Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12510 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. I, 24/06/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 24/06/2020), n.12510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 1085-2019 r.g. proposto da:

A.A. (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Maria

Monica Bassan, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Padova, Vicolo M. Buonarroti n. 2;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Catania, depositata in

data 28.6.2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/1/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Ignazio Patrone, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avv. Marilena Cardone, che ha chiesto

accogliersi il proprio ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania ha rigettato l’appello proposto da A.A., cittadino nigeriano, avverso la ordinanza emessa dal Tribunale di Catania, con la quale era stata dichiarata inammissibile la reiterazione della domanda di protezione riproposta, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 6 e 29.

La corte del merito ha ritenuto che: a) l’appello era tempestivo in quanto proposto nei termini di cui all’art. 702-quater c.p.c.; b) la parte appellante, già ricorrente in primo grado, non aveva allegato, in quel grado, nuovi elementi di valutazione tali da far ritenere ammissibile la reiterata domanda di protezione internazionale, in quanto l’allegato rapporto di Amnesty International 2014/2015 evidenziava solo una grave situazione di conflittualità nel Nord della Nigeria; c) la domanda di protezione internazionale, quand’anche la si volesse ritenere ammissibile, non era comunque fondata, posto che non ricorrevano – in relazione al pericolo allegato (arresto da parte della polizia per aver organizzato una manifestazione politica) – i presupposti per il riconoscimento della invocata protezione internazionale e sussidiaria; d) la Nigeria è infatti paese che non è attraversato da conflitti armati, se si escludono solo le regioni del Nord-est, ove agisce il noto gruppo terroristico di Boko Haram, dovendosi escludere pertanto una situazione di danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in relazione al Delta State; e) non era fondata neanche la domanda di protezione umanitaria, non essendo sufficiente al tal fine la sottoscrizione da parte del richiedente di un contratto di lavoro.

2. La sentenza, pubblicata il 28.6.2018, è stata impugnata da A.A. con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di doglianza.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo ed unico motivo il ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, comma 3, e grag. art. 5, comma 6, t. un. imm., si duole nella mancata valutazione della situazione del paese di origine del richiedente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. Il ricorso è fondato.

2.1 Manca, nella motivazione impugnata/la valutazione comparativa tra la odierna situazione del ricorrente e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali, in caso di rimpatrio in Nigeria, da condurre in ossequio ai principi che si andranno ad esporre.

Sul punto, non è inutile ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4455/2018, per come confermata anche da Cass., ss.uu., sent. 29459/2019), in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 1104/2020).

Ciò posto, occorre rimettere al giudice del rinvio la valutazione della predetta comparazione (invece assente nella motivazione impugnata) tra la odierna condizione del richiedente asilo e quella cui egli verserebbe in caso di suo rimpatrio in Nigeria, e ciò con particolare riferimento a quei profili di particolare vulnerabilità resi evidenti dalla vicenda personale del ricorrente, che è stato oggetto di denunciate persecuzioni e violenze a causa dell’esercizio dei suoi diritti civili e di manifestazione politica.

Osserva il collegio, in proposito, che, sulla premessa in fatto della ritenuta veridicità del racconto del richiedente protezione (la corte in realtà non mette in discussione tale aspetto), è compito del giudice di merito procedere ad una accurata ed approfondita valutazione della situazione di vulnerabilità sopra descritta.

Il giudizio comparativo tra la condizione personale del richiedente protezione e le conseguenze di un suo eventuale rimpatrio – giudizio alla luce del quale, secondo l’insegnamento di questa Corte (Cass. 4455/2018), andranno valutati funditus, operandone poi un bilanciamento di tipo ipotetico, l’attuale condizione dell’istante nel paese di accoglienza ed il suo futuro ricollocamento in quello di provenienza – non può prescindere dall’analisi e dal significato del sintagma “condizione di vulnerabilità” vulnerabilità che, alla luce dell’insegnamento delle sezioni unite, rappresenta soltanto una delle ipotesi per le quali può riconoscersi la protezione umanitaria (così, Cass. 1104/2020, cit. sopra).

Le sezioni unite, invero, con la sentenza poc’anzi citata, hanno definitivamente chiarito, quanto ai presupposti necessari per ottenere la protezione umanitaria (in consonanza con la citata pronuncia 4455/2018 di questa Corte, ed in difformità da quanto ritenuto nella ordinanza di rimessione 11749/2019):

1. che non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano;

2. che gli interessi protetti non possono restare “ingabbiati” in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicchè l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (ex multis, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096);

3. che le relative basi normative non sono, allora, “affatto fragili” (come affermato, invece, nell’ordinanza di rimessione), ma “a compasso largo”: l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, con il sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione;

4. che andava, pertanto, condiviso l’orientamento di questa Corte (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e seguito, tra le altre, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19, cit.) che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;

5. che, con riferimento all’ipotesi che precede, non poteva, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, “nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072). Si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 3 aprile 2019, n. 9304)”.

Il collegio esprime convinta adesione (al di là del vincolo ex lege che lo impone) a tale insegnamento.

Chiariti i principi posti a presidio dell’istituto della protezione umanitaria, caratterizzata dalla morfologica esigenza di procedere a valutazioni soggettive ed individuali, condotte caso per caso (onde impedire che il giudice di merito si risolva a declinare valutazioni di tipo “seriale”, improntate ai più disparati quanto opinabili criteri altrettanto seriali), va nuovamente riaffermato il principio secondo il quale, in subiecta materia, oggetto del giudizio è pur sempre la persona, i suoi diritti fondamentali, la sua dignità di essere umano (così, Cass. 1104/2020, cit. supra).

Il giudizio di bilanciamento evocato dalle sezioni unite di questa Corte, che ne sottolineano il rilievo centrale, ha, testualmente, ad oggetto la valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare, si ripete, la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

Nel caso di specie, il giudice di merito mostra di non dubitare della veridicità di quanto narrato dal richiedente, omettendo tuttavia qualsiasi giudizio comparativo nel senso sopra illustrato.

Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di merito competente.

Le spese del giudizio di legittimità sono rimesse al giudice del rinvio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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