Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12490 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/06/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 24/06/2020), n.12490

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13997-2014 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 172,

presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO, che la rappresenta

difende unitamente all’avvocato WALTER MICELI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

e contro

S.E., M.E., C.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1403/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 11/03/2014 R.G.N. 274/2013;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.

A.A., iscritta nelle graduatorie ad esaurimento della provincia di Palermo, ha presentato, per il biennio 2009/2011, domanda di iscrizione nelle graduatorie della provincia di Cuneo, venendo collocata, quanto all’anno scolastico 2009/2010, “in coda”, ovverosia successivamente a chi già precedentemente era iscritto nelle graduatorie di quella provincia, in 52ma posizione;

analogamente, per l’anno 2010/2011, essa fu collocata, sempre “in coda” in 45ma posizione;

tale posizionamento era stato disposto dall’Amministrazione Scolastica sulla base di decreto (e successiva nota) in tal senso del direttore generale del Ministero della Pubblica Istruzione;

i predetti provvedimenti sono stati poi annullati dal T.A.R. del Lazio e la A., sulla base di tale pronuncia, ha adito a propria volta il giudice amministrativo al fine di ottenere l’annullamento dei provvedimenti di posizionamento nelle graduatorie di quel biennio assunti nei suoi confronti;

è quindi sopraggiunto il D.L. n. 134 del 2009 che, all’art. 1, comma 4-ter, aggiunto dalla legge di conversione L. n. 167 del 2009, aveva stabilito, con norma di interpretazione autentica della L. n. 296 del 2006 e successive modificazioni, art. 1, comma 605, lett. c) il collocamento “in coda” per i bienni 2007-2008 e 2008-2009, con superamento di tale limitazione solo a partire dalle graduatorie del biennio 2011/2013;

il T.A.R. del Lazio ha quindi proposto questione di legittimità costituzionale di tale sopravvenuta normativa di legge, che è stata accolta da Corte Costituzionale 41/2011, la quale ha affermato che la predetta disciplina risultava “eccentrica, rispetto alla regola dell’inserimento “a pettine” dei docenti nelle graduatorie, vigente non solo nel periodo anteriore, ma persino in quello posteriore all’esaurimento del biennio in questione” e non era dunque in grado di “superare il vaglio di costituzionalità… con riguardo al carattere non irragionevole che le disposizioni primarie debbono rivestire”, collidendo altresì con il “rispetto del principio del merito e, quindi, con il riconoscimento del punteggio e della posizione attribuiti al singolo docente nella graduatoria di provenienza”;

nelle more, alla A., che nel frattempo afferma di avere agito per l’ottemperanza dell’ordinanza cautelare emessa dal T.A.R. del Lazio, era stato attribuito, nell’agosto 2011, ma poi subito “accantonato” in attesa dell’esito del contenzioso, un posto di ruolo con effetti retrodatati al 2010 e ciò sul presupposto di un suo collocamento “a pettine”, in attesa del giudizio di merito, in prima posizione;

quindi, in esito alla formulazione delle graduatorie per il biennio 2011/2013, alla ricorrente era stato assegnato, senza condizioni, un posto di ruolo con decorrenza 1.9.2011;

il giudizio promosso dalla A. davanti al T.A.R. era stato nel frattempo definito con declinatoria della giurisdizione in favore del giudice ordinario, che veniva quindi adito dalla ricorrente la quale chiedeva, in via principale, la condanna del Ministero al riconoscimento della decorrenza giuridica ed economica dell’assunzione a tempo indeterminato dal 1.9.2009 (anno 2009/2010) o in subordine dal 1.9.2010 oppure, in via ulteriormente subordinata, la condanna del Miur alla rettifica integrale delle graduatorie ad esaurimento per le annate di riferimento, al fine della conseguente corretta individuazione degli aventi diritto ai contratti a tempo indeterminato;

la domanda è stata accolta dal Tribunale di Cuneo, con riconoscimento del diritto della ricorrente all’assunzione fin dal 1.9.2009, ma la sentenza è stata riformata dalla Corte d’Appello di Torino, che ha rigettato le domande;

la Corte territoriale, pur ritenendo sussistente, in esito alla vicenda normativa sopra riepilogata, il diritto della A. all’inserimento “a pettine” nelle graduatorie fin dall’annata 2009/2010, riteneva che non sussistessero i presupposti probatori utili all’accoglimento della domanda principale, essendosi la ricorrente collocata ben lontana dall’ultimo posto utile e comunque non avendo assolto al proprio onere probatorio;

