. n. 5871 del 2012), con sentenza n. 11408 del 2019, non massimata, ha affermato che il principio ricavabile da Cass. n. 1972 del 2015 e Cass. Sez. U, n. 14916 del 2016, secondo cui alla proposizione del ricorso per Cassazione avverso la sentenza delle commissioni tributarie regionali devono ritenersi applicabili esclusivamente le disposizioni dettate dal codice di procedura civile, e quindi, con riguardo al luogo della notificazione non già il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, ma la disciplina di cui all’art. 330 c.p.c., “trova applicazione estensiva anche alla notifica delle sentenza di appello in quanto tale attività processuale si colloca in una fase successiva al processo tributario e si riverbera nel processo per Cassazione in quanto è idonea a far decorrere il termine breve per il ricorso in Cassazione”, sicchè il principio in tema di notifica effettuata mediante “consegna a mani” all’amministrazione finanziaria, affermato nelle pronunce più sopra richiamate, “vale limitatamente alle impugnazioni proposte nell’ambito del procedimento tributario (…) ma non si estende alla notifica della sentenza della Commissione Tributaria Regionale ricorribile per Cassazione” (così in Cass. n. 11408/2019 cit.).

Alla stregua di quanto fin qui detto discende l’ammissibilità del ricorso in esame perchè, applicato il termine lungo semestrale, il ricorso risulta tempestivamente proposto (con termine a quo del 13/11/2018 e termine ad quem del 13/05/2019, data in cui il ricorso risulta spedito per la notificazione).

Deve, quindi, passarsi all’esame dei motivi di ricorso.

Con il primo la difesa erariale deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21 sostenendo che aveva errato al CTR a ritenere ammissibile l’impugnazione del diniego di annullamento in autotutela delle iscrizioni a ruolo relative a cartelle regolarmente notificate e non impugnate, in mancanza di prospettazione da parte della società contribuente di un interesse di rilevanza generale.

Il motivo è fondato e va accolto.

Pare opportuno premettere in fatto che nel caso di specie è pacifico che la società contribuente con l’originario ricorso impugnò il silenzio-rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria all’istanza di sgravio, in autotutela, delle cartelle di pagamento di cui contestò l’inesistenza oltre che la mancata notifica, eccependo, altresì, la prescrizione dei crediti erariali.

Ciò precisato, deve ricordarsi che “In tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 7616 del 28/03/2018, Rv. 647518 – 01). Principio ribadito da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 21146 del 24/08/2018 (Rv. 650057 01) secondo cui “Nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impòsitivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente” (in termini oltre a Cass., Sez. U., n. 2870 del 2009 e n. 3698 del 2009, anche Cass. n. 17374 del 2017 nonchè Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 21146 del 24/08/2018, Rv. 650057; Ordinanza n. 4937 del 20/02/2019, Rv. 652951; Ordinanza n. 5332 del 22/02/2019, Rv. 652959; Ordinanza n. 24032 del 26/09/2019, Rv. 655055).

La Corte Costituzionale, nella citata sentenza, oltre ad avallare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il carattere discrezionale dell’autoannullamento tributario “non costituisce un mezzo di tutela del contribuente”, ha espressamente affermato che “Anche in un contesto così caratterizzato, tuttavia, nel quale l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilMente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti – e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l’amministrazione tributaria è chiamata a provvedere – secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicchè si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio”.

Orbene, nella specie, ancorchè la CTR abbia richiamato in motivazione tali principi giurisprudenziali, di poi non ne ha fatto corretta applicazione avendo ritenuto ammissibile l’impugnazione del rifiuto tacito dell’amministrazione finanziaria di annullare in autotutela le cartelle esattorialii sulla base di non meglio specificati “elementi sopravvenuti agli atti impositivi impugnati che avrebbero giustificato l’accoglimento dell’istanza in autotutela” (sentenza, pag. 3 penultima alinea), che nulla hanno a che vedere con l’esistenza di ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, neppure rinvenibile nel successivo rilievo di “illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione di procedere all’annullamento in autotutela” delle predette cartelle.

Nè tale interesse può rinvenirsi nell’inesistenza delle cartelle di pagamento, dedotta dalla società contribuente e ritenuta dalla CTR “dirimente ai fihi della decisione della controversia”, peraltro in incontestata presenza di regolare iscrizione a ruolo dei tributi oggetto delle cartelle, trattandosi di circostanza attinente esclusivamente ad un diritto individuale della contribuente e rilevante soltanto ai fini della fondatezza della pretesa tributaria.

