Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12513 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/05/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 12/05/2021), n.12513

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24161/2016 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

V.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Edoardo Savino,

dall’Avv. Nicoletta Dolfin e dall’Avv. Rita Gradara, con domicilio

eletto in Roma, largo Somalia, n. 67, presso lo studio di

quest’ultima;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 1510/34/2016 depositata il 15 marzo 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 febbraio

2021 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate notificò a V.G., contribuente che aveva aderito al cosiddetto “scudo fiscale” di cui al D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 13-bis convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, un atto di contestazione, con il quale – ritenendo che la predetta adesione allo “scudo fiscale” fosse improduttiva di effetti in quanto il rimpatrio riguardava attività derivanti da un reato diverso da quelli per i quali era esclusa la punibilità ai sensi dello stesso art. 13-bis, comma 4 – irrogava la sanzione amministrativa pecuniaria, pari al 100 per cento del valore delle attività rimpatriate, prevista, per l’effettuazione di un tale rimpatrio, dal D.L. 25 settembre 2001, n. 350, art. 17, comma 2-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2001, n. 409;

deducendo, tra l’altro, l’infondatezza delle contestazioni dell’Agenzia delle entrate in ordine all’esistenza della menzionata causa di inefficacia dello “scudo fiscale”, V.G. impugnò l’atto di contestazione davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano (hinc anche: “CTP”), che accolse il ricorso del contribuente;

avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc anche: “CTR”), che lo rigettò con la motivazione che “la Commissione Tributaria Regionale ritiene di dover confermare la sentenza impugnata per tre ordini di motivi. Il primo, in quanto la sentenza di patteggiamento effettuato dal contribuente, n. 1131/2008, non si riferisce al trasferimento di attività all’estero, bensì al reato di appropriazione indebita per cui la somma scudata non può ritenersi il provento di un reato, prova ne è che nella sentenza del Tribunale Penale di Milano del 30.11.2009 non vi è traccia del contribuente. Peraltro il reato di infedele od omessa dichiarazione, pur prescindendo dalla sua commissione ed eventuale prescrizione non avrebbe potuto comportare l’inefficacia dello scudo fiscale la cui punibilità è esclusa dal D.L. n. 350 del 2001, art. 14 comma 1, lett. c). Il secondo, in quanto la menzione del V. in un capo di imputazione a carico di F. e P. non è elemento sufficiente a dimostrare l’esistenza di un reato a suo carico. Il terzo, in quanto l’affermazion(e) dell’Ufficio circa l’esistenza di procedimenti penali a carico del contribuente, oltre a non essere dimostrata, è smentita dalle predette sentenze n. 1131/2008 e 31400/2009 nonchè dalla relazione del Prof. Pa.”;

avverso tale sentenza della CTR, depositata il 15 marzo 2016 e non notificata, ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 14 ottobre 2016, a un unico motivo;

V.G. resiste con controricorso, notificato il 24 novembre 2016;

il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

V.G. ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza impugnata “per apparenza e insanabile contraddittorietà della motivazione” atteso che, premesso che la sanzione di cui all’impugnato atto di contestazione era stata irrogata in ragione della ritenuta improduttività di effetti dell’adesione allo “scudo fiscale” perchè il rimpatrio effettuato dal contribuente riguardava attività derivanti dal reato, diverso da quelli per i quali era esclusa la punibilità ai sensi del D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis, comma 4 di appropriazione indebita aggravata come comprovato dalle risultanze della causa e, in particolare, degli atti del relativo procedimento penale nei confronti del V. conclusosi con la sentenza del Tribunale di Milano n. 1131/2008 di applicazione della pena su richiesta (ex art. 444 c.p.p.) nonchè del procedimento penale R.G.N. 31400/2009 “a carico di (…) coloro che si erano occupati del riciclaggio delle operazioni illecite di cui al primo procedimento penale” – “(l)a decisione che si impugna (…) si risolve in una serie di frasi completamente prive di effettivo valore motivazionale in quanto apodittiche, generiche e insanabilmente contraddittorie”;

