Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12494 del 17/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 12494 Anno 2015
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA

sul ricorso 15645-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015

contro

1093

DE FLAVIIS PAOLA c.f. DFLPLA69S66A488Y, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo
studio

dell’avvocato

SERGIO

VACIRCA,

che

la

Data pubblicazione: 17/06/2015

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO
LALLI, giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1079/2008 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 24/06/2008, r.g.n.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/03/2015 dal Consigliere Dott. ADRIANA
DORONZO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega verbale
PESSI ROBERTO;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

1023/2006;

Ragioni di fatto e di diritto della decisione
LE Tribunale di Teramo, in accoglimento della domanda proposta da Paola De
Flaviis, ha dichiarato nullo il termine apposto al contratto di lavoro subordinato
stipulato con Poste Italiane s.p.a. con decorrenza 8 giugno 1999, per “esigenze
eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali
in corso e in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi
ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio
delle risorse umane” ex art. 8 CCNL del 1994 come integrato dall’ accordo
integrativo del 25/9/1997, ed ha condannato la società convenuta a riammettere
in servizio la lavoratrice, nonché a pagarle le retribuzioni maturate.
1.2. – La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello
dell’Aquila, che condannato la società datrice di lavoro al pagamento delle
retribuzioni a far tempo dalla data della costituzione in mora (20/2/2003).
1.3. – Per la cassazione di tale sentenza la società propone ricorso, sostenuto da
quattro motivi. La lavoratrice resiste con controricorso. Le parti depositano
memorie ex art. 378 c.p.c. Il Collegio ha autorizzato la motivazione
semplificata.
2. Preliminarmente, si dà atto della tardività del controricorso, avviato per la
notifica in data 26/10/2009 e notificato il 28/10/2009, e dunque oltre il termine
previsto dall’art. 370 c.p.c., essendo stato il ricorso per cassazione notificato in
data 29/6/2009, come attesta la stessa intimata. L’inammissibilità del
controricorso, perché notificato oltre il detto termine, comporta che non può
tenersi conto del controricorso medesimo, né delle successive memorie, ma
non incide sulla validità ed efficacia della procura speciale rilasciata a margine
di esso dal resistente al difensore, che può partecipare in base alla stessa alla
discussione orale, con la conseguenza che, in caso di rigetto del ricorso, dal
rimborso delle spese del giudizio per cassazione sopportate dal resistente vanno
escluse le spese e gli onorari relativi al controricorso, mentre tale rimborso
spetta limitatamente alle spese per il rilascio della procura ed all’onorario per lo
studio della controversia e per la discussione (Cass., 13 maggio 2010, n.
11619).
3. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 1362 e 1363 e ss., c.c., nonché omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio. Assume, in sintesi, l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha
ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de quo in quanto stipulato
(per “esigenze eccezionali…”) oltre la scadenza ultima fissata dagli accordi
collettivi attuativi dell’accordo aziendale del 25 settembre 1997, ed all’uopo
sostiene la insussistenza di tale scadenza e la natura meramente ricognitiva dei
detti accordi. In particolare ritiene che, pur in mancanza di un’espressa
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Udienza 5 marzo 2015
Presidente Vidiri
Relatore Doronzo
R.G. n. 15645/09
Poste italiane s.p.a. c/De Flaviis

Udienza 5 marzo 2015
Presidente Vidiri
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previsione temporale ultrattiva, l’accordo suddetto e le successive proroghe
devono essere interpretate alla luce dell’art. 1367 c.c. e, segnatamente, del
comportamento successivo delle parti stipulanti, nel senso deve escludersi
l’apposizione di un termine finale, dandosi così copertura alle assunzioni a
tempo determinato anche per periodi successivi al 30 aprile 1998.
Con il secondo motivo censura la sentenza per insufficiente motivazione,
nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che la doppia motivazione
posta a giustificazione del contratto a tempo determinato (“esigenze di carattere
eccezionali” ed “esigenze sostitutive nel periodo feriale”) fosse inammissibile o
contraddittoria.
5. – Con il terzo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art.
1372, commi 1 e 2, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per giudizio, nullità del procedimento ai
sensi dell’art. 360, n. 3, 4 e 5, c.p.c. Lamenta l’erroneità della sentenza nella
parte in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo
consenso tacito, nonostante la mancanza di una qualsiasi manifestazione di
interesse alla funzionalità di fatto del rapporto, per un apprezzabile lasso di
tempo anteriore alla proposizione della domanda e la conseguente presunzione
di estinzione del rapporto stesso.
Con il quarto motivo la società denuncia la “violazione e falsa applicazione
di norme di diritto; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art.
360 n. 3 e 4 c.p.c.)”. Lamenta l’errore in cui è incorso il giudice d’appello il
quale, in violazione dei principi di sinallagmaticità del rapporto di lavoro e di
corrispettività delle relative prestazioni, ha riconosciuto il risarcimento dei
danni da scioglimento del rapporto senza che il lavoratore, in qualità di attore,
abbia assolto l’onere di allegare e provare il danno in misura equivalente alle
retribuzioni perdute e senza considerare che, comunque, tale diritto suppone
che siano state offerte dal lavoratore le prestazioni lavorative e che datore di
lavoro le abbia illegittimamente rifiutate.
7. – Il primo motivo è infondato in base all’indirizzo ormai consolidato in
materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente
anteriormente al CCNL del 2001 ed al d.lgs. n. 368/2001. Su cui da ultimo,
Cass., 15 luglio 2014, n. 16139).
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U., 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato
che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del
1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli
previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di
considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato
del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro
diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di
lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo
6.