Con il secondo motivo la difesa erariale deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censura la sentenza impugnata per avere la CTR, sull’erroneo rilievo che gravasse sul concessionario per la riscossione l’onere di “dare la prova dell’effettivo contenuto delle cartelle attraverso la produzione in giudizio delle stesse, non essendo sufficiente l’esibizione delle relate di notifica”, ritenuto ammissibile in rito e fondato nel merito il ricorso della società contribuente per la mancata produzione in giudizio, da parte del concessionario, delle cartelle di pagamento; omissione non giustificata neppure dalla redazione delle stesse in un unico originale notificato a mezzo posta elettronica certificata.

Il motivo è fondato e va accolto.

Invero, premesso che l’originale della cartella di pagamento è quella notificata al contribuente e l’agente della riscossione può soltanto produrre la copia, la CTR mostra di ignorare il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui non sussiste alcun onere probatorio dell’Agente per la riscossione avente ad oggetto l’esibizione in giudizio della copia delle cartelle nel loro contenuto integrale, nemmeno ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 4, che peraltro ne prevede la conservazione in alternativa alla “matrice” (la quale è l’unico documento che resta nella disponibilità dell’Agente nel caso in cui opti per la notificazione della cartella di pagamento nelle forme ordinarie o comunque con messo notificatore anzichè con raccomandata con avviso di ricevimento), con la conseguenza che ove la parte destinataria di una cartella di pagamento ne contesti la regolare notificazione e l’inesistenza delle stesse per rifiuto dell’Agente per la riscossione di consegnargliene copia, quest’ultimo deve semplicemente dare prova di avere eseguito regolarmente questa notificazione secondo le forme ordinarie, o con messo notificatore ovvero mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento o mediante posta elettronica certificata, senza necessità di produrre in giudizio la copia integrale della cartella di pagamento di che trattasi, posto peraltro che nessuna norma impone una simile attività nè ricollega alla sua omissione la sanzione di nullità della stessa o della relata di notificazione (cfr. Cass. n. 10326 del 2014; Cass. n. 21533 del 2017; Cass. n. 5162 del 2019, non massimata; v. anche Cass. n. 25292 del 2018, da cui si ricava che nell’ipotesi in cui il destinatario della cartella esattoriale ne contesti la notifica, l’agente della riscossione può dimostrarla producendo copia della stessa, senza che abbia l’onere di depositarne l’originale, anche in caso di disconoscimento, che non produce gli effetti di cui all’art. 215 c.p.c., comma 2, potendo quindi il giudice avvalersi di altri mezzi di prova, comprese le presunzioni, per accertarne la conformità.

Quanto alla notifica a mezzo PEC della cartella di pagamento, che è modalità attuata nella specie dall’agente della riscossione, come accertato dalla stessa CTR (sentenza, pag. 5), deve ricordarsi che “la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”)” nel qual caso il concessionario della riscossione provvede “a inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato PDF (portable document format) – cioè il noto formato di file usato per creare e trasmettere documenti, attraverso un software comunemente diffuso tra gli utenti telematici -, realizzato in precedenza mediante la copia per immagini di una cartella di pagamento composta in origine su carta” (Cass. n. 30948 del 2019).

Va altresì ricordato che “che nessuna norma di legge impone che la copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea, notificata dall’agente della riscossione tramite PEC, venga poi sottoscritta con firma digitale” e che, ai sensi dell’art. 22, comma 3 del CAD, come modificato dal D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, art. 66, comma 1, “Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta” (Cass. n. 30948 del 2019).

Infine, per completezza, va ricordato anche che la eventuale “irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dello stesso ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale” (Cass., Sez. U., n. 23620 del 2018).

Orbene, nella specie la CTR, che ha ritenuto necessaria la produzione degli originali delle cartelle di pagamento impugnate ed insufficiente l’esibizione delle relate di notifica, non si è attenuta ad alcuno di detti principi giurisprudenziali con la conseguenza che il motivo va accolto.

Dal complesso delle argomentazioni svolte discende, quindi, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa alla CTR territorialmente competente per nuovo esame, alla stregua dei suindicati principi giurisprudenziali.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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