Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12489 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/06/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 24/06/2020), n.12489

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9125-2014 proposto da:

F.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

e contro

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER L’EMILIA PIEMONTE, AMBITO

TERRITORIALE DI TORINO, G.G., GA.LU.,

C.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1146/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 10/01/2014 R.G.N. 1256/2012.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.

F.S., iscritto nelle graduatorie ad esaurimento della provincia di Siracusa, presentò, per l’anno scolastico 2009/2010, domanda di iscrizione per la provincia di Torino, venendo collocato “in coda”, ovverosia successivamente a chi già precedentemente era iscritto in quelle graduatorie, in 5 posizione; analogamente, anche per l’anno 2010/2011, egli fu collocato “in coda”;

tale posizionamento era stato disposto dall’Amministrazione Scolastica sulla base di decreto (e successiva nota) in tal senso del direttore generale del Ministero della Pubblica Istruzione;

i predetti atti erano stati poi annullati dal T.A.R. del Lazio e il F., sulla base di tale pronuncia, aveva adito a propria volta il giudice amministrativo al fine di ottenere l’annullamento dei provvedimenti, tra cui un successivo D.M. n. 42 del 2009, con i quali era stato disposto il suo posizionamento “in coda” nelle graduatorie 2009/2010;

era quindi sopraggiunto il D.L. n. 134 del 2009 che, all’art. 1, comma 4-ter, aggiunto dalla legge di conversione n. 167 del 2009, aveva stabilito, con norma di interpretazione autentica della L. n. 296 del 2006 e successive modificazioni, art. 1, comma 605, lett. c) il collocamento “in coda” per i bienni 2007-2008 e 2008-2009, con superamento di tale limitazione solo a partire dalle graduatorie del biennio 2011/2013;

il T.A.R. del Lazio aveva quindi proposto questione di legittimità costituzionale di tale sopravvenuta normativa di legge, che era stata accolta da Corte Costituzionale 41/2011, la quale aveva affermato che la predetta disciplina risultava “eccentrica, rispetto alla regola dell’inserimento “a pettine” dei docenti nelle graduatorie, vigente non solo nel periodo anteriore, ma persino in quello posteriore all’esaurimento del biennio in questione” e non era dunque in grado di “superare il vaglio di costituzionalità… con riguardo al carattere non irragionevole che le disposizioni primarie debbono rivestire”, collidendo altresì con il “rispetto del principio del merito e, quindi, con il riconoscimento del punteggio e della posizione attribuiti al singolo docente nella graduatoria di provenienza”;

nelle more, al F., nell’agosto 2011, è stato attribuito, ma poi “accantonato” in attesa dell’esito del contenzioso, un posto di ruolo con effetti retrodatati al 2010;

quindi, in esito alla formulazione delle graduatorie per il biennio 2011/2013, al ricorrente è stato assegnato un posto di ruolo, con decorrenza 1.9.2011;

il giudizio promosso dal F. davanti al T.A.R. è stato nel frattempo definito con declinatoria della giurisdizione in favore del giudice ordinario, che veniva quindi adito dal ricorrente;

presso il giudice del lavoro il F. chiedeva, in via principale, la condanna del Ministero al riconoscimento della decorrenza giuridica ed economica dell’assunzione a tempo indeterminato dal 1.9.2009 (anno 2009/2010) o in subordine dal 1.9.2010 oppure, in via ulteriormente subordinata, la condanna del Miur alla rettifica integrale delle graduatorie ad esaurimento per le annate di riferimento al fine della conseguente corretta individuazione degli aventi diritto ai contratti a tempo indeterminato;

la domanda principale è stata accolta dal Tribunale di Torino, con riconoscimento del diritto del ricorrente all’assunzione fin dal 1.9.2009, ma la sentenza è stata riformata dalla Corte d’Appello di Torino, con rigetto delle domande;

la Corte territoriale, pur ritenendo sussistente, in esito alla vicenda normativa sopra riepilogata, il diritto del F. all’inserimento “a pettine” nelle graduatorie fin dall’annata 2009/2010, riteneva che non sussistessero i presupposti probatori utili all’accoglimento della domanda principale, per non avere il ricorrente assolto al proprio onere probatorio in merito al fatto che, se vi fosse stato l’inserimento a pettine di tutti i docenti provenienti da altre province, egli si sarebbe collocato in posizione utile in relazione ai posti disponibili, oppure in merito al fatto che tutti i docenti “in coda” collocati in posizione migliore della sua non avessero più interesse, per rinuncia o altre ragioni, al collocamento” a pettine”, per quella classe di concorso;

veniva rigettata anche la domanda subordinata di rifacimento integrale delle graduatorie, sostenendo i giudici di appello che tale pretesa esulasse dalla legittimazione attiva del ricorrente, in quanto la pretesa riguardava diritti soggettivi altrui, con limite – a dire della Corte – non superabile attraverso chiamata in causa o integrazione del contraddittorio nei riguardi degli altri interessati;

