Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12480 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/05/2021, (ud. 08/02/2021, dep. 12/05/2021), n.12480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27015/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

I.S., I.G., e STRATEGY Sas di I.S.,

tutti rappresentati e difesi, dall’avv. Fabio Pace e domiciliati ex

art. 366 cpv. c.p.c. presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione;

– controricorrenti –

nonchè nei confronti di:

EQUITALIA NORD SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 3203/11/2014, pubblicata in data 23 maggio 2014 e

depositata il 16 giugno 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 febbraio

2021 dal consigliere Dott. Giuseppe Saieva.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con distinti ricorsi proposti dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, I.S., I.G. e la Strategy S.n.c. di I.S. & C. impugnavano sei distinti avvisi di accertamento emessi per gli anni di imposta 2004 e 2005 dalle Direzioni Provinciali I e II di Milano, nei confronti della società per violazioni IVA, IRPEF ed IRAP, derivanti da fatture emesse per operazioni inesistenti e, nei confronti dei due soci, per le rispettive quote di partecipazione.

2. La C.T.P. accoglieva i ricorsi proposti dai contribuenti con decisione che la Commissione tributaria regionale della Lombardia confermava con sentenza n. 3203/11/2014, depositata il 16.6.2014, nella considerazione che i due soci erano stati assolti in sede penale dall’accusa di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti in relazione a prestazioni che risultavano regolarmente effettuate e pagate dalla Strategy s.n.c., mentre nessun elemento ulteriore era stato fornito dall’ufficio con riferimento a responsabilità elusive o fraudolente nei confronti degli stessi soci rispetto a quelli già valutati in sede penale.

3. Avverso tale decisione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui i contribuenti resistono con controricorso, mentre Equitalia Nord spa è rimasta intimata.

4. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio dell’8 febbraio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo l’Agenzia ricorrente deduce “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36; vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

1.2. Con il secondo motivo deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

1.3. Con i motivi anzidetti l’agenzia evidenzia come la sentenza impugnata sia in primo luogo viziata da difetto assoluto di motivazione, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 che impone al giudice tributario di chiarire nella sentenza i motivi di fatto e di diritto della decisione e comunque come la motivazione de qua sia in ogni caso del tutto carente dal punto di vista della congruità e della completezza. I giudici di appello non avrebbero inoltre tenuto conto dei principi di diritto in ordine alla ripartizione dell’onere della prova tra il contribuente e l’Ufficio in tema di deduzioni di costi e detrazioni di Iva scontata sugli acquisti, essendo principio consolidato quello secondo cui qualora l’Ufficio contesti l’esistenza oggettiva delle operazioni, l’Ufficio stesso ha innanzitutto l’onere di fornire elementi concreti, atti a porre in dubbio l’esistenza delle operazioni, non potendo limitarsi ad una contestazione generica; ma, assolto dall’Ufficio questo onere preliminare, si trasferisce sul contribuente l’onere di provare in modo specifico l’esistenza delle operazioni in termini di “certezza”, cioè di effettiva esistenza delle operazioni; e ciò in applicazione del principio generale dell’onere della prova, secondo cui i fatti costitutivi di un diritto debbono essere provati da chi lo fa valere (art. 2697 c.c.).

2. Dette censure, suscettibili di trattazione congiunta, appaiono fondate e meritano accoglimento.

2.1. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte l’Amministrazione finanziaria, ove contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, ha l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Più in particolare, la dimostrazione a carico dell’amministrazione è raggiunta qualora siano forniti validi elementi – che, alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi – per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino “in modo certo e diretto” la “inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati” ovvero la “inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione”. Nell’ordinamento tributario, infatti, gli elementi indiziari, ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni semplici le quali, proprio a mente degli univoci precetti dettati dal D.P.R. n. 600 del 1973, citat art. 39 e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 sono idonee, di per sè sole considerate, a fondare il convincimento del giudice. Assolto in tal guisa l’onere della prova incombente sull’Amministrazione, grava poi sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate (sulla distribuzione dell’onere probatorio in fattispecie di operazioni oggettivamente inesistenti, cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 5, 19/12/2019, n. 33915; Cass. Sez. 5, 19/10/2018, n. 26453; Cass. Sez. 5, 05/07/2018, n. 17619; Cass. Sez. 6, 15/05/2018, n. 11873; Cass. Sez. 6, 14/09/2016, n. 18118; Cass. Sez. 5, 14/01/2015, n. 428; Cass. Sez. 5, 05/12/2014, n. 25775; Cass. Sez. 5, 06/06/2012, n. 9108). Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697 c.c., comma 2, (cfr., sul punto, Cass. Sez. 6-5, 07/06/2017, n. 14237; Cass. Sez. 5, 23/04/2010, n. 9784).

2.2. Del descritto percorso argomentativo, da seguirsi in giudizi come quello ora sottoposto all’esame di questa Corte, non si riscontra traccia alcuna nella sentenza impugnata. La C.T.R. si è infatti limitata a confermare la decisione dei giudici di primo grado ritenendo insussistente qualsiasi prova “della conoscenza da parte degli appellati di quanto realizzato in concreto dalla Target Group Comunication essendo incontestato che le prestazione da questa fatturate alla Strategy erano state regolarmente pagate ed effettuate” e, inoltre, “che nessun elemento ulteriore è stato qui fornito dall’ufficio con riferimento a responsabilità elusive o fraudolente nei confronti degli appellati rispetto a quelli valutati in sede penale”.

2.3. Si tratta, in tutta evidenza, di una sorta di motivazione per relationem, che si esaurisce cioè in un rinvio adesivo alla decisione di prime grado, della quale non viene riportato (nemmeno in minima parte) l’iter logico-argomentativo; ciò in aperto contrasto con l’insegnamento consolidato di questa Corte, secondo cui la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame è legittima unicamente se e in quanto il giudice d’appello, facendo propri gli argomenti del primo giudice, esprima, sia pure in modo conciso, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo appagante e concreto. All’inverso, deve essere cassata la sentenza d’appello allorquando – come nella specie – la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta di ritenere che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice di appello sia pervenuto attraverso la disamina e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive e degli elementi di prova addotti (sulla motivazione per relationem, vedi, ex plurimis, Cass. Sez. 5, 23/07/2020, n. 15757; Cass. Sez. 1, 05/08/2019, n. 20883; Cass. Sez. L, 05/11/2018, n. 28139; Cass. Sez. 5, 05/10/2018, n. 24452; Cass. Sez. 6, 21/09/2017, n. 22022; Cass. Sez. 5, 06/05/2015, n. 9068).

2.4. In sostanza, nel caso de quo, era necessario che, sia pur sinteticamente, la C.T.R. fornisse una risposta alle censure formulate, nell’atto di appello, dall’Agenzia soccombente, concernenti la idoneità degli elementi addotti a provare l’inesistenza delle operazioni, potendo risultare solo per questa via appagante ed effettivo il percorso argomentativo eventualmente desumibile attraverso l’integrazione della parte motiva delle sentenze di primo e secondo grado. L’esame dei motivi di appello risulta, per contro, del tutto inesistente, talchè le mere asserzioni di adesione alla decisione di primo grado, del tutto acritiche, svincolate dal contenuto del gravame, indefinite ed in definitiva insignificanti, siccome astrattamente idonee ad attagliarsi a qualsiasi altra ipotesi, con l’effetto di rendere la motivazione espressa puramente figurativa e sostanzialmente apparente.

3. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice a quo, in diversa composizione, cui è altresì demandata la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

 

 

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