Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12493 del 08/06/2011

Cassazione civile sez. VI, 08/06/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 08/06/2011), n.12493

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1 3729/2010 3763/2010

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sui ricorsi riuniti iscritti ai n.ri 3712, 3716, 3719, 3729, 3763 e

3764 del Ruolo Generale degli affari civili dell’anno 2010 di:

I.N., G.A., C.P., A.

P., P.A. e S.L., ciascuno dei quali è

rappresentato e difeso, per procura in calce ad ognuno dei ricorsi

sopra indicati, dall’av. DE PAOLA Gabriele, presso il quale ciascuno

dei ricorrenti elettivamente domicilia in Roma, alla Via Giulia di

Colloredo n. 46-48 e che dichiara di volere ricevere le comunicazioni

di cancelleria presso il seguente indirizzo di Posta elettronica:

(OMISSIS) ovvero via fax al numero (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona dei Ministro in

carica ex lege domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12,

presso l’Avvocatura generale dello Stato;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Trieste del 30 giugno –

19 ottobre 2009, n. 1629 cron. del 2009, notificato il 9 dicembre

2009.

Letta la memoria dei ricorrenti, adesiva della relazione.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “Vengono proposti separatamente, da ciascuno dei ricorrenti meglio individuati in epigrafe, con i numeri di registro generale sopra riportati, distinti ricorsi notificati tutti il 4 febbraio 2010 per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Trieste del 30 giugno – 19 ottobre 2009 n. 1629 cron. che, con condanna dei ricorrenti alle spese della procedura, ha rigettato le domande di equa riparazione proposte dai ricorrenti con atto depositato in cancelleria l’11 maggio 2009, che aveva chiesto la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare Euro 8000,00 a ciascuno degli attori, a titolo di equo indennizzo ai sensi della L. n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo.

Gli istanti hanno chiesto i danni non patrimoniali subiti per effetto dell’ansia loro provocata dalla durata irragionevole del processo da loro iniziato con ricorso del 19 dicembre 1995 al Tar del Lazio per il pagamento di straordinari per servizi da loro prestati, ritenuto palesemente infondato e respinto con sentenza n. 1946/2003, processo ancora pendente dinanzi al Consiglio di Stato.

Respinta l’eccezione di incompetenza territoriale, la Corte adita ha ritenuto che l’affermazione dal Tribunale amministrativo del Lazio sulla manifesta infondatezza delle pretese dei ricorrenti, anche in base ai numerosi precedenti giurisprudenziali, fosse incompatibile con qualsiasi incertezza e/o ansia da attesa dell’esito del giudizio, con esclusione conseguente del danno non patrimoniale e infondatezza della domanda, dovendosi negare ogni valutazione della posta in gioco del processo presupposto perchè non poteva che presumersi la sicura consapevolezza, da ciascuno dei ricorrenti, dell’inconsistenza delle proprie ragioni.

Con il ricorso in cassazione si censura il decreto impugnato per quattro motivi: a) violazione degli artt. 6, e 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, oltre che dell’art. 101 Cost., dovendo presumersi sempre il danno da ansia per l’attesa dell’esito del processo, salvo il caso di azione temeraria o abuso del processo, incompatibili nella fattispecie con molti altri casi identici richiamati in ricorso, in cui si è affermata invece la manifesta fondatezza delle stesse domande di equo indennizzo, in sede di legittimità e di merito; b) insufficiente e contraddittoria motivazione per non avere considerato che lo stesso TAR Lazio, nel rigettare il ricorso a base del processo presupposto, ha compensato le spese, il che appare incompatibile con l’abuso del processo affermato in decreto; c) violazione del principio di imparzialità dell’art. 6 e 1 della Convenzione nella condanna dei ricorrenti alle spese di causa liquidate in Euro 1400,00 nel caso e di regola fissate in Euro 700,00 quando vincitori siano le parti private. I ricorrenti chiedono anche la decisione di merito della causa, limitando la richiesta ad Euro 1000,00 all’anno di ritardo nella decisione; non si è difeso il Ministero intimato.

