Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12503 del 21/05/2010

Cassazione civile sez. I, 21/05/2010, (ud. 20/04/2010, dep. 21/05/2010), n.12503

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.E. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso l’avvocato PANARITI BENITO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato AIELLO CARMINE,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

15/06/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2010 dal Consigliere Dott. DIDONE Antonio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La Corte d’appello di Roma – adita da C.E. al fine di conseguire l’equa riparazione per la lamentata irragionevole durata di un processo civile promosso il 12.4.1988 dinanzi al Tribunale di Napoli e trasferito al Tribunale di Torre Annunziata, definito in primo grado il 4.9.2001, in appello il 6.7.2004 e pendente in Cassazione a seguito di ricorso proposto dall’istante l’8.8.2005, avente ad oggetto la richiesta di corresponsione di indennita’ di espropriazione ed occupazione – con il decreto impugnato (dep. 15.6.2007) ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare alla parte ricorrente la somma di Euro 9.000,00 a titolo di danno non patrimoniale, con gli interessi legali dalla data del decreto, nonche’ al rimborso delle spese processuali.

La Corte di merito, in particolare, ha accertato in quattro anni il periodo di ragionevole durata del processo presupposto in primo grado (tenuto conto della complessita’ della materia e della disposta CTU) ed ha, per il ritardo di 9 anni, quantificato l’indennizzo in Euro 9.000,00 (Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo).

Per la cassazione di tale decreto C.E. ha proposto ricorso affidato a nove motivi.

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2.1.- Con il primo motivo la parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 6, 13 e 41 CEDU, L. n. 89 del 2001, art. 1 e art. 117 Cost. deducendo che, conformemente alle norme della Convenzione europea, come interpretate dalla Giurisprudenza della Corte di Strasburgo, l’importo annuo da liquidare a titolo di equa riparazione deve essere rapportato ad ogni anno di effettiva durata del processo di cui e’ accertata l’irragionevole durata.

2.2.- Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 6, 13 e 41 CEDU, L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 117 Cost. deducendo che la Corte di appello ha errato nel ritenere ragionevole la durata di quattro anni del processo di primo grado, anziche’ di tre anni conformemente agli standard CEDU, attribuendo rilievo alla sola circostanza dell’espletamento di una consulenza tecnica.

2.3.- Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 135 e 737 c.p.c. e L. n. 89 del 2001, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla determinazione della durata ragionevole del processo presupposto. Segnala i ritardi imputabili ai CTU (per complessivi 17 mesi a fronte dei 180 giorni concessi) e alla disposta rinnovazione della consulenza, poi non espletata. La motivazione del decreto impugnato e’ meramente di stile: “complessita’ della materia – ctu in primo grado”.

2.4.- Con il quarto motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 135 e 737 c.p.c. e L. n. 89 del 2001, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla determinazione della durata ragionevole del processo presupposto, avendo la Corte di merito definito “il caso in se’ alquanto semplice”.

2.5.- Con il quinto motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 6, 13 e 41 CEDU, L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 117 Cost. deducendo che la Corte di appello ha errato nel procedere alla frammentazione del giudizio presupposto che deve invece essere considerato nella sua unitarieta’.

2.6.- Con il sesto motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost, comma 6, dell’art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 135 e 737 c.p.c. e L. n. 89 del 2001, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla determinazione dell’indennizzo che non poteva essere inferiore a Euro 1.500,00 per anno, considerata la rilevante posta in gioco (indennita’ di espropriazione).

2.7.- Con il settimo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 135, 737 e L. n. 89 del 2001, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’esclusione del risarcimento del danno patrimoniale dovuto all’aumento dei costi del processo a causa dell’irragionevole durata.

2.8.- Con l’ottavo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e art. 3, artt. 2056 e 1226 c.c. in relazione all’esclusione del danno patrimoniale costituito dalle maggiori spese processuali.

2.9.- Con il nono motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1219 e 1224 c.c. in relazione all’erronea decorrenza degli interessi – disposta dalla Corte di merito – a far tempo dal decreto anziche’ dalla domanda.