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indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi
specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a
condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di
procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass., 4 agosto 2008, n.
21063, v. anche Cass. 20 aprile 2006, n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862,
Cass. 26 luglio 2004, n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in
bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari,
non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe
a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.”
(v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008, n. 21062, Cass. 23 agosto 2006, N.
18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato
previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto
collettivo), la sua inosservanza determina la nullità della clausola di
apposizione del termine (Cass. 23 agosto 2006, n. 18383, Cass. 14 aprile 2005,
n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004, n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come
va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali,
con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del
c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in
data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza
della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente
ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne
consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute
dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio,
con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a
tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v.,
fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007, n. 20608; Cass. 28 novembre 2008, n. 28450;
Cass. 4 agosto 2008, n. 21062; Cass. 27 marzo 2008, n. 7979).
In applicazione di tale principio il motivo deve essere rigettato.
8. Anche il secondo motivo è infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini del
riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze

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Udienza 5 marzo 2015
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significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di
porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass.,10 novembre
2008, n. 426935, Cass., 28 settembre 2007, n. 20390, Cass., 17 dicembre 2004,
n. 23554, nonché da ultimo, Cass., 18 novembre 2010, n. 23319, Cass., 11
marzo 2011, n. 5887, Cass., 4 agosto 2011, n. 16932). La mera inerzia del
lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, “è di per sé
insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo
consenso” (v. da ultimo Cass., 15 novembre 2010 n. 23057, Cass., 11 marzo
2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale
risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la
volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass., 2 dicembre 2002, n. 17070 e, fra le altre, da
ultimo, Cass., 1 febbraio 2010, n. 2279, Cass., 15 novembre 2010, n. 23057,
Cass., 11 marzo 2011 n. 5887).
8.1. Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente
ormai consolidato, basato sulla necessaria valutazione dei comportamenti e
delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione
consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non
essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera
mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo, infatti,
non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il
“piano oggettivo” nel quadro di una presupposta valutazione sociale “tipica” (v.
Cass., 6 luglio 2007, n. 15264 e, da ultimo, Cass., 5 giugno 2013, n. 14209),
prescinde del tutto dal presupposto che la risoluzione per mutuo consenso
tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale, anche se tacita (v.
da ultimo, Cass., 28 gennaio 2014, n. 1780; Cass., 15 luglio 2014, n. 16139).
Orbene nella fattispecie la Corte di merito, attenendosi a tali principi, ha
rilevato che la società ha allegato soltanto il mero decorso del tempo (dalla
cessazione del rapporto alla messa in mora), di per sé insufficiente a
manifestare la volontà di risolvere il contratto. Tale accertamento di fatto,
conforme ai principi sopra richiamati, risulta altresì congruamente motivato e
resiste alla censura della ricorrente, che peraltro in questa sede richiama gli
ulteriori elementi della breve durata del contratto a termine e della percezione
del t.f.r., comunque entrambi privi di decisività (il primo del tutto irrilevante e
il secondo per nulla univoco).
9. Il terzo motivo risulta del tutto generico e astratto oltre che mancante del
momento di sintesi conclusivo previsto dall’art. 366 bis applicabile ratione
temporis. La Corte territoriale solo ad abundatiam, dopo aver confermato
integralmente la sentenza di primo grado, ha esaminato il secondo contratto
intercorso tra le parti, stipulato per il periodo 1/6/2001-30/9/2001 ed in

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relazione a questo ha ritenuto che la causale apposta detto contratto, costituita
dalle esigenze eccezionali, fosse inconciliabile con l’altra causale, pure indicata
in contratto, costituita da esigenze sostitutive di personale assente per ferie. Ma
l’esame di tale contratto era assolutamente superflua, dal momento che il primo
giudice ha ritenuto nullo già il primo contratto stipulato nel giugno del 1999 e
ha determinato la conversione del rapporto a termine il rapporto a tempo
indeterminato a far tempo da tale data. La valutazione della Corte aquilana in
ordine al secondo contratto è di per sé di per sé insuscettibile di arrecare
nocumento alla parte, una volta che sia stato già affermato il diritto della parte
ricorrente con una decorrenza anteriore rispetto al detto contratto, con la
conseguenza che la Poste italiane è priva di interesse a censurare in sede di
legittimità tale capo della sentenza.
10.— Il quarto motivo è inammissibile.
Posto, infatti, che la impugnata sentenza ha condannato la società al pagamento
delle retribuzioni maturate dalla messa in mora, la ricorrente censura tale
decisione in modo assolutamente generico, ribadendo che il diritto del
lavoratore risarcimento del danno spetta se ed in quanto abbia costituito in
modo il datore di lavoro, senza considerare che la Corte territoriale ha ritenuto
sussistente la detta costituzione indicandone anche la data, ed in tali limiti ha
riformato la sentenza del tribunale. Né la ricorrente riporta il contenuto dell’atto
che, secondo il suo assunto, non avrebbe integrato l’offerta della prestazione e
la messa in mora (contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito).
11.- Così risultato inammissibile l’ultimo motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche
modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di
legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,
una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass., 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27
febbraio 2004, n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche
indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere
sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le
altre Cass. 4 gennaio 2011, n. 80; Cass., 15 luglio 2014, n. 16139).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
12.- Il ricorso va pertanto rigettato e, in applicazione del criterio della
soccombenza, la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese in
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favore dell’intimata, liquidate, stante la tardività del controricorso, in relazione
alla sola discussione e distratte in favore del suo difensore, in ragione della
dichiarazione eV art. 93 c.p.c. resa in udienza.
P. Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore
della lavoratrice, delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 100,00 per
esborsi e euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali e altri
accessori di legge, disponendone la distrazione in favore dell’avv. Sergio
Vacirca, anticipatario.
Roma 5 marzo 2015
Il Presidente
Dr. Guido Vidiri

Udienza 5 maizo 2015
Presidente Vidiri
Relatore Doronzo
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