Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12490 del 17/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 12490 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 24794-2012 proposto da:
PORROVECCHIO

SALVATORE

C. E.

PRRSVT47R02F377K,

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO
GARILLI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
809

contro

AMAT PALERMO S.P.A. C.F. 04797180827, in persona del
legale rappresentante pro tempore, domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA

Data pubblicazione: 17/06/2015

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
v

dall’avvocato TULLIO FORTUNA„ giusta delega in atti;

,

– controricorrente ..

avverso la sentenza n. 424/201Z, della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 24/0d/2012 R.G.N. 176/2011;

udienza del 17/02/2015 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;

udito l’Avvocato FORTUNA TULLIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA / che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

.,s

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

,.
Udienza del 17 febbraio 2015 — Aula 13
n. 16 del ruolo —RG n. 24794112
Presidente: Roselli – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata conferma la sentenza del Tribunale di Palermo n.
377/2010, di rigetto del ricorso di Salvatore Porrovecchio — già dipendente dell’AMAT PALERMO
s.p.a. — volto all’annullamento del provvedimento di destituzione comunicatogli il 25 novembre
2005, con conseguente reintegrazione e pagamento delle retribuzioni maturate.
La Corte d’appello di Palermo, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il lavoratore è stato sottoposto a procedimento penale e sospeso dal servizio, fin dal 9
novembre 1996, per il reato di furto continuato di “notevoli quantitativi” di carburante, commesso,
di notte e in concorso con altri, in danno dell’AMAT, effettuato mediante aspirazione dei serbatoi
degli autobus parcheggiati nel piazzale antistante i locali aziendali di via Roccazzo in Palermo;
b) dopo l’emissione della sentenza penale di condanna di primo grado (27 gennaio 2001) il
lavoratore è stato sottoposto a procedimento disciplinare iniziato il 22 febbraio 2001, con la relativa
lettera di contestazione degli addebiti;
c) il successivo 27 febbraio 2001 il Porrovecchio ha reso le proprie giustificazioni, facendo
anche presente di aver proposto appello avverso la sentenza di condanna di primo grado e
chiedendo la sospensione del procedimento disciplinare fino alla definizione del giudizio;
d) con nota del 15 marzo 2001, l’Azienda ha comunicato al lavoratore “l’opinamento di
destituzione” e lo ha informato della facoltà di chiedere la pronuncia del Consiglio di disciplina,
facoltà che l’interessato ha esercitato il 13 aprile 2001;
e) il 7 novembre 2005 il suddetto Consiglio di disciplina ha deliberato la destituzione, dando
atto che la sentenza di condanna di primo grado era stata confermata dalla Corte d’appello di
Palermo (sentenza n. 381 del 3 febbraio 2003);
f) detto questo, deve essere dichiarato infondato il primo motivo di censura, con il quale il
lavoratore sostiene l’implicita abrogazione della normativa disciplinare di cui al r.d. n. 148 del 1931
per effetto dell’entrata in vigore della disciplina limitativa dei licenziamenti di cui alle leggi n. 604
del 1966 e n. 300 del 1970;
g) tale tesi è, infatti, smentita dalla consolidata giurisprudenza di legittimità e dalla
giurisprudenza amministrativa dalle quali non vi è motivo di discostarsi;

,.,

h) né appare poter portare ad un diverso risultato la sentenza delle Sezioni Unite 13 gennaio
2005, n. 460 — che è l’unico supporto alla tesi del Porrovecchio — in quanto tale sentenza ha risolto
una questione di giurisdizione, affermando che sin dall’operatività della disposizione originaria
i

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

i) è da respingere anche la censura relativa al presunto difetto di specificità della
contestazione, in quanto, nella lettera di contestazione degli addebiti, l’Azienda ha richiamato
espressamente la sentenza penale di condanna, che era stata trasmessa dallo stesso lavoratore alla
datrice di lavoro e ha invitato il dipendente a presentare le proprie giustificazioni, la cui assoluta
pertinenza ai fatti addebitati dimostra che la contestazione ha raggiunto il proprio scopo;
1) infondata è anche la censura di pretesa violazione del principio di irnmediate77a del
licenziamento, in quanto l’allungamento dei tempi è dipeso dalle difficoltà riscontratesi nella
nomina del nuovo Consiglio di disciplina, per i dubbi espressi dall’Assessorato Regionale del
Lavoro in ordine alla persistenza della normativa in materia;
m) è, quindi, evidente che l’intervallo temporale tra contestazione disciplinare e destituzione
non può essere considerato come un sintomo della mancanza di interesse dell’AMAT ad esercitare
la propria facoltà di recesso, avendo l’Azienda, invece, dimostrato da sempre di considerare i fatti
addebitati come incompatibili con la prosecuzione del rapporto;
n) quanto alla pretesa inosservanza dell’art. 54 del r.d. n. 148 del 1931, va precisato che il
termine ivi previsto per la convocazione del Consiglio di disciplina, nel silenzio della legge, non
può considerarsi perentorio;
o) d’altra parte, è priva di oggettiva lesività la mancata assegnazione del termine di cui
all’ultimo comma dell’art. 56 del r.d. n. 148 del 1931, in quanto tale assegnazione presuppone lo
svolgimento di indagini da parte dell’Azienda, mentre nella presente fattispecie tali indagini non
sono state effettuate, avendo l’AMAT ha recepito l’accertamento eseguito in sede penale;
p) infme non può dubitarsi della proporzionalità della destituzione, data la estrema gravità dei
fatti commessi dal Porrovecchio.
2.— Il ricorso di Salvatore Porrovecchio domanda la cassazione della sentenza per sette
motivi; resiste, con controricorso, AMAT PALERMO s.p.a.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I — Sintesi dei motivi di ricorso