3.- Alle questioni poste con i motivi va data soluzione ribadendo i seguenti principi, consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, in virtu’ dei quali: la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, dispone che la ragionevole durata di un processo va verificata in concreto, facendo applicazione dei criteri stabiliti da detta norma all’esito di una valutazione degli elementi previsti da detta norma (per tutte, Cass. n. 6039, n. 4572 e n. 4123 del 2009; n. 8497 del 2008) e in tal senso e’ orientata anche la giurisprudenza della Corte EDU (tra le molte, sentenza 1^ sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), la quale ha tuttavia stabilito un parametro tendenziale che fissa la durata ragionevole del giudizio, rispettivamente, in anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimita’;

siffatto parametro va osservato dal giudice nazionale e da esso e’ possibile discostarsi, purche’ in misura ragionevole e sempre che la relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue, restando comunque escluso che i criteri indicati nella L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, permettano di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass., Sez. un., n. 1338 del 2004; in seguito, tra le tante, Cass. n. 4123 e n. 3515 del 2009);

I rinvii superiori al termine ordinario di cui all’art. 81 disp. att. c.p.c., concessi dal giudice su richiesta delle parti, devono essere computati ai fini della determinazione dell’equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, salvo che sia motivatamente evidenziata una vera e propria strategia dilatoria di parte, idonea ad impedire l’esercizio dei poteri di direzione del processo, propri del giudice istruttore (Cass. n. 1715 del 2008; n. 24356 del 2006);

in relazione ai rinvii dovuti ad astensione degli avvocati, la maggior durata dei processi che ne derivi costituisce effetto di una causa riconducibile a libere scelte dei competenti ordini professionali e dei loro iscritti, imputabili a fattori estranei all’organizzazione giudiziaria e, come tali, non idonee a far nascere un obbligo dello Stato di indennizzare le parti in conseguenza dei ritardi cagionati nella definizione di quei processi (Cass. n. 9405 del 2006; n. 29000 del 2005; n. 15143 del 2005, n. 15143), ma in ordine ad essi occorre, comunque, distinguere tra tempi addebitabili alle parti e tempi addebitabili allo Stato (Cass. n. 1715 del 2008), poiche’ l’imputabilita’ del rinvio alla parte non esclude che sulla non ragionevole durata del giudizio possa concorrere anche l’eccessiva dilazione di tempo tra l’una e l’altra udienza, dovuta a ragioni organizzative riferibili all’amministrazione giudiziaria (Cass. n. 19943 del 2006); – Peraltro, benche’ sia possibile individuare degli standard di durata media ragionevole per ogni fase del processo, deve sempre procedersi ad una valutazione sintetica e complessiva, anche quando esso si sia articolato in gradi e fasi (tra le molte, Cass. n. 23506 del 2008; n. 18720 del 2007; n. 17554 del 2006; n. 8717 del 2006; n. 28864 del 2005; n. 6856 del 2004), cio’ che puo’ fare escludere la sussistenza del diritto, qualora il termine di ragionevole di una fase risulti violato, senza tuttavia che lo sia stato quello concernente l’intera durata del giudizio (nelle due fasi di merito e di legittimita’). Inoltre, e’ stato anche affermato che “non rientra nella disponibilita’ della parte riferire la sua domanda ad uno solo dei gradi di giudizio, optando evidentemente per quello in cui si sia prodotto sforamento dal limite di ragionevolezza e segmentando a propria discrezione la vicenda processuale presupposta” (Cass. n. 23506 del 2008).

La precettivita’, per il giudice nazionale, della giurisprudenza del giudice europeo non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo per l’equa riparazione: mentre, infatti, per la CEDU l’importo assunto a base del computo in riferimento ad un anno va moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale e’, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale e’ influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole, non incidendo questa diversita’ di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (per tutte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 11566 e n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007).

In proposito, la Corte di Strasburgo ha osservato che e’ irrilevante la circostanza che il metodo di computo previsto dal diritto interno non corrisponda esattamente ai criteri da essa stabiliti, qualora consenta “di concedere importi che non siano irragionevoli” (par.

104, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso n. 64705/01).