2.

avverso la sentenza il F. ha proposto due motivi di ricorso per cassazione, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso del Ministero;

Ga.Gi., G.G. e C.L., già parti del giudizio di merito, quali ultimi docenti assunti nelle graduatorie, sono rimasti intimati.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.

con il primo motivo il F. adduce l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, sul presupposto che la Corte territoriale non abbia considerato i suoi punteggi e quelli dei docenti assunti, quali allegati fin del primo grado di giudizio, dai quali emergeva come fossero stati immessi in ruolo, nel 2009, 38 docenti muniti di punteggio inferiore al suo, pur collocandosi egli nella quinta posizione di coda, così come nel 2010 (comprendendo anche gli assunti nel 2011 con retrodatazione al 2010) erano stati assunti 85 docenti sempre con punteggi inferiori;

con il secondo motivo il ricorrente afferma invece la violazione dell’art. 2697 c.c., in combinato disposto con l’art. 1175 c.c., art. 1176 c.c., comma 2 e art. 1375 c.c. e art. 88 c.p.c. e l’erronea qualificazione quali fatti costitutivi di fatti, quali la mancata rinuncia al posto del personale collocato “in coda” in posizione migliore della sua, che avevano in realtà natura di eventuali fatti impeditivi o estintivi del diritto del ricorrente, con conseguente violazione della regola sull’onere della prova, anche in ragione del principio della c.d. “vicinanza” di essa;

2.

i due motivi, qualificabili come censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (primo motivo) ed ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (secondo motivo) vanno esaminati congiuntamente, stante la loro connessione;

3.

come rilevato espressamente dalla Corte territoriale il diritto del F. all’inserimento “a pettine” non è più in discussione in causa, sicchè può affermarsi che risulta definitivamente acclarato l’inadempimento della P.A. rispetto agli obblighi a suo carico per la conduzione delle immissioni in ruolo sulla base delle graduatorie permanenti;

3.1.

l’azione gradatamente dispiegata dal F. ha una duplice natura, qualificandosi essa, nella formulazione principale, come domanda di risarcimento del danno in forma specifica, volta ad ottenere la condanna a riconoscere gli effetti favorevoli perduti a causa dell’inadempimento del Ministero agli obblighi derivanti dalla normativa sulle assunzioni nella scuola e consistendo, in ipotesi subordinata, nella richiesta di adempimento ai medesimi obblighi, attraverso la riformulazione in forme legittime della graduatoria, che è l’attività di cui consiste l’obbligo assunto come violato;

nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 9 gennaio 2019, n. 268, nonchè, in tema di promozioni interne, Cass. 22 ottobre 2019, n. 26966) a fronte di procedure selettive nel rapporto di lavoro si riconosce, a chi si dolga della violazione delle regole che il datore è tenuto ad osservare, sia la pretesa all’adempimento, sia quella al risarcimento del danno, quest’ultima esercitabile anche in forma specifica, essendo da tempo pacifico che tale rimedio sia parimenti ammesso in ambito di inadempimento di obbligazioni e dunque di responsabilità contrattuale (Cass. 2 luglio 2010, n. 15726; Cass. 30 luglio 2004, n. 3004);

3.2.

la domanda di adempimento, finalizzata ad imporre alla P.A. di fare quello che era obbligata a fare e non ha correttamente fatto, può consistere nella richiesta di condanna alla ripetizione delle operazioni invalidamente condotte (Cass. 268/2019 cit.) o in altre analoghe richieste idonee al ripristino della legalità lesa (ad es., richiesta di attribuzione di un dato punteggio dapprima disconosciuto, che inevitabilmente comporta il rifacimento della graduatoria: v. Cass. 21 novembre 2019, n. 30425; Cass. 9 novembre 2018, n. 28766);

l’azione di adempimento è anzi l’unica esercitabile ove si persegua il posto perduto, perchè ciò comporta necessariamente la perdita del medesimo posto in capo a chi viceversa lo ha ottenuto in esito alla stessa procedura;

in caso di azione di adempimento, proprio perchè si determinano effetti verso altri, il processo è inoltre destinato a svolgersi necessariamente con la partecipazione dei controinteressati (Cass. 30425/2019; Cass. 28766/2018, citt.);

3.3.

la domanda di risarcimento del danno in forma specifica non pone invece alcun problema di estensione del contraddittorio, in quanto essa è destinata solo al riconoscimento giuridico di determinati effetti, idonei a rimediare al pregiudizio cagionato, ed è priva di portata costitutiva, non attribuendo, in luogo di altri, quel determinato posto, ma soltanto dichiarativa (ove si manifesti con l’affermazione tout court del diritto a quegli effetti) o condannatoria (ove si imponga alla P.A. di procedere, nelle forme più idonee, alla mera assicurazione di quegli effetti);