tale onere, secondo la Corte, consisteva nella dimostrazione che, con l’inserimento a pettine, la A., tra tutti i docenti esclusi, sarebbe stata la prima ad avere diritto all’immissione in ruolo in luogo dell’ultimo docente collocato con punteggio utile, oppure nella dimostrazione del fatto che tutti i docenti “in coda” collocati in posizione migliore della sua non avevano più interesse, per rinuncia

o altre ragioni, al collocamento” a pettine”, per quella classe di concorso;

veniva rigettata anche la domanda subordinata di rifacimento integrale delle graduatorie, sostenendo i giudici di appello che tale pretesa esulasse dalla legittimazione attiva della ricorrente, in quanto riguardante diritti soggettivi altrui, con limite a dire della Corte non superabile attraverso chiamata in causa o integrazione del contraddittorio nei riguardi degli altri interessati;

2.

avverso la sentenza la A. ha proposto tre motivi di ricorso per cassazione, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso del Ministero;

il Pubblico Ministero, in vista dell’adunanza camerale, alla cui trattazione la causa era stata avviata, ha depositato memoria con la quale ha insistito per il rigetto del ricorso;

la M., la C. e la S. sono rimasti intimati.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.

con il primo motivo la A. adduce l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, sul presupposto che la Corte territoriale non abbia considerato i punteggi della ricorrente e dei docenti assunti, quali da essa allegati fin del primo grado di giudizio, dai quali emergeva come fossero stati immessi in ruolo, nel 2009, 15 docenti e, nel 2010, comprendendo anche gli assunti nel 2011 con retrodatazione al 2010, 31 docenti muniti di punteggio inferiore al suo; con il secondo motivo la ricorrente afferma invece la violazione dell’art. 2697 c.c., in combinato disposto con l’art. 1175 c.c., art. 1176 c.c., comma 2, art. 1375 c.c. e art. 88 c.p.c. e l’erronea qualificazione quali fatti costitutivi, di fatti che erano impeditivi o estintivi del diritto della ricorrente, oltre alla violazione del principio sull’onere della prova;

il terzo motivo censura invece la sentenza impugnata per avere violato l’art. 112 c.p.c. non avendo pronunciato sulla domanda subordinata di rideterminazione delle operazioni selettive e di stipula dei contratti a tempo indeterminato;

2.

i primi due motivi, qualificabili come censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (primo motivo) ed ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (secondo motivo) vanno esaminati congiuntamente, stante la loro connessione;

2.1.

come rilevato espressamente dalla Corte territoriale il diritto dell’ A. all’inserimento “a pettine” non è più in discussione in causa, sicchè può affermarsi che risulta definitivamente acclarato l’inadempimento della P.A. rispetto agli obblighi a suo carico per la conduzione delle immissioni in ruolo sulla base delle graduatorie permanenti;

2.2.

l’azione dispiegata dalla A. ha una duplice natura, qualificandosi essa, nella formulazione principale, come domanda di risarcimento del danno in forma specifica, volta ad ottenere la medesima utilità perduta a causa dell’inadempimento del Ministero agli obblighi derivanti dalla normativa sulle assunzioni nella scuola e consistendo viceversa, nella formulazione subordinata, nella richiesta di adempimento ai medesimi obblighi, attraverso la riformulazione della graduatoria, che è l’attività di cui consiste l’obbligo assunto come violato e con adeguamento dei comportamenti da tenere alla normativa vigente, quale concretizzatasi anche a seguito delle pronunce del giudice amministrativo e della Corte Costituzionale;

2.3.

la domanda finalizzata al risarcimento in forma specifica, azionata come detto in via principale è rimedio da tempo ammesso in ambito (come il presente) di inadempimento di obbligazioni e dunque di responsabilità contrattuale (Cass. 2 luglio 2010, n. 15726; Cass. 30 luglio 2004, n. 3004) che ha ad oggetto, a differenza del risarcimento per equivalente di una chance perduta, il riconoscimento degli effetti di un diritto che si assume spettasse pienamente e non la lesione della mera possibilità di perseguirlo (come è per la chance);

ne deriva che anche il giudizio va definito secondo parametri di certezza e non di mera e seppur alta probabilità logica, come è invece, ancora, per la perdita di chance;