Il relatore ritiene che i più ricorsi, previa loro riunione, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., sono manifestamente fondati, essendo violativi del diritto vivente, come elaborato anche dalla giurisprudenza di questa Corte, essendo apodittica la esclusione dell’ansia da esito del giudizio per la mera infondatezza della domanda a base del processo presupposto, come più volte affermato da questa Corte. Perchè il danno non patrimoniale possa negarsi deve invece rilevarsi e provarsi il carattere temerario e arbitrario delle domande proposte nella causa durata oltre i termini di ragionevolezza, con la dimostrazione cioè di un dolo che evidenzi la natura strumentale dell’azione per conseguire lo stesso equo indennizzo per detta ingiusta durata (così da ultimo Cass. n. 9938/2010) ovvero il carattere emulativo della domanda volta solo a danneggiare controparte nella piena consapevolezza per chi agisce dell’infondatezza delle proprie istanze (Cass. ord. n. 8513 del 2010), potendo incidere la soccombenza nel processo presupposto solo nella liquidazione della misura dell’indennizzo (Cass. n. 24107/2009) e non per la sua esclusione. Restano assorbiti il secondo e terzo motivo del ricorso. In conclusione, opina il relatore che i ricorsi da riunire ai sensi dell’art. 335 c.p.c., sono manifestamente fondati e si chiede che il Presidente della sezione voglia fissare l’adunanza in Camera di consiglio per la decisione ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi proposti avverso il medesimo decreto della Corte d’appello di Trieste.

Il collegio, esaminati la relazione e gli scritti difensivi in atti, ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione da essa proposta, sostenuta anche dalla memoria depositata dai ricorrenti a sostegno di essa.

2. Ritenuti manifestamente fondati i ricorsi, da decidere ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, cioè in base ai vari precedenti uniformi di questa Corte citati nella relazione, il decreto impugnato deve essere cassato e, non essendo necessari altri accertamenti di fatto, le cause possono essere decise ai sensi dell’art. 384 c.p.c.;

adeguandosi ai parametri della Corte europea dei diritti dell’uomo costituenti il diritto vivente, l’equo indennizzo deve computarsi, in rapporto alla durata del giudizio ancora pendente all’11 maggio 2009, mentre era in corso il secondo grado della causa presupposta instaurata il 18 dicembre 1995.

Potendosi presumere come giusta, in base ai parametri fissati in sede sopranazionale, una complessiva durata del processo presupposto di anni cinque (tre per il primo grado e due per il secondo), detratto tale periodo dalla complessiva durata di anni nove, mesi cinque e giorni ventuno, il tempo irragionevole è quello residuo, anche se per i processi amministrativi, uniformandosi ai criteri della Corte europea, appare opportuna parametrare la liquidazione dell’equo indennizzo sulla intera durata del processo presupposto.

In rapporto ai criteri di liquidazione ritenuti conformi ai parametri europei ed elaborati da questa Corte, l’equo indennizzo può determinarsi, tenuto conto anche della infondatezza della domanda nel processo presupposto e della modestia dello stato d’ansia correttamente rilevato dai giudici di merito, in Euro 500,00 annui per l’intera durata del processo presupposto per ciascun ricorrente, e complessivamente in Euro 4.700,00, oltre agli interessi di legge dalla domanda al saldo.

Le spese seguono la soccombenza e in ragione dell’accoglimento della domanda originaria e del valore della causa, considerata anche la pluralità dei ricorrenti, si liquidano in favore di questi in solido e a carico del Ministero intimato, distintamente per il giudizio di merito e il presente giudizio di cassazione, come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie i ricorsi riuniti nei sensi di cui in motivazione e cassa il decreto impugnato in relazione alla impugnazione accolta;

decidendo la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna il Ministero dell’economia e delle finanze a pagare a ciascuno dei sei ricorrenti, quale equa riparazione per il danno non patrimoniale, Euro 6.700,00 (seimilasettecento/00), oltre agli interessi dall’11 maggio 2009. Condanna il Ministero intimato a pagare ai ricorrenti in solido le spese dell’intero giudizio, che liquida, per il processo di merito, in Euro 1.650,00 (milleseicentocinquanta/00), di cui Euro 1.000,00 (mille/00) per onorari ed Euro 600,00 (seicento/00) per diritti e, per quello di legittimità, in Euro 1.300,00 (milletrecento/00), di cui Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge per entrambi i gradi.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 5.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2011

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