1.— Il ricorso è articolato in sette motivi, con i quali, in sintesi, si formulano le seguenti
censure:
1) con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
dell’art. 15 delle preleggi e dell’art. 102, lett. b), del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, nonché dell’art.
2106 cod. civ. e dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, asserito mancato rispetto del principio di

2

dell’art. 68 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, le controversie in materia di sanzioni disciplinari per
gli addetti al servizio pubblico di trasporto in concessione, attribuite al giudice amministrativo
dall’art. 58 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A), appartengono alla cognizione del giudice
ordinario, stante l’implicita abrogazione per incompatibilità, con la indicata normativa della
persistente giurisdizione del giudice amministrativo prefigurata dal citato art. 58;

specificità della contestazione e di quello di immediatezza del recesso, sulla premessa dell’avvenuta
abrogazione implicita della normativa disciplinare di cui al r.d. n. 148 del 1931;

3) con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevandosi che la Corte d’appello
si è limitata ad affermare che la contestazione disciplinare era completa e idonea a raggiungere il
proprio scopo, ma nulla ha detto sulla diversa questione — ritualmente proposta fin dal primo grado
— del mancato rispetto dell’obbligo di motivazione nel provvedimento di destituzione;
4) con il quarto motivo si denuncia violazione della legge n. 241 del 1990, si torna sul
mancato rispetto dell’obbligo di motivazione, precisandosi che la Azienda aveva l’obbligo di
spiegare le ragioni per le quali la condanna penale impediva la prosecuzione del rapporto di lavoro;
5) con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
dell’art. 54 del r.d. n. 148 del 1931, sull’assunto della erroneità della configurazione come non
perentori dei termini previsti dalla suddetta norma per la convocazione del Consiglio di disciplina,
come effettuata dalla Corte palermitana, che ha anche soggiunto che il mancato rispetto di tali
termini è ininfluente ai fini della legittimità del recesso;
6) con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
dell’art. 56 del r.d. n. 148 del 1931, contestando la affermazione della Corte territoriale sulla
irrilevanza, nella specie, della mancata assegnazione del termine prescritto, in conseguenza della
mancata effettuazione di atti di indagine da parte dell’AMAT, che ha recepito l’accertamento
eseguito in sede penale;
7) con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, per asserita erroneità del mancato annullamento della
destituzione, con le relative conseguenze.

Il — Esame delle censure
2.- I motivi di ricorso — da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione — non
sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
3.- Quanto alla formulazione delle censure va rilevato che — nonostante il formale richiamo
alla violazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. sia presente soltanto nella intestazione del terzo
motivo — tuttavia, la maggior parte delle doglianze si risolve in una denuncia di vizi di motivazione
della sentenza impugnata, impropriamente prospettata per errata valutazione del materiale
probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti e quindi finisce con l’esprimere un mero,
quanto inammissibile, dissenso rispetto alle motivate valutazioni di merito delle risultanze
probatorie di causa effettuate dalla Corte d’appello, amiché sotto il profilo della scorrettezza
giuridica e della incoerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito.
3

2) con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
dell’art. 2119 cod. civ., si ribadisce la sopravvenuta illegittimità del Consiglio di disciplina, con
conseguenza della sostenuta abrogazione dell’art. 58 del r.d. n. 148 del 1931, e si sostiene che il
lungo tempo (circa quattro anni) intercorso tra l’opinamento di destituzione e la destituzione stessa
deporrebbe nel senso della ritenuta insussistenza della giusta causa di recesso, da parte dell’AMAT;

Oltretutto, con riguardo a tutte le questioni attinenti la lettura della contestazione disciplinare
e del provvedimento di destituzione, non risulta neppure rispettato il principio di specificità dei
motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure
attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice
onere di cui all’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. e all’art. 369, n. 4, cod. proc. civ. (vedi, per tutte: Cass.
SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