3.4.

la domanda finalizzata al risarcimento in forma specifica è diversa poi da quella di risarcimento della perdita di chance riconnessa ad illegittimità commesse nell’ambito di procedure selettive o concorsuali;

il risarcimento per perdita di chance, in tale ambito, ha per oggetto la perdita della mera possibilità di conseguire un dato risultato utile (v. Cass. 29 maggio 2018, n. 13483) ed è propria delle selezioni che si basino su valutazioni discrezionali, di idoneità o di merito, non ripetibili in sede giudiziale, per la spettanza esclusiva di esse a chi sia preposto alla loro conduzione, sicchè è giustificato soltanto il rifacimento totale (domanda di adempimento) o appunto il ristoro per equivalente della perdita di chance (domanda di risarcimento);

la perdita di chance, per essere accolta, secondo costante orientamento di questa Corte, richiede poi la dimostrazione, anche presuntiva, ma in termini, almeno per quanto riguarda le procedure lato sensu selettive, di “elevate probabilità, prossime alla certezza” di ottenimento del risultato utile (Cass. 9 maggio 2018, n. 11165; Cass. 12 maggio 2017, n. 2017; Cass. 1 marzo 2016, n. 4014, ove si è fatto riferimento ad una probabilità del 90%) e, in caso positivo, consente il riconoscimento del diritto su base equitativa calcolata tenendo conto, in abbattimento rispetto al valore del risultato perseguito e non ottenuto, del grado di probabilità che è stato leso dall’illecito nel caso concreto (Cass. 13483/2018 cit.; Cass. 15 marzo 1996, n. 2167);

3.5.

il risarcimento in forma specifica, a differenza del risarcimento per equivalente della chance perduta, ha invece ad oggetto il riconoscimento degli effetti di un diritto che si assume spettasse pienamente e non la lesione della mera possibilità di perseguirlo e il giudizio va pertanto condotto secondo parametri di certezza e non di mera (e seppur alta) probabilità logica;

d’altra parte, rispetto ad una procedura concorsuale o selettiva, in cui il bene perseguito è ontologicamente limitato (spettando solo ai vincitori e non agli altri concorrenti), va da sè che, in presenza di più candidati, il riconoscimento del fatto che, adempiendo regolarmente, si sarebbe ottenuto il posto perseguito, ha quale presupposto che il medesimo posto non spettasse ad altro concorrente, sicchè chi agisce è comunque onerato di dimostrare la prevalenza sugli altri candidati potenzialmente destinati a colmare i posti per i quali vi era capienza;

il parametro di certezza richiesto consegue ad un procedimento valutativo che deve dunque chiudersi, pur a fronte della ricostruzione ipotetica di un evento mancato, non in forza di un giudizio meramente probabilistico, ma di certezza, per quanto pur sempre di natura processuale, destinata come tale a realizzarsi sulla base di criteri giuridico-convenzionali attinenti al riparto degli oneri probatori;

in osservanza dell’art. 2697 c.c., è del resto a carico di chi agisce la dimostrazione che, osservando i comportamenti dovuti, vi sia certezza di raggiungimento del risultato utile perseguito partecipando alla selezione, mentre è a carico di chi resiste la prova dei corrispondenti fatti impeditivi, estintivi e modificativi;

con la conseguenza, guardando infine all’art. 2697 c.c. come regola di giudizio, che i fatti ignoti necessari ad avallare la prova di cui è onerato chi agisce (tra i quali ad es., per quanto riguarda una graduatoria, quello per cui chi lo precede si sarebbe per qualsiasi ragione ritirato; sul punto v. più ampiamente infra), se infine incerti, si hanno per non verificati;

così come, di converso, i fatti che sarebbero idonei, pur una volta ottenuta la prova di cui è gravato chi agisce, ad impedire l’effetto perseguito (tra i quali, ad es., il manifestarsi di una qualche ragione di preferenza a favore di concorrenti che seguono nella graduatoria), se infine ignoti, sono giudizialmente da aversi per non verificatisi;

3.5.1.