Quanto all’entita’ dell’indennizzo, la piu’ recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo rende possibile affermare che, ferma la presunzione di sussistenza del danno non patrimoniale – salvo che non ricorrano circostanze che permettano di escluderlo-, qualora la parte non abbia allegato, comunque non emergano, elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza di detto danno (costituiti, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico – patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilita’ di accoglimento della domanda), l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, imponga una quantificazione che, nell’osservanza della giurisprudenza della Corte EDU, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo. La fissazione di detta soglia si impone, alla luce delle sentenze sopra richiamate del giudice europeo, in quanto occorre tenere conto del criterio di computo adottato da detta Corte (riferito all’intera durata del giudizio) e di quello stabilito dalla L. n. 89 del 2001, (che ha riguardo soltanto agli anni eccedenti il termine di ragionevole durata), nonche’ dell’esigenza di offrire di quest’ultima un’interpretazione idonea a garantire che la diversita’ di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine di detta L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con la norma della CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo.

Quanto al danno patrimoniale da riparare, l’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001 compete solo nella misura in cui essa valga ad indennizzare un pregiudizio che sia conseguenza immediata e diretta della violazione del diritto della parte alla ragionevole durata del processo, e in quanto sia riferibile al periodo eccedente il termine di durata ragionevole, sicche’ e’ da escludere che, mancando un nesso del genere, siano indennizzabili a tale titolo le spese che la parte medesima abbia autonomamente deciso di sopportare per far valere, nei procedimento presupposto, la tutela del proprio diritto; cio’ in quanto l’azione giudiziaria e’ un modo di esercizio del diritto, non un effetto della sua lesione; le relative spese trovano la propria causa esclusivamente nella scelta – legittima sia pur non necessitata – di ricorrere a quel mezzo di tutela; infine, il loro rimborso, disciplinato dagli artt. 91 e 92 c.p.c., puo’ e deve essere richiesto nel giudizio in questione. Non si saprebbe, del resto, come specificamente riferire la misura di tali spese al solo periodo eccedente la ragionevole durata del processo de quo, ad ulteriore riprova della loro estraneita’ al sistema riparatorio qui concepito dal legislatore” (Sez. 1, Sentenza n. 1605 del 2007; cfr. Cass. nn. 6163/2003, 15106/2004, 3118/2005, 7140/2006).

3.1.- Alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte – innanzi sintetizzata – appare evidente l’infondatezza del primo motivo di ricorso, cosi’ come delle censure relative al “quantum” dell’indennizzo liquidato per ogni anno in relazione al danno non patrimoniale (6 motivo) e di quelle relative al mancato riconoscimento del danno patrimoniale (7 e 8 motivo).

Appaiono fondate, per contro, le censure (2, 3, 4 e 5 motivo) relative alla determinazione della ragionevole durata del processo presupposto, essendosi la Corte di merito irragionevolmente discostata dagli standard europei, mentre va ritenuta assorbita la censura relativa alla decorrenza degli interessi (9 motivo). Talche’, detratta dalla complessiva durata del processo presupposto (circa 17 anni e 8 mesi) quella ragionevole relativa ai due gradi di merito e al giudizio – pendente – di legittimita’, ossia sei anni, appare evidente la violazione per undici anni e otto mesi del termine di ragionevole durata.

Talche’, in applicazione degli standard relativi all’entita’ dell’indennizzo – che nessun elemento segnalato consente di superare – la Corte, cassato il decreto impugnato, puo’ procedere ex art. 384 c.p.c. alla liquidazione della somma di Euro 10.916,00, oltre interessi legali dalla domanda. Le spese processuali del giudizio di merito – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza, mentre il limitato accoglimento della domanda giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimita’ nella misura di 1/2, nel resto poste a carico dell’Amministrazione.

PQM

LA CORTE accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 10.916,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario;

che compensa in misura di 1/2 per il giudizio di legittimita’, gravando l’Amministrazione del residuo 1/2 e che determina per l’intero in Euro 965,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario, avv. Aiello Carmine.

Cosi’ deciso in Roma, il 20 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010

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