4.- Tutte le restanti censure muovono dalla contestazione della affermazione della Corte
d’appello secondo cui è da escludere l’implicita abrogazione della normativa disciplinare di cui al
r.d. n. 148 del 1931 per effetto dell’entrata in vigore della disciplina limitativa dei licenziamenti di
cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970, come ritenuto dalla consolidata giurisprudenza di
legittimità e dalla giurisprudenza amministrativa e non smentito dalla sentenza delle Sezioni Unite
13 gennaio 2005, n. 460, che è l’unico precedente cui fa riferimento il Porrovecchio.
Ebbene la suddetta statuizione della Corte palermitana — supportata da congrua e logica
motivazione — appare del tutto corretta essendo condivisibile quanto si legge nella sentenza
impugnata a propOsito della finalizzazione della suindicata sentenza delle Sezioni Unite alla sola
risoluzione della annosa questione della persistente attribuzione alla giurisdizione amministrativa
delle controversie in materia di sanzioni disciplinari per gli addetti al servizio pubblico di trasporto
in concessione, ai sensi dell’art. 58 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A), con l’affermazione
del principio secondo cui, sin dall’operatività dell’alt. 68 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nella
sua originaria versione, tali controversie appartengono alla cognizione del giudice ordinario, stante
l’implicita abrogazione per incompatibilità con la indicata normativa, della persistente giurisdizione
del giudice amministrativo contemplata nel citato art. 58.
Le Sezioni Unite — a fronte della complessità della questione e dell’intervento di diverse
ordinanze della Corte costituzionale nelle quali era stata affermata la permanenza della
giurisdizione amministrativa in base alle previsioni dell’art. 58 (Corte cost., ord. n. 439 del 2002,
che richiama, tra le altre, l’ordinanza n. 161 del 2002 nonché ord. n. 301 del 2004) oltre che di
pronunce della stessa giurisprudenza di legittimità in tal senso — sono pervenute alla suindicata
conclusione con ampia motivazione, peraltro finalizzata ad affermare l’intervenuta estensione della
giurisdizione ordinaria alle controversie concernenti tutti i momenti e gli aspetti del rapporto di
lavoro degli autoferrotranvieri, al fine di restituire coerenza al sistema almeno dal punto di vista
processuale, in applicazione anche di quanto stabilito nella sentenza della Corte costituzionale n.
204 del 2004, ove — nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 1 del d.lgs. n. 80
del 1998 in materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo — il Giudice delle leggi ha
precisato che, tra le controversie in materia di pubblici servizi, sono tuttora devolute alla
giurisdizione amministrativa, quelle nelle quali l’amministrazione pubblica agisce esercitando il suo
potere autoritativo, oppure utilizza strumenti negoziali sostitutivi del potere autorizzativo stesso.
Al tale ultimo riguardo, le Sezioni Unite hanno, appunto, specificato come le controversie in
materia di provvedimenti disciplinari adottati da un’impresa di trasporti nei confronti dei propri
dipendenti non possano, all’evidenza, rientrare in alcuna delle suddette ipotesi, in quanto tali
4

Tale situazione impedisce, pertanto, a questa Corte l’esame nel merito del primo, del terzo,
del quarto e del sesto motivo, che sono da considerare inammissibili.

,

provvedimenti sono la manifestazione di un potere contrattuale esercitato in posizione paritaria, non
dissimile da quello proprio di qualunque altro datore di lavoro privato.