d’altra parte, rispetto ad una procedura concorsuale o selettiva, in cui il bene perseguito è ontologicamente limitato (spettando solo ai vincitori e non agli altri concorrenti), va da sè che, in presenza di più candidati, il riconoscimento del fatto che, adempiendo regolarmente, si sarebbe ottenuto il posto perseguito, ha quale presupposto che il medesimo posto non spettasse ad altro concorrente, sicchè (pur non comportando la domanda, seppur fondata, l’effetto di far perdere il posto a chi lo abbia ottenuto, stante la natura meramente risarcitoria della pretesa ed essendo stato il posto ottenuto dalla ricorrente per altra via negli anni successivi) chi agisce è comunque onerato di dimostrare la prevalenza sugli altri candidati potenzialmente destinati a colmare le posizioni per le quali vi era capienza;

come detto, il parametro di certezza richiesto consegue ad un procedimento valutativo che deve chiudersi, pur a fronte della ricostruzione ipotetica di un evento mancato, non in forza di un giudizio meramente probabilistico, ma di certezza, per quanto pur sempre di natura processuale, destinata come tale a realizzarsi sulla base di criteri giuridico-convenzionali attinenti al riparto degli oneri probatori;

in osservanza dell’art. 2697 c.c., è del resto a carico di chi agisce la dimostrazione che, osservando i comportamenti dovuti, vi sia certezza di raggiungimento del risultato utile perseguito partecipando alla selezione, mentre è a carico di chi resiste la prova dei corrispondenti fatti impeditivi, estintivi e modificativi;

con la conseguenza, guardando infine all’art. 2697 c.c. come regola di giudizio, che i fatti ignoti necessari ad avallare la prova di cui è onerato chi agisce (tra i quali ad es., per quanto riguarda una graduatoria, quello per cui chi lo precede si sarebbe per qualsiasi ragione ritirato; sul punto v. più ampiamente infra), se infine incerti, si hanno per non verificati;

così come, di converso, i fatti che sarebbero idonei, pur una volta ottenuta la prova di cui è gravato chi agisce, ad impedire l’effetto perseguito (tra i quali, ad es., il manifestarsi di una qualche ragione di preferenza a favore di concorrenti che seguono nella graduatoria), se infine ignoti, sono giudizialmente da aversi per non verificatisi;

3.

venendo al caso di specie, va intanto considerata l’irrilevanza dei provvedimenti di posizionamento provvisorio “a pettine” assunti in sede di giurisdizione amministrativa prima della declinatoria in favore della giurisdizione ordinaria ed in forza dei quali vi era stata una provvisoria attribuzione del posto per il 2010, subito “accantonata”, ovverosia sospesa;

infatti, il giudizio di merito finale, una volta trasmigrato il processo dalla sede giurisdizionale amministrativa a quella ordinaria, non può che dipendere dalla fondatezza delle domande dispiegate, secondo le regole qui applicabili, sopra riepilogate ed ulteriormente articolate infra ed a prescindere dai provvedimenti interinali assunti in esito alle fasi svoltesi davanti al T.A.R.;

3.1.

ciò posto, seppure i ragionamenti in diritto della Corte territoriale non si discostano nella sostanza da quanto qui riepilogato, non può invece ritenersi corretto il criterio probatorio da essa impostato e infine sintetizzato nell’assunto secondo cui la ricorrente posizionata “in coda”, per dimostrare di avere diritto al posto, dovrebbe provare che, se inserita a pettine, “tra tutti i docenti esclusi, sarebbe stata la prima ad avere diritto all’immissione in ruolo in luogo dell’ultimo docente collocato con punteggio utile”;

essa, per dimostrare la certezza di un risultato utile, non aveva infatti bisogno di dimostrare la propria prevalenza su tutti gli esclusi, essendo viceversa sufficiente assolvere alla prova di resistenza sulla base della dimostrazione, secondo un criterio di capienza, che, inserendo lei stessa “a pettine”, insieme a tutti i docenti posizionati in coda e muniti di un punteggio superiore al suo, ciascuno, lei inclusa, si sarebbe collocato in una posizione ricompresa nel numero dei candidati poi prescelti;

3.2.

in concreto, i dati richiamati con il primo motivo di ricorso e consistenti nel fatto che, per il 2009, sono state assunte 15 persone, e che la A. si collocava in 52ma posizione di coda escludono certamente, come rilevato anche dalla Corte di merito ed a prescindere dal criterio erroneo poi da essa enunciato, che la ricorrente, per quanto avesse un punteggio superiore a tutti gli assunti, potesse, per quell’anno e secondo i parametri probatori come sopra ricostruiti, essere utilmente collocata anche se posizionata “a pettine”;

3.3.