il motivo è fondato;

il D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis prevedeva la possibilità di fare emergere le attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato in violazione della normativa sul cosiddetto “monitoraggio fiscale” (di cui al D.L. 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 1990, n. 227) mediante la presentazione a un intermediario di una dichiarazione riservata delle attività oggetto di rimpatrio o di regolarizzazione, i quali si perfezionavano con il pagamento dell’imposta straordinaria sulle predette attività istituita dallo stesso art. 13-bis;

in virtù del rinvio operato dal D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis, primo periodo comma 4 (secondo cui “(l)’effettivo pagamento dell’imposta produce gli effetti di cui agli artt. 14 e 15 e rende applicabili le disposizioni di cui al D.L. 25 settembre 2001, n. 350, art. 17 convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2001, n. 409, e successive modificazioni”) al D.L. n. 350 del 2001, art. 14 l’effettivo pagamento dell’imposta straordinaria produceva gli effetti di: a) precludere, nei confronti del dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati, ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi d’imposta che avevano termine al 31 dicembre 2008 “limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio” (o mantenute all’estero e regolarizzate) (D.L. n. 350 del 2001, art. 14, comma 1, lett. a); b) estinguere le sanzioni amministrative tributarie e previdenziali, nonchè quelle per la violazione degli obblighi in tema di “monitoraggio fiscale” di cui al D.L. n. 167 del 1990, art. 5 “relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate” (D.L. n. 350 del 2001, art. 14, comma 1, lett. b); c) escludere la punibilità per i reati di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 4 (dichiarazione infedele) e art. 5 (omessa dichiarazione) e per i reati di cui al D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1982, n. 516 (a eccezione di quelli di cui all’art. 4, lett. d e f), sempre “relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate” (D.L. n. 350 del 2001, art. 14, comma 1, lett. c);

peraltro, del D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis, il primo periodo del comma 4 rinviava anche, come si è visto, al D.L. n. 350 del 2001, art. 17 e, quindi, anche al comma 2-bis di tale articolo – secondo cui “(l)’utilizzo delle modalità di cui agli artt. 12, 15 e 16 per effettuare il rimpatrio o la regolarizzazione di attività detenute all’estero derivanti da reati diversi da quelli per i quali è esclusa la punibilità ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. c), non produce gli effetti di cui al medesimo art. 14 ed è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 100 per cento del valore corrente delle attività oggetto della dichiarazione riservata” – con le conseguenze che, in applicazione di tale richiamato comma 2-bis, l’effettuazione del rimpatrio o della regolarizzazione di attività detenute all’estero derivanti da reati diversi da quelli di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4 (dichiarazione infedele) e art. 5 (omessa dichiarazione) e di cui al D.L. n. 429 del 1982 (a eccezione di quelli di cui all’art. 4, lett. d e f): a) non produceva gli effetti di cui al D.L. n. 350 del 2001, art. 14 e, quindi, tra gli altri, l’effetto preclusivo dell’esercizio del potere di accertamento degli imponibili rappresentati dalle stesse attività; b) era punito con la sanzione amministrativa del 100 per cento del valore delle medesime (con il che il legislatore aveva evidentemente inteso dissuadere dall’utilizzazione della misura agevolativa con riguardo ad attività che derivassero da reati diversi da quelli per i quali era prevista l’esclusione della punibilità);

