Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12494 del 08/06/2011

Cassazione civile sez. VI, 08/06/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 08/06/2011), n.12494

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1 3734/2010

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sui ricorsi riuniti iscritti ai n.ri 3726, 3727, 3731, 3734 e 3767

del Ruolo Generale degli affari civili dell’anno 2010 di:

P.A., M.G., B.M., T.

M. e TE.MI., ciascuno dei quali è rappresentato e

difeso, per procura in calce ad ognuno dei ricorsi sopra indicati,

dall’avv. DE PAOLA Gabriele, presso il quale elettivamente domicilia

in Roma, alla Via Giulia di Colloredo n. 46-48 e che dichiara di

volere ricevere le comunicazioni di cancelleria presso il seguente

indirizzo di Posta elettronica: (OMISSIS) ovvero via

fax al numero (OMISSIS).

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro in

carica ex lege domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato e da questa rappresentato e

difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Trieste del 30 giugno –

10 novembre 2009, n. 1736 cron. del 2009;

Letta la memoria dei ricorrenti a sostegno della relazione.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “Vengono proposti separatamente, da ciascuno dei ricorrenti meglio individuati in epigrafe, con i diversi numeri di registro generale sopra riportati, distinti ricorsi notificati tutti il 1 febbraio 2010 per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Trieste del 30 giugno – 10 novembre 2009 n. 1736 cron. che, con condanna dei ricorrenti alle spese della procedura, ha rigettato le loro domande di equa riparazione proposte con ricorso depositato in cancelleria il 18 maggio 2009, che chiedeva la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare Euro 8000,00 a ciascuno degli istanti, a titolo di equo indennizzo ai sensi della L. n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo.

Gli istanti hanno chiesto i danni non patrimoniali subiti per effetto dell’ansia loro provocata dalla durata irragionevole del processo da ciascuno di loro iniziato con ricorso del 19 dicembre 1995 al Tar del Lazio per il pagamento di straordinari per servizi prestati, ritenuto palesemente infondato e respinto con sentenza n. 1946/2003, processo ancora pendente dinanzi al Consiglio di Stato alla data della domanda.

Respinta 1’eccezione di incompetenza territoriale, la Corte adita ha ritenuto che l’affermazione dal Tribunale amministrativo del Lazio sulla manifesta infondatezza delle pretese dei ricorrenti, anche in base ai numerosi analoghi precedenti giurisprudenziali, fosse incompatibile con ogni incertezza e ansia da attesa sull’esito del giudizio, con esclusione conseguente del danno non patrimoniale e infondatezza della domanda di equa riparazione, dovendosi negare anche la valutazione della posta in gioco del processo presupposto, perchè non poteva che presumersi la sicura consapevolezza, da ciascuno dei ricorrenti, dell’inconsistenza delle proprie ragioni.

Con i ricorsi in cassazione si censura il decreto impugnato per quattro motivi: a) violazione degli artt. 6 e 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, oltre che dell’art. 101 Cost., dovendo presumersi sempre il danno da ansia per l’attesa dell’esito del processo, salvo il caso di azione temeraria o abuso del processo, incompatibili nella fattispecie con i molti altri casi identici richiamati in ricorso, in cui si è affermata la manifesta fondatezza delle stesse domande d’equo indennizzo in sede di legittimità e di merito; b) insufficiente e contraddittoria motivazione per non avere considerato che lo stesso TAR Lazio, nel rigettare il ricorso a base del processo presupposto, ha compensato le spese, il che appare incompatibile con l’abuso del processo affermato in decreto; c) violazione del principio d’imparzialità dell’art. 6, e 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella condanna dei ricorrenti alle spese di causa liquidate in Euro 1.400,00 nel caso e di regola fissate solo in Euro 700,00, quando vincitrici siano le parti private. Il Ministero intimato resiste con controricorso. I ricorrenti chiedono anche la decisione di merito della causa, limitando la richiesta ad Euro 1000,00 all’anno di ritardo nella decisione; il controricorrente Ministero afferma la correttezza del decreto impugnato.

Il relatore ritiene che i più ricorsi, previa loro riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c., sono manifestamente fondati, essendo violativi del diritto vivente, come elaborato anche dalla giurisprudenza di questa Corte, essendo apodittica la esclusione dell’ansia da esito del giudizio per la mera infondatezza della domanda a base del processo presupposto, come più volte affermato da questa stessa Corte.