neppure può valorizzarsi, come pretenderebbe la ricorrente, il c.d. criterio di vicinanza della prova, in ipotesi destinato a porre a carico del Ministero l’onere di dimostrare che altri candidati in posizione poziore non avessero rinunciato;

tale criterio verrebbe in evidenza rispetto alla possibilità che qualcuno dei candidati collocati “in coda” con punteggio superiore a quello del ricorrente, potesse rinunciare all’inserimento a pettine o comunque al posto alla medesima spettante;

anche a voler prescindere dal fatto che la parte privata ha certamente la possibilità di richiedere alla P.A., secondo la nota disciplina della L. n. 241 del 1990 sul diritto di accesso (art. 22 ss.), il rilascio dei documenti utili a verificare le posizioni altrui di interesse, in ogni caso la definizione del regime probatorio sull’aspetto qui in esame impone di considerare come la rinuncia degli altri candidati può trovare fondamento non solo nel fatto che i medesimi, partecipando a graduatorie di più province, potrebbero essere stati assunti altrove (angolazione rispetto alla quale effettivamente la P.A. ha contezza più diretta rispetto al fatto da dimostrare, attinente al suo complessivo procedere), ma anche nel fatto che i predetti avrebbero rinunciato per ragioni strettamente personali;

rispetto a quest’ultima ipotesi, come giustamente sottolineano i giudici di appello, il Ministero non ha alcuna prossimità con l’oggetto della prova, che, afferma con pregnanza la Corte territoriale, “riguarda semmai i terzi (eventualmente rinuncianti)”;

d’altra parte, il regime probatorio di un fatto giuridicamente unitario (ovverosia la rinuncia di altri candidati quale aspetto idoneo ad integrare il nesso causale tra inadempimento e danno di cui si chiede il ristoro in forma specifica) non può che essere parimenti unitario, sicchè, riguardando tali fatti un elemento costitutivo del diritto al risarcimento (ovverosia, come detto, il nesso causale tra inadempimento e danno), il corrispondente onere ultimo ricade, nell’applicazione della corrispondente regola di giudizio, sulla parte che agisce, come da principi dell’ordinamento processuale e sostanziale (v., in quest’ultimo senso, in tema di responsabilità sanitaria, Cass. 20 agosto 2018, n. 20812 e Cass. 7 dicembre 2017, n. 29315);

assetto che evidentemente non esclude la possibilità di perseguire tale prova, una volta allegato il verificarsi delle corrispondenti evenienze, anche mediante la richiesta di esibizione o acquisizione officiosa dei corrispondenti documenti (afferenti ad es. all’assunzione di altri pretendenti presso le graduatorie di altre province) di cui non si sia potuta avere concreta disponibilità ante causam, ma ciò afferisce a questione (contigua e purtuttavia) diversa da quella dell’applicazione della regola di chiusura di cui all’art. 2697 c.c. nell’ambito qui interessato, di cui consiste la censura formulata con il secondo motivo;

era quindi la ricorrente a dover dimostrare, con tutti i mezzi a disposizione ed eventualmente anche in via presuntiva, che coloro che la precedevano “in coda” avessero ottenuto posti altrove, acquisendone la conoscenza presso la P.A. o perseguendone l’acquisizione con gli appositi strumenti processuali oppure che, per qualsivoglia ragione, essi avrebbero rinunciato al proprio diritto;

avendo la Corte territoriale ritenuto che tale prova fosse mancata ed addossando alla ricorrente gli effetti (disconoscimento dl nesso causale tra adempimento e pregiudizio) di ciò, non vi è stata dunque alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., come infondatamente denunciato con il secondo motivo;

4.

per quanto riguarda l’anno successivo, si deve considerare che sono state assunte 31 persone e che 15 “di coda” avrebbero dovuto essere già chiamate per il 2009 (in quanto posizionate al di sopra della A. e quindi a maggior ragione anch’esse munite di punteggio superiore a tutti gli assunti di quella prima annata);

sulla base di tali dati e della posizione (46ma) assunta della ricorrente nella graduatoria “di coda”, è chiaro che, avendo sempre tutte le persone di coda fino alla A. un punteggio superiore a quello delle persone assunte, quanto meno rispetto all’ultimo posto i criteri probatori delineati avrebbero potuto portare ad un utile collocazione;

infatti, detraendo le quindici persone che, se la P.A. avesse osservato i comportamenti dovuti, avrebbero dovuto essere collocate per il 2009, la posizione della A. sarebbe divenuta la 31ma;