E ciò non può che confermare l’esattezza della interpretazione offerta dalla Corte palermitana
alla suindicata sentenza, esattezza avvalorata dalle numerose decisioni di questa Corte successive,
nelle quali è stato affermato il persistente vigore del r.d. n. 148 del 1931, per quanto riguarda le
sanzioni disciplinari (vedi, per tutte: Cass. 11 marzo 2013, n. 5958; Cass. 6 marzo 2013, n. 5551;
Cass. 22 maggio 2009, n. 11929), sia pure con alcune limitazioni, che non riguardano la presente
fattispecie, come si dirà più avanti.
6.- A quanto si è detto va aggiunto che, in seguito alla entrata in vigore dell’art. 102, comma
1, lett. b), del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, si è effettivamente posta la questione della totale
soppressione, o meno, dei Consigli di disciplina, in relazione alla corretta interpretazione degli artt.
54-58 del r.d. n. 148 del 1931, in combinazione con la nuova disposizione (vedi: Consiglio di Stato,
sez. Il – Parere 19 aprile n. 453/2000).
E tale questione, tra molte incertezze, è stata risolta nel senso della persistenza dei suindicati
Consigli di disciplina per la generalità delle aziende di trasporto, salvo che per le gestioni
governative, i cui Consigli sono stati considerati soppressi dall’art. 102, comma 1, lett. b), cit.
Ne consegue che, del tutto ragionevolmente, la Corte palermitana: 1) ha attribuito il protrarsi
dei tempi del procedimento disciplinare alle difficoltà riscontratesi nella nomina del nuovo
Consiglio di disciplina, derivanti dai dubbi espressi dall’Assessorato Regionale del Lavoro in ordine
alla persistenza della normativa in materia (situazione verificatasi in molte Regioni, per i motivi di
cui si è detto); 2) ha, quindi, escluso che l’intervallo temporale tra contestazione disciplinare e
destituzione potesse essere considerato come un sintomo della mancanza di interesse dell’AMAT ad
esercitare la propria facoltà di recesso, tanto più che è pacifico che l’Azienda, abbia, invece,
dimostrato da sempre di considerare i fatti addebitati come incompatibili con la prosecuzione del
rapporto di lavoro.
7.- Del pari ragionevole e conforme ai principi generali dell’ordinamento deve considerarsi la
statuizione della Corte territoriale secondo cui l’art. 54 del r.d. n. 148 del 1931, nella parte in cui
stabilisce che “il Consiglio di disciplina è convocato dal presidente entro 15 giorni dalla, domanda
della parte interessata; ove alla prima convocazione non si presentino tutti i suoi componenti, il
presidente in dice una nuova riunione entro i successivi quindici giorni”, senza attribuire carattere
perentorio ai suddetti termini, deve essere inteso nel senso che essi hanno carattere ordinatorio.

5

5.- Nella sentenza stessa le Sezioni Unite hanno sottolineato come, oltre al riparto di
giurisdizione in materia disciplinare, la “disomogeneità” o “incoerenza” del sistema in argomento —
• più volte rilevate dalla giurisprudenza e dalla dottrina — riguarda l’intero rapporto di lavoro, che
risulta “ancora disciplinato da un corpus di norme che sembra aver resistito a qualunque riforma e
modificazione, pur notevole, intervenuta nel nostro ordinamento giuridico dal lontano 1931 (il
codice civile, la Costituzione, la privatizzazione del pubblico impiego, per citare le tappe più
rilevanti)”.

noto, infatti, che, in assenza di una espressa previsione in tal senso, vanno evitate
interpretazioni formalistiche delle norme di tipo procedurale (arg. ex Cass. 11 settembre 2014, n.
19203).

Pertanto, come esattamente rilevato nella sentenza impugnata, non avendo nella specie
l’Azienda fatto applicazione del citato art. 53 — per avere l’AMAT recepito l’accertamento eseguito
in sede penale — non poteva venire in considerazione l’assegnazione del termine di cui all’ultimo
comma dell’art. 56 cit.
9.- Da ultimo va soggiunto — con riguardo alla violazione dell’art. 18 della legge n. 300 del
1970, dedotta nel settimo motivo — che si tratta di una censura, nella specie, infondata, perché, in
base alla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte, la procedura di irrogazione delle
sanzioni disciplinari degli autoferrotranvieri è tuttora regolata dalla normativa speciale costituente
un “corpus” compiuto ed organico di cui al r.d. n. 148 del 1931, non derogato dalle leggi generali
successive relative al lavoro privato, mentre il ricorso alla normativa ordinaria prevista per la
irrogazione delle sanzioni disciplinari nel rapporto di lavoro regolato dal diritto privato è
considerato possibile soltanto ove si riscontrino nella suddetta normativa speciale lacune tali che
non siano superabili neanche attraverso l’interpretazione estensiva o analogica di altre disposizioni
appartenenti allo stesso “corpus” o relative a materie analoghe o secondo i principi generali
dell’ordinamento (Cass. 6 marzo 2013, n. 5551; Cass. 10 luglio 2012, n. 11547).
Ipotesi, quest’ultima, che per quel che si è detto, non si verifica nella presente fattispecie, la
quale trova la sua completa disciplina nel suddetto r.d. n. 148 del 1931, come affermato nella
sentenza impugnata.
10.- Alle indicate considerazioni consegue l’infondatezza del secondo, quarto e settimo
motivo.

III Conclusioni

11.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione —
‘ liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza.
-:
4
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 4000,00
(quattromila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 17 febbraio 2015.

8.- Altrettanto corretta si deve considerare l’interpretazione effettuata dalla Corte territoriale
dell’art. 56, ultimo comma, del r.d. n. 148 del 1931. Tale disposizione, infatti, testualmente viene in
epinsiderazione soltanto nel caso in cui sia necessario garantire all’incolpato una idonea difesa
-fispetto alle indagini e alle constatazioni necessarie per l’accertamento dei fatti costituenti le
mancanze disposte dall’Azienda ai sensi del precedente art. 53 (vedi, primo comma dell’art. 56).

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