Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12486 del 18/05/2017
Cassazione civile, sez. III, 18/05/2017, (ud. 28/02/2017, dep.18/05/2017), n. 12486
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 14794/2015 proposto da:
D.F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI
SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI,
rappresentato e difeso dall’avvocato DANILO LOMBARDI, giusta procura
a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
D.V.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA F. DE
LUCIA 1, presso io studio dell’avvocato ANDREA MIGLIORE,
rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO ANNUNZIATA, giusta
procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il provvedimento del TRIBUNALE di SIENA, depositata il
25/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
28/02/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;
udito l’Avvocato FANILO LOMBARDI;
udito l’Avvocato JUAN JOSE’ DI NICCO per delega.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Con il provvedimento impugnato, depositato il 14 aprile 2015, il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Siena ha dichiarato inammissibile, “perchè tardiva”, l’opposizione del debitore, D.F.G., qualificata come opposizione atti esecutivi, ed ha condannato l’opponente al pagamento delle spese processuali, senza assegnare il termine per l’introduzione del giudizio di merito sull’opposizione.
2. Avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione D.F.G. propone ricorso con tre motivi.
Resiste con controricorso D.V.L., già creditrice procedente.
Il Collegio ha raccomandato la motivazione semplificata.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Giova premettere, in punto di fatto, che il giudice dell’esecuzione ha qualificato come atto di riassunzione un’istanza di revoca di una precedente ordinanza di estinzione c.d. atipica (o, meglio, di improcedibilità) del processo esecutivo per espropriazione presso terzi, avanzata dalla creditrice D.V.L. ed ha disposto la comparizione delle parti; che, a seguito dell’istanza della creditrice e del conseguente provvedimento del giudice dell’esecuzione, il debitore esecutato ha proposto un’opposizione; che – non essendo qui rilevanti le vicende della fase svoltasi, per diverse udienze, dinanzi al giudice dell’esecuzione – il giudice, essendo controverso tra le parti se si trattasse di opposizione agli atti esecutivi (come sostenuto dalla creditrice) o di opposizione all’esecuzione (come sostenuto dal debitore), l’ha qualificata come opposizione agli atti esecutivi e l’ha reputata tardiva, per violazione del termine dell’art. 617 c.p.c..
Il provvedimento del g.e. che dichiara questa inammissibilità è qui impugnato con ricorso straordinario.
Questo è inammissibile perchè proposto avverso un provvedimento che non è definitivo nè decisorio, malgrado il giudice dell’esecuzione non abbia fissato il termine per l’inizio del giudizio di merito, come disposto dall’art. 618 c.p.c. e malgrado abbia condannato l’opponente al pagamento delle spese di lite.
La definitività è esclusa dalla possibilità di accesso del debitore qui ricorrente alla tutela a cognizione piena, per le ragioni di cui appresso:
– il giudizio di opposizione agli atti esecutivi è soggetto alla disciplina di cui agli artt. 617- 618 c.p.c., nel testo sostituito, con decorrenza dal 1 marzo 2006, dalla L. n. 52 del 2006; la seconda di tali norme prevede che il giudice dell’esecuzione fissa un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito, previa iscrizione a ruolo a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all’art. 163-bis c.p.c., o altri se previsti, ridotti della metà;
– la norma va letta in combinato disposto con l’art. 617 c.p.c. e con la prima parte dello stesso art. 618 c.p.c., che prevedono che sia il giudice dell’esecuzione a provvedere sull’istanza di sospensione del processo esecutivo ovvero di adozione di provvedimenti indilazionabili;
– il sistema di norme modificate dalla L. n. 52 del 2006, ha innovato rispetto al regime precedente, secondo il quale era lo stesso giudice dell’esecuzione che all’udienza disponeva la prosecuzione del giudizio (relativo all’opposizione agli atti esecutivi) con le forme della cognizione ordinaria;
– le nuove norme hanno escluso l’automatismo della prosecuzione con la cognizione piena; il giudice dell’esecuzione, dopo avere provveduto sull’istanza di sospensione, si limita a fissare un termine per l’introduzione della causa di merito ed è quindi rimesso all’iniziativa della parte interessata l’effettivo inizio di tale giudizio nel termine fissato.
Data siffatta ricostruzione sistematica, va qui ribadito che il provvedimento di fissazione del termine per l’inizio del giudizio di merito, concretandosi in una autorizzazione (peraltro dovuta ex lege) all’introduzione del giudizio di merito siccome ricollegato alla precedente fase sommaria e diretto anche alla discussione sugli eventuali provvedimenti sommari adottati in quella fase, si connota come provvedimento lato sensu istruttorio, cioè sull’ordine del procedimento (così, tra le tante, Cass. ord. n. 20532/2009 e n. 15630/2010).
Ne consegue che il vizio del provvedimento consistente nell’omessa concessione del termine in parola trova un rimedio nell’ordinamento, precisamente nell’art. 289 c.p.c., secondo il cui comma 1, i provvedimenti istruttori che non contengono la fissazione dell’udienza successiva o del termine entro il quale le parti debbono compiere gli atti processuali, possono essere integrati su istanza di parte o d’ufficio, entro il termine perentorio di sei mesi dall’udienza in cui i provvedimenti furono pronunciati, oppure dalla loro notificazione o comunicazione se prescritte.
Il ricorrente, dunque, avrebbe dovuto chiedere al giudice dell’esecuzione di integrare il provvedimento ai sensi dell’art. 289 c.p.c. e non ricorrere per cassazione.
Peraltro, in fattispecie quale quella oggetto della presente decisione, il ricorso al rimedio dell’art. 289 c.p.c., non è neppure obbligato, dal momento che lo stesso ricorrente, anche a prescindere dalla formulazione di un’istanza ai sensi dell’art. 289 c.p.c., avrebbe potuto iscrivere la causa di opposizione al ruolo contenzioso (cfr. Cass. ord. n. 20532/2009 cit. e numerose altre successive).
Alla stregua delle considerazioni di cui sopra è stato oramai definitivamente superato anche l’orientamento che consentiva il ricorso straordinario nell’ipotesi in cui il giudice dell’esecuzione avesse pronunciato condanna alle spese (come da Cass. ord. n. 22767/10, richiamata nel ricorso).
In proposito, non può che farsi integrale rinvio alla motivazione del precedente di questa Corte n. 22033/2011, che si è occupato funditus della questione (nonchè all’univoco conforme orientamento di questa Corte espresso, tra le più recenti, da Cass. ord. n. 25111/15 e ord. n. 12170/16). Appare qui sufficiente ribadire che, se è vero che il giudice dell’esecuzione ha definito, davanti a sè, il giudizio col provvedimento oggi impugnato, per contro, tale provvedimento, essendo stato emesso da un giudice investito di una cognizione sommaria e, pertanto, destinata a sfociare in provvedimenti ridiscutibili secondo le regole della cognizione piena e, dunque, del tutto provvisori, “non può acquisire una forza diversa a cagione della sua irritualità e, quindi, non può considerarsi definitivo dell’azione, nonostante che l’irritualità consista proprio nella chiusura illegittima del procedimento. Questa chiusura è essa stessa del tutto provvisoria e non definitiva” poichè riguarda solo la fase sulla quale il giudice doveva provvedere, in via appunto provvisoria, in vista della possibile evoluzione dell’azione con la cognizione piena.
Perciò, il ricorso va dichiarato inammissibile, senza che si possa procedere all’esame dei singoli motivi.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.300,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2017