Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12497 del 16/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 16/06/2016, (ud. 26/05/2016, dep. 16/06/2016), n.12497

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8957-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

Avv.to A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da sè

stesso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3637/18/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA SEZIONE DISTACCATA di CATANIA del 23/10/2014,

depositata il 26/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di A.G., Avvocato (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia Sez. Staccata di Catania n. 3637/18/2014, depositata in data 26/11/2014, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di atto di rettifica della classe catastale di un’unità immobiliare, ai sensi del D.M. n. 701 del 1994 – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame del contribuente, hanno sostenuto che l’atto impugnato era carente di motivazione, essendovi in esso un richiamo “alle distosioni vigenti che regolano le operazioni di estimo catastale, fondate su metodologie comparative” ed ad un “lungo elenco di testi normativi”, mancando, tuttavia, “ogni e qualsiasi elemento concreto e specifico sull’immobile, sul suo stato, sulla sua ubicazione, sul raffronto con locali similari/diversi, ecc., per cui l’assegnazione alla classe 10 è condivisibile solo per atto di fede”, e non poteva lo stesso atto essere integrato attraverso “l’articolata difesa”, in giudizio, dell’Ufficio erariale.

Diritto

IN DIRITTO

1. L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con il primo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per sua motivazione apparente, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 non essendo evincibili dalla decisione impugnata gli elementi critici sui quali è stata fondata l’affermata carenza di motivazione dell’atto di accertamento catastale. Con il secondo motivo, la stessa ricorrente deduce poi un vizio di violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.L. n. 16 del 1993 e del D.M. n. 701 del 1994, lamentando che l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento dell’immobile deve ritenersi soddisfatto con la semplice indicazione dei “dati oggettivi acclarati e della classe attribuita all’immobile”, con conseguente erroneità del decisum.

2. Preliminarmente, è anzitutto infondata l’eccezione, sollevata dal controricorrente, di inammissibilità del ricorso per cassazione, notificato, tempestivamente, con atto spedito in data 23/03/2015, ex art. 327 c.p.c., al contribuente, di professione avvocato, presso la residenza personale, coincidente con il domicilio eletto in appello dal medesimo, difeso da se stesso.

Invero, il controricorrente deduce di avere successivamente nominato oralmente, secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 3 durante il giudizio di secondo grado, all’udienza del 23/10/2014 (come da verbale redatto ed allegato), quale “difensore”, l’Avv.to “Romano” e lamenta che al suddetto difensore non sia stato notificato il presente ricorso per cassazione.

Tuttavia, il nuovo mandato all’Avv.to Romano non risulta accompagnato nè da inequivoca revoca della precedente nomina di se stesso a difensore (cosicchè lo stesso deve ritenersi rilasciato al suddetto avvocato, non in sostituzione, ma ad integrazione della personale difesa, quale, in sostanza, “co-difensore”, cfr. Cass. 9260/2005; Cass. 16709/2007) nè da una variazione del domicilio eletto originariamente (il contribuente si era costituito in appello spendendo la propria difesa personale quale avvocato ed indicando come domicilio la propria residenza in Catania Via Etnea 508), ai sensi delD.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 (cfr. Cass. 19324/2011;

Cass. 14586/2014).

3. La prima censura del ricorso è infondata.

La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (v. Cass. n. 16736/2007). Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto che l’accertamento catastale dovesse essere annullato per su carenza motivazionale, non contenendo alcun riferimento specifico all’immobile, al suo stato, alla sua ubicazione, al raffronto con locali similari/diversi”.

Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione. I profili di apoditticità e contraddittorietà della motivazione, censurati col motivo in esame, dunque, quand’anche sussistenti, non vizierebbero tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (cfr. Cass. 5315/2015).

4. La seconda censura è ugualmente infondata.

Invero, come chiarito da questa Corte (Cass. 23237/2014) “In tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dal D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2 convertito, con modificazioni, in L. 24 marzo 1993, n. 75, e dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701 (cosiddetta procedura DOCFA), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercito del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso”.

Questa Corte (Cass. ord. n. 3394 del 2014) già aveva ritenuto che, in ipotesi di classamento di un fabbricato mediante la procedura Docfa, “l’atto con cui l’amministrazione disattende le indicazioni date dal contribuente deve contenere un’adeguata – ancorchè sommaria – motivazione, che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria”, affermando, appunto, che “l’Ufficio non può limitarsi a comunicare il classamento che ritiene adeguato, ma deve anche fornire un qualche elemento che spieghi perchè la proposta avanzata dal contribuente con la Dofca viene disattesa”.

Nella specie, la stessa Agenzia ricorrente deduce, per l’appunto, che la proposta di variazione catastale redatta dal contribuente, tramite la procedura denominata DOCFA, non veniva accettata dall’Ufficio, con conseguente necessità di più approfondita motivazione dell’atto. La C.T.R. ha, d’altra parte, accertato che l’avviso difettava di “ogni e qualsiasi elemento concreto e specifico sull’immobile, sul suo stato, sulla sua ubicazione, sul raffronto con locali similari/diversi, ecc.”, al fine di chiarire le ragioni dell’assegnazione, dell’immobile, alla classe 10, in luogo della classe proposta dal contribuente.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo unificato da parte della ricorrente, poichè il disposto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater non si applica all’Agenzia delle Entrate (Cass. SSUU 9938/2014).

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.650,00, a titolo di compensi, oltre rimborso forfettario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2016

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