nè può valere la considerazione che, affinchè la A. potesse essere utilmente collocata per il 2010, era necessario risultasse che i 15 aventi diritto “di coda” del 2009 fossero effettivamente da sottrarre dalle graduatorie del 2010 perchè attivatisi rispetto all’assunzione nel primo dei due anni;

a parte il fatto che le graduatorie 2009/2010 (per i due anni scolastici da esse coperti), afferendo ad un unico bando biennale, appaiono da riferire ad un’inscindibile vicenda giuridica in cui le conseguenze dell’inadempimento vanno parimenti valutate unitariamente, in ogni caso non si può ritenere, come accadrebbe ove si imponesse alla ricorrente una tale dimostrazione per la prova di resistenza relativa al 2010, che la P.A. si possa giovare, sotto il profilo del riparto degli oneri probatori, del suo stesso inadempimento;

pertanto, anche per quanto riguarda il giudizio di alta probabilità logica, di cui consiste l’apprezzamento della decisività ex art. 360 c.p.c., n. 5, non si può ritenere che, dai 45 candidati “di coda” che precedevano la A. nel 2010, non si debbano detrarre i 15 che avevano diritto all’assunzione nel 2009;

così facendo però, come detto, la A., sulla base dei dati forniti con il ricorso per cassazione e provenienti dal giudizio di merito, si collocherebbe al 31m posto “di coda” su 31 posti infine assegnati per quel secondo anno scolastico, ma con punteggio, per tutti quei 31, superiore a quello degli assunti in ruolo e quindi con esito favorevole della prova di resistenza;

5.

in definitiva sussiste il denunciato errore motivazionale derivante dall’omesso esame in concreto dei dati delle graduatorie ed assunzioni, perchè i dati forniti dalla ricorrente evidenziano, rispetto all’anno 2010, una volta coniugati con le regole probatorie qui delineate, un’alta probabilità logica di un diverso risultato e quindi integrano il necessario requisito di “decisività”;

vanno altresì formulati i seguenti principi:

– “il criterio di vicinanza della prova, quale mezzo di definizione della regola finale di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., non può operare allorquando l’interessato abbia la possibilità, secondo le regole di cui al diritto di accesso agli atti della P.A. o eventualmente sulla base degli strumenti processuali a tal fine predisposti dall’ordinamento, di acquisire la documentazione necessaria a suffragare le proprie ragioni; in ogni caso, il criterio di vicinanza neppure può essere richiamato qualora il fatto rimasto ignoto e destinato ad integrare uno degli elementi costitutivi del diritto azionato, quale è, in ambito di responsabilità contrattuale, il nesso causale tra inadempimento e danno, risulti integrato da più possibili evenienze concrete che risultino, anche solo per taluna di esse, estranee alla sfera di conoscenza della parte di cui si prospetta la prossimità rispetto alle circostanze rilevanti”;

– “nel valutare il nesso causale rispetto ad un’azione di risarcimento del danno a titolo contrattuale non possono operare a favore della parte inadempiente, dal punto di vista probatorio, evenienze che scaturiscono dal suo stesso inadempimento, dovendosi apprezzare tale nesso, secondo un giudizio prognostico ex ante, sulla base di quanto sarebbe accaduto e della complessiva situazione dedotta in giudizio, ove l’inadempimento non vi fosse stato”;

5.1.

i primi due motivi vanno dunque accolti, limitatamente all’anno scolastico 2010/2011, mentre il terzo motivo va rigettato, in quanto non è vero che la Corte territoriale non abbia pronunciato, violando l’art. 112 c.p.c., sulla pretesa subordinata di rideterminazione delle operazioni finalizzate alla stipula dei contratti a tempo indeterminato, in quanto tale domanda, come risulta dalle stesse conclusioni assunte, constava nella rettifica appunto di tali graduatorie, ovverosia nel loro rifacimento, rispetto al quale la Corte territoriale ha ritenuto di ravvisare un difetto di legittimazione attiva e dunque, corretta o errata che sia da considerare tale statuizione, non può dirsi sussistente la denunciata omissione di pronuncia;

6.

la sentenza di appello va dunque cassata in relazione ai primi due motivi, respinto il terzo e la causa va rimessa alla medesima Corte territoriale, la quale procederà a nuovo esame della controversia, facendo applicazione dei criteri logici qui delineati e verificando, rispetto alla domanda principale, se, sulla base di una disamina dei dati istruttori nella loro completezza, ne resti confermata o meno l’utile collocazione in graduatoria della ricorrente per le assunzioni dell’anno 2010/2011, con quanto a ciò consequenziale rispetto alle domande ancora in contenzioso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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