Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1250 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. I, 21/01/2021, (ud. 26/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9977/2019 proposto da:

A.A.K., difeso dall’avv. Marco Cavicchioli, domiciliato

presso la Cancelleria della I sezione civile della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1589/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 12/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/10/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Torino, con decreto del 12.9.2018 ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del Tribunale di Torino del 24.5.2017 che aveva rigettato la domanda di A.A.K., cittadino della (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le sue dichiarazioni state ritenute credibili (il ricorrente, autista di camion per conto terzi, aveva riferito di essere scappato dal suo paese d’origine dopo aver investito ed ucciso una ragazza a bordo del camion con cui lavorava, il quale, a seguito dell’incidente, era stato dato a fuoco dalla folla, così provocando le ire del proprietario dello stesso camion, che lo aveva minacciato di morte se non gli avesse ripagato l’automezzo entro un mese).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, è stata evidenziata l’insussistenza del rischio del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine, non essendovi in Edo State della Nigeria una situazione di violenza generalizzata.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata comprovata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione A.A.K. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 7, art. 8, comma 2, lett. b) e art. 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Censura:

Osserva il ricorrente che l’art. 3 Legge cit., non contemplerebbe obblighi di allegazione e prova in capo ai richiedenti, incombendo, invece, sul giudice un obbligo di istruttoria d’ufficio.

Posto che aveva lamentato con l’atto d’appello il mancato riconoscimento dello status di rifugiato nonostante gli adepti della fede religiosa cui appartiene (cristianesimo) fossero perseguitati in Nigeria, la stessa circostanza di aver dedotto di essere Cristiano avrebbe dovuto indurre il giudice a svolgere l’istruttoria d’ufficio.

2. Il motivo è manifestamente infondato.

In primo luogo, l’art. 3, comma 5, lett. a), impone in capo al richiedente l’onere di circostanziare la domanda, quindi, un onere di allegazione, essendo l’obbligo di cooperazione istruttoria necessariamente correlato al principio dispositivo (Cass. 27336/2018; Cass. n. 3016/2019; Cass. n. 19197/2015).

Inoltre, come ben evidenziato dal giudice d’appello (pag. 10 decreto impugnato) dalle stesse fonti indicate dal ricorrente – il cui contenuto è stato riportato alle pagg. 6-8 del ricorso – emergeva che la persecuzione dei cittadini di religione cristiana era circoscritta nella Nigeria del Nord, con conseguente insussistenza dell’obbligo del giudice di approfondire circostanze che già risultavano dalle stesse fonti del ricorrente.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Lamenta il ricorrente che il giudice di merito ha ritenuto l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata attraverso una mera affermazione di

principio, senza, tuttavia, esperire un’istruttoria ex art. 8 Legge cit. e si è limitato, inoltre, a richiamare il contenuto dei rapporti provenienti da due enti privi di ufficialità, senza riportarne neppure il contenuto.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 8 e art. 115 c.p.c..

Lamenta il ricorrente che il giudice di merito ha provveduto d’ufficio alla individuazione di elementi di prova sulla base di rapporti informativi che non corrispondono a quelli di cui all’art. 8 Legge cit. e che non sono stati neppure oggetto di contraddittorio tra le parti.

5. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare unitariamente in ragione della connessione delle questioni trattate, sono infondati.

Il giudice di merito ha effettuato un proprio accertamento di natura officiosa, indicandone l’esito, dopo aver consultato fonti internazionali che ha provveduto a citare.

In ordine alla mancata provenienza dei dati dalle fonti indicate all’art. 8 Legge cit., è stato già statuito da questa Corte che, in tema di protezione internazionale, l’indicazione delle fonti di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, non ha carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione (vedi Cass. n. 13253 del 30/06/2020). Nè assume rilevanza che il giudice di merito non abbia riportato per esteso il contenuto delle fonti citate, avendone comunque riportato le conclusioni ed avendo indicato gli estremi esatti delle fonti applicate nel caso concreto, così consentendo al ricorrente, prima di proporre l’impugnazione, di poterle consultare a sua volta, controllare ed eventualmente confutarle, circostanza, peraltro, non avvenuta.

Sul punto, d’altra parte, questa Corte ha statuito che “In tema di protezione internazionale, l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (“country of origin information”) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè in tal caso l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio. (Cass. n. 29056 del 11/11/2019).

3. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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