va anzi precisato, per completezza di motivazione anche rispetto a quanto argomentato dalla Corte territoriale, che non può operare, nell’ambito qui in esame della domanda di risarcimento in forma specifica, il criterio di vicinanza della prova cui fanno riferimento le difese del ricorrente;

tale criterio viene in evidenza rispetto alla possibilità che qualcuno dei candidati collocati “in coda” con punteggio superiore a quello del ricorrente, potesse rinunciare all’inserimento a pettine o comunque al posto a lui spettante;

la definizione del regime probatorio su tale aspetto impone di considerare come la rinuncia degli altri candidati può trovare fondamento non solo nel fatto che i medesimi, partecipando a graduatorie di più province, potrebbero essere stati assunti altrove (angolazione rispetto alla quale effettivamente la P.A. ha contezza più diretta rispetto al fatto da dimostrare, attinente al suo complessivo procedere), ma anche nel fatto che i predetti rinuncino per ragioni strettamente personali;

rispetto a quest’ultima ipotesi, come giustamente sottolineano i giudici di appello, il Ministero non ha alcuna prossimità con l’oggetto della prova, che, afferma con pregnanza la Corte territoriale, “riguarda semmai i terzi (eventualmente rinuncianti)”;

d’altra parte, il regime probatorio di un fatto giuridicamente unitario (ovverosia la rinuncia di altri candidati quale aspetto idoneo ad integrare il nesso causale tra inadempimento e danno di cui si chiede il ristoro in forma specifica) non può che essere parimenti unitario, sicchè, riguardando tali fatti un elemento costitutivo del diritto al risarcimento (ovverosia, come detto, il nesso causale tra inadempimento e danno), il corrispondente onere ricade sulla parte che agisce, come da principi dell’ordinamento processuale e sostanziale (v., in quest’ultimo senso, in tema di responsabilità sanitaria, Cass. 20 agosto 2018, n. 20812 e Cass. 7 dicembre 2017, n. 29315);

assetto che evidentemente non esclude la possibilità di perseguire tale prova, una volta allegato il verificarsi di tali evenienze, anche in via presuntiva o altresì mediante la richiesta di esibizione o acquisizione officiosa dei corrispondenti documenti (afferenti ad es. all’assunzione di altri pretendenti presso le graduatorie di altre province) di cui non si sia potuta avere concreta disponibilità ante causam, ma ciò afferisce a questione (contigua ma) diversa da quella dell’applicazione della regola di chiusura di cui all’art. 2697 c.c. nell’ambito qui interessato;

4.

venendo al caso di specie si rileva come non sia più in gioco la domanda di adempimento, rigettata anch’essa dalla Corte territoriale e non fatta oggetto di motivi di impugnazione, mentre risulta ancora coltivata con il ricorso la domanda di risarcimento in forma specifica, con le connotazioni ed implicazioni giuridiche sopra esaminate;

sul punto l’affermazione della Corte territoriale in merito al fatto che il F. era onerato di dimostrare che, se vi fosse stato l’inserimento a pettine di tutti i docenti provenienti da altre province, egli si sarebbe collocato in posizione utile in relazione ai posti disponibili è in sè corretta, ma non si confronta con i dati concreti delle graduatorie considerate, prodotte agli atti e riportate in calce al ricorso per cassazione, con rimandi ad esse nell’ambito dell’argomentazione sviluppata;

4.1.

infatti, i dati richiamati con il primo motivo di ricorso e consistenti nel posizionamento del F. in una posizione elevata tra i candidati in coda (la quinta) con possesso da parte sua di un punteggio superiore a tutti i 38 assunti (tranne la prima, secondo quanto emerge dai documenti annessi al corpo del ricorso), pur se si considerino i due riservisti che sono indicati nei medesimi documenti, fanno ritenere con alta probabilità logica (utile ad integrare il parametro di decisività di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) che una valutazione concreta di essi sulla base di una prova di resistenza impostata in base ad un criterio di capienza, possano portare ad una soluzione diversa della controversia;

5.

in definitiva sussiste il denunciato errore motivazionale ed il ricorso deve essere pertanto accolto;

5.1.

la causa va dunque rimessa alla medesima Corte territoriale, la quale procederà dunque a nuovo esame della controversia e dei dati istruttori nella loro completezza, attenendosi altresì al seguente principio: “in tema di reclutamento dei docenti nella scuola pubblica, mediante concorso per soli titoli e secondo il sistema delle c.d. graduatorie ad esaurimento, il candidato non vincitore che successivamente abbia ottenuto, per altra via, l’immissione in ruolo e che sostenga di essere stato assunto a tempo indeterminato in ritardo a causa dell’inosservanza, da parte della P.A., di regole non discrezionali di formazione della graduatoria, può proporre domanda di risarcimento del danno in forma specifica, nel solo contraddittorio dell’Amministrazione, al fine di ottenere la condanna della predetta al riconoscimento della decorrenza giuridica del rapporto di lavoro sin dal momento del compimento delle originarie operazioni di selezione, a condizione che sia dimostrato, secondo criteri processuali di certezza, che lo svolgimento della procedura in osservanza delle regole violate avrebbe determinato l’esito positivo in suo favore”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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