Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12483 del 08/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/06/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 08/06/2011), n.12483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74,

presso lo studio dell’avvocato IACOBELLI GIANNI EMILIO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PANNONE OTTAVIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 719/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 25/05/2006 R.G.N. 797/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega OTTAVIO PANNONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Salerno, depositato in data 21.1.2004, S.A., assunta con contratto a tempo determinato dalla società Poste Italiane s.p.a. presso l’Ufficio Postale di (OMISSIS) dal 20.7.2000 al 30.9.2000 con la qualifica di “addetto al servizio recapito” a norma dell’art. 8 del CCNL del 26.11.1994 ed in particolare per la “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”, rilevava la illegittimità della apposizione del termine essendo, tra l’altro, del tutto inesistenti le esigenze di carattere straordinario o le”punte di più intensa attività stagionale”. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del suddetto termine apposto a rapporto di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza in data 8.7.2004 il Tribunale adito rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello la S. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Salerno, con sentenza in data 26.4 / 25.5.2006, rigettava il gravame.

In particolare la Corte territoriale, premesso che la L. n. 56 del 1987 all’art. 23 aveva introdotto una ulteriore ipotesi di contratto a termine, non prevista dalla L. n. 230 del 1962, art. 1, quale la sostituzione di un lavoratore assente per ferie, rilevava che tale ipotesi non soggiaceva alla indicazione del nome del lavoratore sostituito prescritta dalla legge citata, art. 1, lett. b), richiedendosi soltanto che l’assunzione ex art. 8 del CCNL fosse stata necessitata da esigenze di espletamento del servizio che non potessero venire soddisfatte in conseguenza delle assenze per ferie nel periodo giugno – settembre, e che le risultanze processuali evidenziavano, nella specie, l’effettività dell’esigenza sostitutiva posta a fondamento dell’assunzione a termine.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione S. A. con tre motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la società intimata.

Diritto

Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova e dell’ari 1362 c.c. per errata applicazione dell’art. 8 CCNL Poste 24.11.1994 e conseguente violazione della L. n. 320 del 1962, artt. 1, 2 e 3.

In particolare la ricorrente, premesso che era onere del datore di lavoro provare l’obiettiva esistenza delle condizioni che legittimavano l’apposizione del termine al contratto di lavoro, rileva che nulla aveva dedotto la società datoriale in ordine alla effettiva fruizione di ferie del personale in servizio presso l’ufficio postale in questione ed in ordine alla effettiva sostituzione del personale in ferie con personale a termine, nè aveva indicato il nominativo del lavoratore in ferie da sostituire.

Col secondo motivo di ricorso lamenta violazione della L. n. 230 del 1962, art. 3 e dell’art. 2697 c.c., nonchè omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione alla contestata sostituzione di personale assente per ferie;

violazione ed errata interpretazione dell’art. 416 c.p.c. e mancata allegazione della documentazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

In particolare rileva che la Corte territoriale aveva erroneamente asserito che essa appellante non avesse espressamente contestato la causale addotta al contratto a termine e non avesse provato che la sostituzione avesse riguardato altro personale, diverso da quello assente per ferie.

Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione alla L. n. 320 del 1962, artt. 1 e 3; violazione dei principio di legalità costituzionale e del diritto del lavoratore e dell’interprete di procedere al controllo di legalità tra la fattispecie astratta indicata nella clausola contrattuale e la fattispecie concreta oggetto di giudizio;

violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione alla L. n. 230 del 1962, art. 3; violazione dell’art. 1421 c.c. e dell’art. 2729 c.c. anche in relazione all’art. 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c.).

In particolare rileva che l’esistenza della c.d. “delega in bianco” in favore dei sindacati non esimeva la società datoriale dall’onere di provare che l’assunzione a termine del singolo lavoratore, giustificata con una della causali nuove introdotte nei CCNL, fosse stata effettivamente rispettosa sia del tipo contrattuale autorizzato sia del disposto generale della legge in tema di assunzioni a termine.

I suddetti motivi di ricorso, che il Collegio ritiene di dover trattare unitariamente in considerazione della stretta connessione esistente fra gli stessi, non sono fondati.

Innanzi tutto osserva il Collegio che l’assunto di parte ricorrente secondo cui la sostituzione di un lavoratore assente per ferie debba rispettare la prescrizione dell’obbligo di indicare il nome del lavoratore sostituito, è destituito di fondamento.

E’ pacifico che nel caso di specie il termine al contratto di lavoro è stato apposto con riferimento all’ipotesi di assunzione a tempo determinato prevista dall’art. 8 C.C.N.L. 26.11.1994: “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre”. Il contratto collettivo ha previsto quest’ipotesi di assunzione a termine ai sensi del disposto della L. n. 56 del 1987, art. 23.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 4588/2006, hanno affermato che la L. n. 56 del 1987, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. n. 230 del 1962, art. 1, e dal D.L n. 17 del 1983, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 79 del 1983 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge. A questi principi si è adeguata la successiva giurisprudenza di legittimità (vedi Cass. sez. lav., 2.3.2007 n. 4933).

Orbene, con riferimento a fattispecie simili a quella in esame questa Corte Suprema ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la necessità di uno specifico collegamento fra il singolo contratto e le esigenze aziendali e che aveva ritenuto altresì la sussistenza di un obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito; tale pronuncia, ad avviso della S.C., era infatti viziata da violazione di norme di diritto e da un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

In particolare, per quanto concerne il vizio di interpretazione della normativa collettiva è stato osservato che la statuizione del giudice del merito, nell’escludere che l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo potesse contemplare, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie, ha dimostrato una carenza di indagine sull’intenzione espressa dagli stipulanti; ed infatti il quadro legislativo di riferimento impone l’esame del significato delle espressioni usate dalle parti stipulanti, ed in particolare un’indagine sulle ragioni dell’uso di una formula diversa da quella della legge, priva di riferimenti alla sostituzione di dipendenti assenti, sostituita dalla precisazione del periodo per il quale l’autorizzazione è concessa (pur potendo le ferie essere fruite in periodi diversi), onde verificare se la necessità di espletamento del servizio faccia riferimento a circostanze oggetti ve, o esprima solo le ragioni che hanno indotto a prevedere questa ipotesi di assunzione a termine, nell’intento di considerarla sempre sussistente nel periodo stabilito, in correlazione dell’uso dell’espressione in concomitanza.

E sul punto questa Corte ha avuto modo a più riprese di evidenziare, confermando la decisione di merito che – decidendo su analoga fattispecie – aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie, che l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo dovesse essere interpretata nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Orbene, la sentenza impugnata non è incorsa nei vizi denunciati avendo fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati; la stessa deve essere pertanto confermata, con il rigetto del proposto ricorso.

Trattandosi di controversia concernente una problematica sulla quale questa Corte ha espresso un orientamento assolutamente consolidato, si ritiene conforme a giustizia applicare il criterio della soccombenza e per l’effetto la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 33,00, oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2011

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