Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12495 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/06/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 24/06/2020), n.12495

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2200-2014 proposto da:

REGIONE LAZIO C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente Giunta

Regionale pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MARCANTONIO COLONNA 27, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA

COLLACCIANI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CITTA’ METROPOLITANA ROMA CAPITALE succeduta alla PROVINCIA DI ROMA,

in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA IV NOVEMBRE 119-A, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA

DE MAIO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

V.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 23,

presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA DAMIZIA, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9433/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/01/2013 R.G.N. 10324/2009.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 21 gennaio 2013 la Corte d’appello di Roma, rigetta l’appello principale della Regione Lazio avverso la sentenza del locale Tribunale n. 487/2008 – che aveva ordinato la riassegnazione di V.G. dalla Provincia di Roma alla Regione Lazio a decorrere dal 21 gennaio 2003, nella superiore categoria D, posizione economica D1, con il conseguente trattamento retributivo – e accoglie l’appello incidentale della Provincia di Roma, compensando le spese del giudizio di primo grado nel rapporto processuale tra la V. e la Provincia stessa;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) è accertato e non contestato che, giusta graduatoria approvata con determina 21 gennaio 2003, n. 39 del direttore regionale organizzazione e personale, la V. è risultata vincitrice in un concorso per la copertura di n. 73 posti di VII qualifica funzionale, indetto con bando pubblicato nel BURL n. 21 del 30 luglio 1998, per lo svolgimento di funzioni proprie degli uffici della Regione e, quindi, estranee al processo di conferimento agli enti locali di funzioni e di compiti della Regione, di cui alla L. n. 59 del 1997 e alla L.R. Lazio n. 14 del 1999;

b) è anche pacifico che la V., invece di essere inquadrata nei ruoli del personale della Regione Lazio in base al superamento del suddetto concorso, è stata assegnata dal 19 maggio 2003 nei ruoli del personale della formazione professionale della Provincia di Roma;

c) pertanto, è stato violato il diritto della dipendente ad ottenere il posto per il quale aveva superato positivamente il concorso, riguardante lo svolgimento di funzioni non oggetto di trasferimento alla Provincia;

d) la Regione non ha dedotto o eccepito nulla al riguardo;

e) è irrilevante l’accordo di concertazione stipulato con le OO.SS. il 13 dicembre 2001, invocato dalla Regione, laddove stabilisce che, per i concorsi e le procedure selettive in corso al momento del trasferimento di funzioni alla Provincia, l’unica conseguenza sarebbe stata quella dell’obbligo della Regione di corrispondere alla Provincia le risorse finanziarie per pagare le maggiori retribuzioni conseguenti all’acquisizione, da parte del personale, di qualifiche superiori;

f) infatti, tale disposizione va comunque riferita a concorsi e procedure selettive relative a compiti poi trasferiti alla Provincia e non può riguardare concorsi riguardanti funzioni del tutto estranee a quelle trasferite e rimaste alla Regione, come quello vinto dalla V.;

g) va, pertanto, confermato l’ordine impartito da primo giudice alla Regione di riassegnare la dipendente, con decorrenza dalla data di approvazione della graduatoria del concorso vinto, nella superiore categoria D, posizione economica D1, con il conseguente trattamento retributivo;

che avverso tale sentenza la Regione Lazio propone ricorso affidato ad un unico motivo;

che al suddetto ricorso oppongono difese, con controricorso, sia V.G. sia la Provincia di Roma;

che V.G. deposita anche memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ..

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo di ricorso la Regione Lazio denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L.R. n. 14 del 1999, artt. 13, 157 e 159 nonchè dell’accordo di concertazione stipulato con le organizzazioni sindacali in data 13 dicembre 2001, recepito con DGR n. 2021 del 21 dicembre 2001, rilevando che in base al suddetto accordo al personale da trasferire che avesse partecipato a concorsi o selezioni in itinere era garantito il diritto all’inquadramento, presso l’ente di destinazione, in una categoria superiore, con impegno di spesa da parte della Regione;

che la Corte d’appello avrebbe male interpretato il suddetto accordo escludendone l’applicabilità alla V., la quale peraltro aveva superato un concorso non pubblico ma meramente interno, riservato ai dipendenti della Regione e bandito per la copertura di posti nella categoria D1, ma senza indicazione di uno specifico profilo professionale;

che il ricorso è inammissibile per plurime ragioni;

