Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12505 del 16/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 16/06/2016, (ud. 26/05/2016, dep. 16/06/2016), n.12505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14111-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA (OMISSIS), in persona del Responsabile del

Contenzioso Esattoriale della Regione Campania, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 37, presso lo studio

dell’avvocato MICHELE CAPECE, rappresentata e difesa dall’avvocato

STEFANO INTORCIA giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

VALADIER 43, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ROMANO, che

lo rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2740/48/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA del 04/12/2014, depositata il 20/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di L.G. e di Equitalia Sud spa (che resistono con controricorsi), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 2740/48/2015, depositata in data 20/03/2015, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di quattro avvisi di accertamento, per maggiore IRPEF ed addizionali regionali e comunali, dovuta in relazione agli anni d’imposta dal 2006 al 2009, a seguito di recupero a tassazione, previa acquisizione di informazioni sulle movimentazioni bancarie D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32 di ricavi omessi, e di una cartella di pagamento, notificata per la riscossione provvisoria delle somme dovute in forza dell’atto impositivo relativo all’anno 2006, – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, accogliendo il gravame del contribuente, hanno dichiarato la nullità di tutti e quattro gli avvisi di accertamento, stante il mancato rispetto del termine dilatorio di gg. 60, prescritto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 prima dell’emissione dell’avviso, ai fini del c.d.

contraddittorio endoprocedimentale.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Il controricorrente L. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

IN DIRITTO

1. L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 12, commi 1 e 7 essendo stato emessi gli atti impositivi, nella specie, sulla base delle risultanze di accertamenti bancari, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 1, nn. 2 e 7 ed all’esito di cinque incontri svoltisi con il contribuente. I giudici della C.T.R. hanno errato nel ritenere applicabile alla fattispecie in esame la suddetta disposizione, in assenza di un processo verbale di constatazione redatto e notificato al contribuente a seguito di verifica fiscale, essendo stato redatto non un “verbale di chiusura delle operazioni” ma un semplice verbale di contraddittorio all’esito della richiesta al contribuente di documentazione.

2. La prima censura è fondata, assorbiti i restanti motivi (articolati in via subordinata).

Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 24823/2015) hanno invero affermato il seguente principio di diritto: “Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

Le Sezioni Unite hanno quindi precisato le garanzie fissate nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, trovano applicazione esclusivamente “in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente”, valutati il dato testuale della rubrica (“Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”) e, soprattutto, quello della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 1 (coniugato con la circostanza che l’intera disciplina contenuta nella disposizione risulta palesemente calibrata sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive subite in loco), che, esplicitamente, si riferisce agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”,ad operazioni, cioè, che costituiscono categorie d’intervento accertativo dell’Amministrazione tipizzate ed inequivocabilmente identificabili, in base alle indicazioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, richiamato, in tema di imposte dirette dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, e, in materia di imposta di registro, dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52 bis ipotesi tutte caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca, quivi, di elementi valutativi a lui sfavorevoli: peculiarità, che specificamente giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali”.

Nella specie, non è contestato che si verteva in ipotesi di controllo fiscale eseguito a seguito di acquisizione documentale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32 e non a seguito di “accesso, ispezione, verifica” presso la sede del contribuente.

La decisione della C.T.R. non è conforme al suddetto principio di diritto.

Va poi, in ogni caso, rilevato che, come dedotto dalla ricorrente nel terzo motivo, in relazione all’avviso di accertamento, notificato il 15/02/2012, relativo all’anno d’imposta 2009, risulta essere stato rispettato il termine dilatorio di gg. 60 decorrente, nell’assunto del contribuente, dal “26/912011”, epoca di redazione del processo verbale di contraddittorio.

3. Con la memoria ex art. 378 c.p.c., il contribuente, controricorrente, prospetta questione di legittimità costituzionale della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (come interpretato dalla su menzionata decisione delle S.U. 24823/2015), per violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. nonchè del canone di ragionevolezza intrinseca ex art. 97 Cost. e del diritto di difesa ex art. 24 Cost., anche in riferimento all’art. 111 Cost.; lo stesso contribuente, inoltre, fa presente che analoga questione di costituzionalità è stata sollevata dalla C.T.R. Toscana, con ordinanza 736/1/15 in data 21-12-2015/18-1-2016.

La questione è manifestamente infondata.

Come evidenziato, invero, dalla stessa sentenza n. 24823/2015 delle Sezioni Unite, il dato testuale del detto L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, univocamente tendente alla limitazione della garanzia del contraddittorio procedimentale alle sole “verifiche in loco”, è da ritenersi “non irragionevole”, in quanto giustificato dalla peculiarità stessa di tali verifiche, “caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinen.za del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli; peculiarità che giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali a.ziendali”;

siffatta peculiarità, differenziando le due ipotesi di verifica (“in loco” o “a tavolino”), giustifica e rende non irragionevole il differente trattamento normativo delle stesse, con conseguente manifesta infondatezza della sollevata questione di costituzionalità con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost..

Nè una questione di costituzionalità, sempre con riferimento all’art. 3 Cost. può porsi per la duplicità di trattamento giuridico tra “tributi armonizzati” e “tributi non armonizzati”, atteso che, come anche in tal caso evidenziato dalla su menzionata sentenza n. 24823/2015, l’assimilazione tra i due trattamenti è preclusa in presenza di un quadro normativo univocamente interpretabile nel senso dell’inesistenza, in campo tributario, di una clausola generale di contraddittorio procedimentale.

L’affermata insussistenza, nell’ordinamento tributario ragionale, di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale non viola, inoltre, nè l’art. 24 Cost. nè l’art. 111 Cost., atteso che, come espressamente affermato da questa Corte, nella su richiamata sentenza a sez. unite 24823/2015, le garanzie di cui all’art. 24 “attengono, testualmente, all’ambito giudiziale”, nè l’art. 111 Cost., in quanto il giudizio tributario, pur nella sua particolarità, è comunque rispettoso del principio della c.d.

“parità delle armi”, giacchè, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 il potere di introdurre in giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, compete non solo all’Amministrazione finanziaria, che tali dichiarazioni abbia raccolto nel corso d’indagine amministrativa, ma, altresì, con il medesimo valore probatorio, al contribuente.

4. I restanti motivi sono assorbiti.

5. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti i restanti, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2016

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