il novero dei reati esclusi dalla punibilità fu successivamente ampliato dal D.L. 3 agosto 2009, n. 103, art. 1, comma 1, lett. b), (decreto correttivo del D.L. anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla L. 3 ottobre 2009, n. 141, il quale – sostituendo del D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis il secondo periodo comma 4 (il quale, nel suo testo originario, prevedeva che “(r)estano comunque esclusi dal campo di applicazione del presente articolo i reati, ad eccezione dei reati di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 4 e 5”) con il seguente: “,(f)ermo quanto sopra previsto, e per l’efficacia di quanto sopra, l’effettivo pagamento dell’imposta comporta, in materia di esclusione della punibilità penale, limitatamente al rimpatrio ed alla regolarizzazione di cui al presente articolo, l’applicazione della disposizione di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, già vigente art. 8, comma 6, lett. c); resta ferma l’abrogazione dell’art. 2623 c.c. disposta dalla L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 34” – escluse la punibilità penale, limitatamente al rimpatrio e alla regolarizzazione di cui all’art. 13-bis, per i reati, elencati nel richiamato art. 8, comma 6, lett. c): a) di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), art. 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), art. 4 (dichiarazione infedele), art. 5 (omessa dichiarazione) e art. 10 (occultamento o distruzione di documenti contabili); b) di cui all’art. 482 c.p. (falsità materiale commessa dal privato), art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico), art. 484 c.p. (falsità in registri e notificazioni), art. 485 c.p. (falsità in scrittura privata), art. 489 c.p. (uso di atto falso), art. 490 c.p. (soppressione, distruzione e occultamento di atti veri), art. 491-bis c.p. (documenti informatici) e art. 492 c.p. (copie autentiche che tengono luogo degli originali mancanti) e all’art. 2621 c.c. (false comunicazioni sociali) e art. 2622 c.c. (false comunicazioni sociali delle società quotate), quando gli stessi fossero stati commessi per eseguire o occultare i predetti reati tributari ovvero per conseguirne il profitto e fossero riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria;

come si è visto, con l’impugnato atto di contestazione, l’Agenza delle entrate irrogò la sanzione amministrativa, prevista dal D.L. n. 350 del 2001, art. 17, citato comma 2-bis (richiamato dal D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis, comma 4), del 100 per cento del valore delle attività rimpatriate dal V., sul ritenuto presupposto che queste derivassero dal reato, diverso da quelli per i quali era esclusa la punibilità ai sensi dello stesso comma 4, di appropriazione indebita aggravata;

tanto premesso in diritto e in fatto, si deve ribadire il principio che, a seguito della riformulazione (a opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) “non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” (Cass., 25/09/2018, n. 22598; in precedenza, Cass., S.U., 07/04/2014, n. 8053);

è stato altresì chiarito che si ha motivazione apparente quando la motivazione, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., S.U., 03/11/2016, n. 22232; Cass., 23/05/2019, n. 13977);

l’impugnata sentenza della CTR rientra, nel suo complesso, in tali gravi anomalie argomentative, concretizzando un caso di motivazione in parte obiettivamente incomprensibile o inidonea, in parte logicamente irrilevante ai fini del decidere e in parte meramente apparente;

la questione sulla quale la CTR era chiamata a decidere, sulla base delle risultanze di causa, era se le attività oggetto delle dichiarazioni riservate presentate dal V. derivassero o no da un reato diverso da quelli per i quali era esclusa la “copertura” penale dello “scudo” e, in particolare, dal reato di appropriazione indebita per il quale era stata pronunciata, nei confronti dello stesso V., la sentenza del Tribunale di Milano n. 1131/2008 di applicazione della pena su richiesta;

il primo argomento addotto dalla CTR per negare tale derivazione è che “la sentenza di patteggiamento effettuato dal contribuente, n. 1131/2008, non si riferisce al trasferimento di attività all’estero, bensì al reato di appropriazione indebita per cui la somma scudata non può ritenersi il provento di un reato” e che “prova ne è che nella sentenza del Tribunale Penale di Milano del 30.11.2009 non vi è traccia del contribuente. Peraltro il reato di infedele od omessa dichiarazione, pur prescindendo dalla sua commissione ed eventuale prescrizione non avrebbe potuto comportare l’inefficacia dello scudo fiscale la cui punibilità è esclusa dal D.L. n. 350 del 2001, art. 14 comma 1, lett. c)”;