che, in primo luogo, deve essere rilevata l’inammissibilità dei profili di censura riferiti all’accordo di concertazione stipulato con le organizzazioni sindacali in data 13 dicembre 2001, per mancato rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente, qualora proponga delle censure che comportano l’esame o la valutazione di documenti o atti processuali, è tenuto a trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e nel contempo a fornire alla Corte di cassazione elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali (da ultimo: Cass. SU 23 settembre 2019, n. 23552 e n. 23553);

che il suddetto principio si applica a tutti i contratti e atti collettivi che non abbiano carattere nazionale e che quindi non siano assoggettati al particolare regime di pubblicità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8;

che, infatti, con un consolidato e condiviso indirizzo, l’esenzione dall’onere di depositare, unitamente con il ricorso per cassazione, il contratto collettivo del settore pubblico su cui il ricorso si fonda deve intendersi limitata ai contratti nazionali, con esclusione di ogni altri tipo di contratto o atto collettivo, per l’anzidetta ragione (vedi, per tutte: Cass. 11 aprile 2011, n. 8231; Cass. 12 ottobre 2016, n. 20554; Cass. 9 giugno 2017, n. 14449);

che, d’altra parte, per costante indirizzo di questa Corte, la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto soltanto se riguarda contratti di carattere nazionale e solo in questo ambito essa comporta, in sede di legittimità, la riconducibilità del motivo di impugnazione all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione, senza che sia necessario indicare, a pena di inammissibilità, il criterio ermeneutico violato (vedi, fra le tante: Cass. 9 settembre 2014, n. 18946; Cass. 16 settembre 2014, n. 19507; Cass. 17 maggio 2016, n. 10060; Cass. 12 ottobre 2016, n. 20554);

che tale assimilazione non si estende agli atti di autonomia collettiva che non presentino tale requisito perchè la norma suindicata fa riferimento solo ai contratti collettivi nazionali (Cass. 14 agosto 2004, n. 15923; Cass. 19 settembre 2007, n. 19367; Cass. 4 febbraio 2010, n. 2625; Cass. 8 febbraio 2010, n. 2742; Cass. 15 febbraio 2010, n. 3459; Cass. 9 settembre 2014, n. 18946);

che, quindi, nella specie anche la formulazione della censura di erronea interpretazione e applicazione del richiamato accordo di concertazione stipulato con le organizzazioni sindacali in data 13 dicembre 2001 risulta inammissibile;

che a ciò può aggiungersi che le rationes decidendi sulle quali si fonda la sentenza impugnata sono rappresentate da:

a) l’avvenuta violazione del diritto della dipendente ad ottenere il posto per il quale aveva superato positivamente il concorso, riguardante lo svolgimento di funzioni non oggetto di trasferimento alla Provincia, statuizione che è conforme al consolidato e condiviso orientamento di questa Corte secondo cui, nel pubblico impiego contrattualizzato il superamento di un concorso, indipendentemente dalla nomina, consolida nel patrimonio dell’interessato una situazione giuridica individuale di diritto soggettivo (vedi, per tutte: Cass. SU 23 settembre 2013, n. 21671);

b) la mancata deduzione di argomentazioni difensive al riguardo da parte della Regione;

che la Regione non impugna tali statuizioni – che hanno carattere decisivo, in quanto sorreggono la decisione – mentre sviluppa argomenti riguardanti la natura interna del concorso de quo e la mancata previsione nel relativo bando di specifici profili professionali che non hanno alcun riscontro nella sentenza impugnata, sicchè per come formulati si pongono in contrasto con il consolidato principio secondo cui nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (vedi, per tutte: Cass. SU 26 luglio 2018, n. 19874; Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 26 marzo 2012, n. 4787; Cass. 30 marzo 2000, n. 3881; Cass. 9 maggio 2000, n. 5845; Cass. 5 giugno 2003, n. 8993; Cass. 21 novembre 1995, n. 12020);

che, peraltro, si tratta di argomenti che risultano privi di specifica attinenza con le suddette statuizioni centrali nella sentenza di appello impugnata;

che, quindi, l’omessa impugnazione di tali statuizioni rende inammissibile, per difetto di interesse, le censure proposte, essendo le statuizioni non censurate divenute definitive e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

che, in sintesi, il ricorso va dichiarato inammissibile, per le indicate ragioni;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

che si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, ove il versamento ivi previsto risulti dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, in complessivi Euro 5500,00 (cinquemilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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