Perchè il danno non patrimoniale possa negarsi, deve invece rilevarsi e provarsi il carattere temerario e arbitrario delle domande proposte nella causa durata oltre i termini di ragionevolezza, con la dimostrazione cioè di un dolo che evidenzi la natura strumentale dell’azione per conseguire con lo stesso l’equo indennizzo per detta ingiusta durata (così da ultimo Cass. n. 9938/2010) ovvero il carattere emulativo della domanda volta solo a danneggiare la controparte, nella piena consapevolezza per chi agisce dell’infondatezza delle proprie istanze (Cass. ord. n. 8513 del 2010), potendo incidere la soccombenza nel processo solo nella determinazione della misura dell’indennizzo (Cass. 24107/2009) e non nella sua esclusione.

Restano assorbiti il secondo e terzo motivo di ciascuno dei ricorsi.

In conclusione, opina il relatore che i ricorsi, da riunire ai sensi dell’art. 335 c.p.c, sono manifestamente fondati e si chiede che il Presidente della sezione voglia fissare l’adunanza in Camera di consiglio per la decisione ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi proposti avverso il medesimo decreto della Corte d’appello di Trieste.

Il collegio, esaminati la relazione e gli scritti difensivi in atti, ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione da essa proposta, sostenuta anche dalla memoria depositata dai ricorrenti a sostegno di essa.

2. Ritenuti manifestamente fondati i ricorsi, da decidere ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, cioè in base ai vari precedenti uniformi di questa Corte citati nella relazione, il decreto impugnato deve essere cassato e, non essendo necessari altri accertamenti di fatto, le cause possono essere decise ai sensi dell’art. 384 c.p.c.;

adeguandosi ai parametri della Corte europea dei diritti dell’uomo costituenti il diritto vivente, l’equo indennizzo deve computarsi, in rapporto alla durata del giudizio ancora pendente al 18 maggio 2009, mentre era in corso il secondo grado della causa presupposta instaurata il 18 dicembre 1995.

Potendosi presumere come giusta, in base ai parametri fissati in sede sopranazionale, una complessiva durata del processo presupposto di anni cinque (tre per il primo grado e due per il secondo), detratto tale periodo dalla complessiva durata di anni tredici e mesi sei, il tempo irragionevole è quello residuo, anche se per i processi amministrativi, uniformandosi ai criteri della Corte europea, appare opportuna parametrare la liquidazione dell’equo indennizzo sulla intera durata del processo presupposto.

In rapporto ai criteri di liquidazione ritenuti conformi ai parametri europei ed elaborati da questa Corte, l’equo indennizzo può determinarsi, tenuto conto anche della infondatezza della domanda nel processo presupposto e della modestia dello stato d’ansia correttamente rilevato dai giudici di merito, in Euro 500,00 annui per l’intera durata del processo presupposto per ciascun ricorrente, e complessivamente in Euro 6.700,00, oltre agli interessi di legge dalla domanda al saldo.

Le spese seguono la soccombenza e in ragione dell’accoglimento della domanda originaria e dei valore della causa, considerata anche la pluralità dei ricorrenti, si liquidano in favore di questi in solido e a carico del Ministero controricorrente, distintamente per il giudizio di merito e il presente giudizio di cassazione, come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie i ricorsi riuniti nei sensi di cui in motivazione e cassa il decreto impugnato in relazione alla impugnazione accolta;

decidendo la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna il Ministero dell’economia e delle finanze a pagare a ciascuno dei sei ricorrenti, quale equa riparazione per il danno non patrimoniale Euro 6.700,00 (seimilasettecento/00), oltre agli interessi dal 18 maggio 2009. Condanna il Ministero a pagare ai ricorrenti in solido le spese dell’intero giudizio, che liquida, per il processo di merito, in Euro 1.650,00 (milleseicentocinquanta/00), di cui Euro 1.000,00 (mille/00) per onorari ed Euro 600,00 (seicento/00) per diritti, e, per quello di legittimità, in Euro 1.300,00 (milletrecento/00), di cui Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge per entrambi i gradi.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 5.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2011

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