Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12475 del 24/06/2020

Cassazione civile sez. un., 24/06/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 24/06/2020), n.12475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 248/2019 proposto da:

P.V., P.B., P.R.,

P.A., P.D., PA.AN., P.F.,

in proprio e nella qualità di eredi legittimi di D.P.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LAZIO 20/C, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO PIGNATIELLO, rappresentati e difesi dagli

avvocati CAMILLO PADULA e FRANCESCO VERGARA;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI AFRAGOLA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ROSA BALSAMO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2980/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 17/05/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

lette le conclusioni scritte dell’Avvocato Generale Dott. LUIGI

SALVATO, il quale chiede che la Corte dichiari il ricorso

inammissibile.

Fatto

RILEVATO

che:

il Consiglio di Stato confermò la sentenza del Tar della Campania con la quale era stato rigettato il ricorso proposto da D.P.M., cui erano succeduti gli odierni ricorrenti, avente ad oggetto tre provvedimenti con i quali il Comune di Afragola aveva respinto altrettante domande di condono edilizio ai sensi della L. n. 326 del 2003, relative a manufatti abusivi;

a fondamento della decisione il collegio rilevò che le opere per le quali era stata richiesta la sanatoria non erano condonabili, in ragione dell’accertata natura di nuova costruzione non residenziale delle medesime (D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, conv. nella L. 24 novembre 2003, n. 326), con la conseguenza che nessuna utilità poteva essere conseguita dall’accoglimento del ricorso “dal momento che l’annullamento degli impugnati dinieghi non potrebbe mai condurre al riconoscimento dell’invocata sanatoria”;

avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i ricorrenti in epigrafe sulla base di unico motivo;

il Comune ha resistito con controricorso;

la Procura Generale ha depositato conclusioni scritte facendo istanza per l’inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con unico motivo i ricorrenti denunciano “eccesso di potere giurisdizionale violazione dei limiti esterni della giurisdizione”, deducendo che erroneamente il Tar e il Consiglio di Stato avrebbero ritenuto insussistente l’interesse all’impugnazione sul rilievo della natura di nuova costruzione non residenziale delle opere, comunque impeditiva del riconoscimento dell’invocata sanatoria, in tal modo disattendendo l’art. 100 c.p.c. e i principi in tema di interesse ad agire quale condizione dell’azione ed effettuando un vaglio a tutto campo delle istanze di condono in sostituzione dell’amministrazione, la quale aveva abbandonato la motivazione del diniego fondata sul carattere non residenziale delle opere, come poteva evincersi dal tenore dei provvedimenti impugnati;

va premesso che, come chiarito da Corte Cost. n. 6 del 2018, “il sindacato della Corte di Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per “invasione” o “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per “arretramento” rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonchè le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell’attribuzione”, con esclusione della sindacabilità di vizi di interpretazione di norme relative alle forme di tutela nelle quali la giurisdizione si estrinseca, anche nei casi di asserita interpretazione abnorme o anomala delle norme di riferimento (Cass. 25 marzo 2019 n. 8311);

ne discende l’inammissibilità del ricorso, il quale prospetta errores in iudicando e in procedendo che, per quanto premesso, sono sottratti al sindacato di legittimità, ravvisabile anche in relazione al tipo di decisione in concreto emessa dal Consiglio di Stato – confermativa, in adesione alla sentenza del giudice di primo grado, del provvedimento impugnato rispetto alla quale non è ipotizzabile uno sconfinamento nella sfera del merito e, quindi, della discrezionalità e opportunità dell’azione amministrativa (S.U. n. 7207 del 13/03/2019);

sul giudizio di inammissibilità del motivo non incide, poi, la circostanza che gli errori denunciati possano aver dato luogo a una pronuncia di inammissibilità della domanda per applicazione di norme processuali ritenute ostative al suo esame, poichè la mancanza dell’interesse ad agire, rilevata dal giudice amministrativo a fondamento della pronuncia di rigetto, attiene ai vizi dei requisiti intrinseci alla domanda e rientra, pertanto, nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione (Cass. 14 gennaio 2015 n. 475, Cass. 20 marzo 2019);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

le spese del giudizio sono liquidate secondo soccombenza;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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