quanto alla prima delle due asserzioni in cui l’argomento si articola, risulta obiettivamente incomprensibile il ragionamento, con essa espresso, per il quale il fatto che la sentenza del Tribunale di Milano n. 1131/2008 di applicazione della pena su richiesta nei confronti del V. “non si riferisce al trasferimento di attività all’estero, bensì al reato di appropriazione indebita” porterebbe a escludere che le attività oggetto delle dichiarazioni riservate presentate dal V. potessero derivare da tale reato;

quanto alla seconda delle asserzioni in cui l’argomento si articola, le circostanze, da essa evidenziate, che nella sentenza del Tribunale di Milano pronunciata a conclusione del procedimento penale R.G.N. 31400/2009 “non vi è traccia del contribuente” e che “il reato di infedele od omessa dichiarazione (…) non avrebbe potuto comportare l’inefficacia dello scudo fiscale” erano logicamente irrilevanti ai fini del decidere, atteso che l’impugnato atto di contestazione si fondava sulla ritenuta derivazione delle attività oggetto delle dichiarazioni riservate presentate dal V. non dai reati per i quali era intervenuta condanna, nei confronti di altri, nell’ambito del procedimento penale R.G.N. 31400/2009 – di cui erano stati solo invocati alcuni atti a fini di prova – nè dai reati di dichiarazione infedele od omessa dichiarazione, ma dal reato di appropriazione indebita per il quale era stata pronunciata, nei confronti dello stesso V., la sentenza del Tribunale di Milano n. 1131/2008 di applicazione della pena su richiesta;

il secondo argomento addotto dalla CTR è che “la menzione del V. in un capo di imputazione a carico di F. e P. non è elemento sufficiente a dimostrare l’esistenza di un reato a suo carico”;

anche tale argomentazione risulta obiettivamente inidonea, atteso che – premesso che, secondo l’assunto(dell’appellante Agenzia delle entrate, come riportato nella sentenza impugnata, “è stato richiesto il rinvio a giudizio nei confronti di F. e P. per il reato di riciclaggio avente come presupposto l’appropriazione indebita” – gli esiti del procedimento penale a carico degli imputati F. e P. erano stati invocati dall’Agenzia delle entrate, evidentemente, non in quanto prova “sufficiente a dimostrare l’esistenza di un reato a (…) carico” del V., ma solo al fine di corroborare (insieme ad altri elementi) la derivazione delle attività da lui “scudate” dal reato di appropriazione indebita, per il quale era stata pronunciata, nei confronti del V., sentenza di applicazione della pena su richiesta;

il terzo argomento addotto dalla CTR è che “l’affermazion(e) dell’Ufficio circa l’esistenza di procedimenti penali a carico del contribuente, oltre a non essere dimostrata, è smentita dalle predette sentenze n. 1131/2008 e 31400/2009 nonchè dalla relazione del Prof. Pa.”;

tale argomentazione appare, nelle diverse asserzioni in cui si articola: a) obiettivamente incomprensibile, là dove fa riferimento alla sentenza del Tribunale di Milano n. 1131/2008, non essendo dato capire come una sentenza di applicazione della pena nei confronti di un soggetto possa smentire l’esistenza di un procedimento penale contro di lui; b) obiettivamente inidonea, là dove fa riferimento al procedimento penale R.G.N. 31400/2009, atteso che, come si è detto, l’impugnato atto di contestazione si fondava sulla ritenuta derivazione delle attività oggetto delle dichiarazioni riservate presentate dal V. non dai reati per i quali era intervenuta condanna, nei confronti di altri, nell’ambito del procedimento penale R.G.N. 31400/2009, ma dal reato di appropriazione indebita; c) del tutto apparente e, in parte, incomprensibile” là dove fa riferimento alla “relazione del Prof. Pa.”, attesa, sotto il primo profilo, l’assoluta genericità di tale richiamo – in mancanza di qualsiasi menzione del contenuto della relazione e della valenza dimostrativa a esso attribuita – e, sotto il secondo profilo, l’impossibilità di comprendere come la stessa relazione potesse smentire l’esistenza del procedimento penale contro il V. conclusosi con la sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti dello stesso per il reato di appropriazione indebita;

pertanto, il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che dovrà provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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