Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12513 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/05/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 21/05/2010), n.12513

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24946-2006 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

B.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICCARDO

GRAZIOLI LANTE 16, presso lo studio dell’avvocato BONAIUTI DOMENICO,

che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 164/2 005 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 05/09/2005 R.G.N. 480/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/04/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato BONAIUTI DOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 27-11-1999 B.B. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con il quale su richiesta del Ministero dell’Interno gli era stato intimato il pagamento della somma di L. 50.413.525 per aver indebitamente percepito prestazioni assistenziali, avendo continuato a percepire il trattamento assistenziale che compete ai ciechi parziali, pur essendo in possesso di rendita INAIL per il medesimo titolo invalidante. Il B. contestava in primo luogo l’inesistenza del titolo, in quanto la copia del decreto ingiuntivo notificatagli era priva dell’ultima pagina contenente la sottoscrizione del giudice, e rilevava la propria assoluta buona fede e comunque la prescrizione quinquennale del diritto azionato dal Ministero.

Il Ministero si costituiva chiedendo il rigetto dell’opposizione.

Il Giudice adito, ritenuta la applicabilità della disciplina di cui all’art. 2033 c.c. (che non richiede per la ripetibilità di somme alcuna condizione soggettiva del beneficiario) e la operatività della prescrizione decennale (ma soltanto dal momento in cui il Ministero aveva interrotto la prescrizione con la domanda di restituzione), revocava il decreto ingiuntivo e condannava il B. alla restituzione della minor somma di L. 36.997.521, maggiorata da interessi legali dalle singole scadenze periodiche decorrenti dal maggio 1985 al saldo.

Avverso tale decisione il B. proponeva appello, dolendosi: che il primo giudice aveva omesso di valutare il comportamento del Ministero, che avrebbe dovuto richiedere agli Uffici delle Imposte la situazione dell’assistito e che, omettendo tale accertamento,, aveva colposamente contribuito al fatto dannoso; che inoltre non aveva valutato la cumulabilità dei benefici, che hanno natura diversa, indennitaria l’uno e previdenziale l’altro; che, trattandosi di rendita, andava applicata la prescrizione quinquennale;

che analogamente anche gli interessi dovevano ritenersi prescritti nel termine quinquennale.

Il Ministero dell’Interno si costituiva contestando le argomentazioni avversarie e proponeva appello incidentale, chiedendo la conferma integrale del decreto opposto in quanto la prescrizione poteva decorrere esclusivamente dal momento in cui la Prefettura era venuta a conoscenza dell’indebito.

La Corte d’Appello di Perugia, con sentenza depositata il 5-9-2005, in parziale riforma dell’impugnata sentenza dichiarava che gli interessi legali erano dovuti dal B. esclusivamente con decorrenza 24-5-1995, “data di recapito della lettera di richiesta di restituzione, spedita il 2-5-1995 in applicazione del disposto dell’art. 2033 c.c. per l’ipotesi di indebito percepito in buona fede”, confermando la applicabilità della prescrizione decennale e la interruzione della stessa soltanto al momento della prima richiesta al B..

Per la cassazione di tale sentenza il ministero dell’Interno ha proposto ricorso con due motivi.

Il B. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il Ministero ricorrente, denunciando violazione degli artt. 112, 342, 345 e 346 c.p.c. e art. 2909 c.c., in sostanza, posto che il giudice di primo grado aveva riconosciuto la mala fede del B., così fissando la decorrenza degli interessi legali dalla data della percezione indebita a norma dell’art. 2033 c.c., deduce che “nell’appello di controparte non era affatto contestata la mala fede del percipiente, onde sul punto si formava il giudicato interno, come eccepito dal Ministero dell’Interno nella memoria di costituzione depositata in appello”.

In particolare, secondo il ricorrente, la tesi della buona fede dell’accipiens sarebbe stata abbandonata nei motivi di appello “nei quali il B. ha sottoposto a censura la sentenza di primo grado in quanto non avrebbe tenuto conto del concorso colposo della P.A. nell’erogazione della prestazione, avrebbe ritenuto l’indebito oggetti vo anzichè soggettivo ed avrebbe erroneamente applicato il termine di prescrizione decennale invece di quello quinquennale.

Il motivo risulta infondato.

Con l’atto di appello il B., dopo aver ribadito la tesi della sussistenza del concorso colposo dell’amministrazione nell’accaduto, ha espressamente affermato che “ancor prima deve escludersi la mala fede inopinatamente rilevata dal giudice di prime cure con ogni consequenziale pronuncia per l’effetto”.

Su tale censura, seppur concisa e contenuta in un più ampio motivo di gravame, la Corte d’Appello, premesso che il B. “al momento in cui aveva avuto la prestazione assistenziale non aveva ancora ricevuto la rendita l’INAIL” e che, poi nel 1983 “omise effettivamente di riferire l’esistenza della rendita INAIL”, ha rilevato che l’appellante si è lamentato del fatto che “era stato interpellato esclusivamente su pensioni, e non sulla rendita INAIL”.

Ciò posto la Corte territoriale ha, quindi, affermato che “ammesso che il ricorrente fosse in grado di cogliere una siffatta sottile differenza, non può aversi, invero, la certezza del fatto che il ricorrente – peraltro affetto da grave menomazione visiva – abbia volutamente omesso di specificare di essere in possesso di rendita INAIL, tanto più che la situazione è emersa perchè è stato proprio il ricorrente a riferire di essere in possesso della rendita”.

Pertanto la Corte di merito ha concluso che “anche il solo dubbio sulla sussistenza della malafede è idoneo a determinare il più favorevole regime degli interessi”.

Tale decisione, adeguatamente motivata e fondata sull’accertamento di fatto, riservato al giudice del merito, sia in ordine alla interpretazione della domanda di gravame e dei relativi motivi, sia in relazione alla sussistenza del requisito soggettivo della buona fede dell’accipiens, resiste alla censura del Ministero ricorrente, dovendo escludersi che sulla mala fede affermata dal primo giudice sia intervenuto il giudicato interno.

Con il secondo motivo, il Ministero, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. lamenta che la Corte d’Appello ha omesso ogni pronuncia sull’appello incidentale con il quale si era sostenuto che il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito era rimasto sospeso a causa del comportamento doloso del debitore (art. 2941 c.c., n. 8) palesato dalla dichiarazione reticente sul possesso della rendita INAIL resa dal B. nel 1983″.

Anche tale motivo risulta infondato, posto che la sentenza impugnata, avendo chiaramente escluso la mala fede del B. ha senz’altro implicitamente rigettato l’appello incidentale del Ministero, fondato sul l’asserito comportamento doloso del B. stesso.

Come questa Corte ha più volte affermato, infatti, “non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo punto” (v. Cass. 8-3- 2007 n. 5351, Cass. 10-5-2007 n. 10696, Cass. 21-7-2006 n. 16788).

Il ricorso va pertanto respinto.

Infine, in considerazione delle incertezze emerse, che hanno dato adito al ricorso, ricorrono giusti motivi per compensare le spese tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

 

 

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