Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12508 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. I, 21/05/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 21/05/2010), n.12508

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27450/2008 proposto da:

C.L. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA DI MONTE GIORDANO 36, presso l’avvocato MAZZETTI

Leopoldo, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BUFALINI MAURIZIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositato il

03/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

22/04/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato MAURIZIO BUFALINI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

La Corte osserva quanto segue:

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

C.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto emesso in materia di equa riparazione dalla Corte d’ appello di Genova in data 3.10.07, con cui si era ritenuto che la procedura fallimentare a carico della Immobiliare Corrado Linda di Corrado Linda & C sas e della ricorrente in proprio, durata dal luglio 1996 all’aprile 2007, non aveva avuto una durata irragionevole in ragione della complessità dei procedimenti innestatisi nel corso della procedura e del comportamento ostruzionistico della ricorrente e dei suoi familiari che avevano intentato dei giudizi temerari integranti gli estremi dell’abuso di diritto.

Ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia.

Con il primo motivo la C. lamenta che la Corte d’appello non ha spiegato perchè i tempi necessari per la definizione del giudizio di opposizione al fallimento (circa sei anni) dovevano essere detratti dal calcolo della eccessiva durata del fallimento.

Con il secondo motivo di ricorso deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto scomputabile la durata del giudizio di opposizione dal momento che la pendenza di questo non impedisce lo svolgimento dell’attività di liquidazione da parte della procedura.

Con il terzo motivo deduce l’erroneità della decisione laddove assume che il protrarsi della procedura era stato determinato dalle iniziative giudiziali intraprese dai familiari di essa C. ovvero dalla azione revocatoria del creditore S. sul bene del fallimento che doveva essere venduto; comportamenti irrilevanti in quanto non provenienti dalla fallita.

Con il quarto motivo di ricorso deduce l’insufficiente motivazione sulle deduzioni di essa ricorrente relativamente al ritardo nella chiusura della procedura una volta che era avvenuto l’integrale pagamento di tutti i creditori.

Ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia.

I primi due motivi del ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, sono manifestamente fondati.

E’ ben vero che ai fini di determinare la ragionevole durata della procedura fallimentare occorre applicare dei criteri più ampi rispetto alle cause ordinarie che tengano conto della complessità della procedura in ragione della entità degli adempimenti che la stessa comporta e del numero e della rilevanza dei processi che essa derivano (es. opposizioni allo stato passivo, domande di insinuazione tardiva, numero delle azioni revocatorie, reclami avverso i provvedimenti del giudice delegato, etc.).

Deve però trattarsi di processi la cui durata è in grado di condizionare effettivamente quella della intera procedura perchè ne sospendono o ritardano il compimento di alcune attività o ne impediscono la chiusura ovvero richiedono un notevole aumento delle incombenze rendendo quindi più lento e gravoso il completamento della procedura stessa.

Non è però questo il caso del giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento.

Come è noto, la L. Fall., art. 18, applicabile ratione temporis, stabilisce che la proposizione dell’opposizione alla sentenza di fallimento non sospende l’esecuzione della sentenza, per cui nelle more dell’opposizione la procedura concorsuale può continuare il suo normale decorso.

A ciò deve aggiungersi che la pendenza del giudizio di opposizione in questione non impedisce neppure la chiusura del fallimento una volta che ricorrano i presupposti di cui alla L. Fall., art. 118, per cui anche in questo caso il giudizio in esame non ha alcuna rilevanza ai fini della determinazione della ragionevole durata della procedura fallimentare, nel senso che questa non subisce alcun ritardo per la pendenza della opposizione alla sentenza dichiarativa (v. Cass. 20000/05; Cass. 1830/66).

Erroneamente pertanto la Corte d’appello ha ritenuto di escludere dalla durata complessiva del processo i sei anni circa di durata del giudizio di opposizione a fallimento.

Fondato è altresì il terzo motivo.

La Corte d’appello ha affermato che il prolungarsi della procedura era addebitabile al comportamento defatigatorio della parte e dei suoi parenti per le iniziative giudiziarie intraprese nel corso della procedura.

In tal caso il giudice di merito, avrebbe potuto ritenere, alla luce di quanto dianzi esposto, che la proposizione dei svariati giudizi che vengono citati (azione revocatoria di un terzo,reclamo avverso il provvedimento del G.d che disponeva la vendita,istanza di sospensione della vendita,sospensione effettiva di quest’ultimante) da parte di chicchesia avvenuti, aveva aumentato la complessità del procedimento rendendo così più esteso il periodo della sua ragionevole durata.

Nulla di tutto ciò è però avvenuto e la Corte di merito ha, invece, ritenuto che la proposizione di detti giudizi fosse espressione di un intento defatigatorio della fallita volto a bloccare la conclusione della procedura e che, pertanto, il periodo che i giudizi in questione avevano comportato non dovesse essere computato in alcun modo ai fini della durata del processo in quanto addebitabile alla parte.

Tale assunto appare erroneo.

Non possono addebitarsi alla fallita odierna ricorrente iniziative giudiziarie assunte da terzi e dai suoi parenti. I periodi di tempo da scomputare dalla durata complessiva in quanto addebitabili alla parte vanno riferiti, infatti, ad atti o comportamenti della parte stessa e non di terzi quand’anche parenti.

I primi tre motivi vanno pertanto accolti, il quarto resta assorbito.

Il decreto impugnato va di conseguenza cassato con rinvio alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione che si atterrà nel decidere al principio di diritto dianzi enunciato e che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

 

 

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