Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12504 del 08/06/2011
Cassazione civile sez. VI, 08/06/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 08/06/2011), n.12504
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –
Dott. RORDORF Renato – Consigliere –
Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –
Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 6375/2010 proposto da:
S.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI MERCALLI 13, presso lo studio dell’avvocato CANCRINI
ARTURO, rappresentato e difeso dall’avvocato SAVINO Vincenzo, giusta
procura ad litem in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 338/2009 della CORTE D’APPELLO di POTENZA del
24/11/09, depositato il 25/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
28/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CECCHERINI;
è presente il P.G. in persona del Dott. IMMACOLATA ZENO.
Fatto
PREMESSO IN FATTO
1. – E’ stata depositata la seguente relazione, in applicazione dell’art. 380 bis c.p.c.:
“La controversia ha per oggetto l’equa riparazione chiesta dal signor S.R. per l’eccessiva durata del processo da lui instaurato davanti al TAR di Potenza per l’annullamento del decreto del Comune di Potenza che lo sospendeva dal servizio. Il decreto aveva fatto seguito ad un’ordinanza di custodia cautelare notificata al S. il 2 marzo 1995, e il processo amministrativo, instaurato il 12 giugno 1995, dopo che la parte aveva chiesto ed ottenuto il 6 giugno 1995 il collocamento a riposo, si era concluso con sentenza di rigetto 29 novembre 2008. La Corte d’appello di Potenza, con decreto 7 dicembre 2009, respinse la domanda, osservando che nel caso concreto la parte non aveva avuto patemi d’animo per la durata del giudizio, svoltosi interamente dopo che il rapporto di lavoro era cessato per collocamento al riposo. La corte aggiunse che il danno patrimoniale lamentato era conseguente al collocamento a riposo chiesto dallo stesso ricorrente.
Per la cassazione del decreto, non notificato, ricorre il S. con atto notificato il 3 marzo 2010. Resiste il ministero con controricorso.
Il ricorso può essere deciso in Camera di consiglio, se saranno condivise le seguenti considerazioni.
Con il ricorso si censura l’affermazione contenuta nell’impugnato decreto, che il danno non patrimoniale non è una conseguenza automatica dell’accertata violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, s’invoca la giurisprudenza di legittimità che nega la necessità, per la parte che richiede l’equa riparazione a norma della citata disposizione, di offrire la prova di tale danno. Si censura poi anche il diniego del danno patrimoniale, svolgendo argomenti di merito a sostegno dell’esistenza di un nesso causale tra eccessiva durata del processo e danno.
La prima delle due censure è inammissibile, invocando una giurisprudenza sulla presunzione semplice di danno non patrimoniale in conseguenza dell’eccessiva durata del processo, non applicabile nella fattispecie, nella quale il giudice non ha respinto la domanda in questione per difetto di prova, ma assumendo, con un accertamento svolto in concreto e motivato, che nel caso concreto non poteva esservi stato patema d’animo. Il ricorrente, mentre non sottopone a specifica censura l’affermazione del giudice di merito, costituente l’effettiva ratio decidendi, che il patema d’animo per il processo, diretto all’annullamento del decreto di sospensione dal servizio, era escluso in radice dalla decisione, anteriore all’inizio del processo amministrativo, di farsi collocare a riposo, introduce invece un profilo di diritto (possibilità di chiedere la riammissione in diritto entro cinque anni dalle dimissioni), non sollevato nel giudizio di merito, prospettandolo nel presente giudizio in modo del tutto generico, senza allegare che tale facoltà sarebbe stata in concreto esercitata con la proposizione della domanda.
La seconda censura è inammissibile perchè è interamente svolta come censura di merito.
Si propone pertanto la dichiarazione di manifesta infondatezza del ricorso principale in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5”.
2. – La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti. Il ricorrente ha depositato una memoria.
Diritto
RITENUTO IN DIRITTO
3. – Il collegio ha esaminato il ricorso, il controricorso, la relazione, e la memoria, e ha condiviso il contenuto della relazione.
4. La memoria depositata tende a modificare il contenuto della censura in ricorso, ciò che non è ammesso.
Il ricorso è rigettato per manifesta infondatezza.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso , e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 28 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2011