Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12473 del 18/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 18/05/2017, (ud. 20/12/2016, dep.18/05/2017),  n. 12473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 586/2015 proposto da:

IRIS D.B. COSTRUZIONI SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore sig. D.B.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ACCINNI 63, presso lo studio dell’avvocato

ACHILLE CARONE FABIANI, rappresentata e difesa dagli avvocati

VALERIA SACCUTI, ANGELO LANCIONE, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, V. CAVERNI

RAFFAELE 6, presso lo studio dell’avvocato ANNAMARIA SANTINI, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1061/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 16/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2016 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;

udito l’Avvocato ACHILLE CARONI FABIANI per delega;

udito l’Avvocato ANNAMARIA SANTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 16 ottobre 2014, per quello che qui ancora interessa, ha confermato il rigetto della domanda di pagamento del maggior danno ex art. 1591 c.c., proposta dalla S.r.l. Iris D.B. Costruzioni nei confronti del conduttore D.M.L..

Avverso d atta sentenza propone ricorso la società Iris con tre motivi.

Resiste con controricorso D.M.L..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Iris ha dedotto di essere stata inizialmente nuda proprietaria dell’immobile condotto in locazione dal D.M. e che, alla morte dell’usufruttuario in data (OMISSIS), era divenuta piena proprietaria dello stesso; che il conduttore, scaduto il contratto di locazione in data 29 settembre 2003, aveva illegittimamente mantenuto la disponibilità dello stesso fino ai 31-5-2007 pagando il canone nella misura convenuta con l’usufruttuario ed irrisoria di Euro 600.000 mensili; che invece il canone di mercato dell’immobile,come accertato dal c.t.u. in corso di causa e come ammesso dallo stesso conduttore, che aveva parametrato la richiesta di indennità di avviamento al canone di mercato, era di Euro 1.700,00 mensili.

Di conseguenza la Iris ha chiesto il pagamento della differenza fra il canone corrisposto dal conduttore, di Euro 600,00 mensili, e quello valutato di mercato dal c.t.u., di Euro 1.700,00 per tutto il tempo della durata del illegittima occupazione.

2.La Corte d’appello ha confermato il rigetto di tale domanda sul rilievo che la nuda proprietaria Iris, divenuta piena proprietaria in data (OMISSIS) e considerato che il contratto di locazione concluso dall’usufruttuario durava fino al (OMISSIS), non aveva mai chiesto per tutto questo periodo un aumento del canone, come sarebbe stato suo diritto, solo comunicando al conduttore di voler porre fine al contratto alla scadenza.

La Corte di merito ha concluso che la locatrice Iris non poteva rivendicare per il periodo che andava dalla scadenza del contratto all’effettivo rilascio un importo maggiore di quello convenuto originariamente, seppure tra altre parti, atteso che quand’era subentrata al contratto aveva solo a manifestato l’intenzione di non rispettare la clausola di durata, ma non anche di chiedere un canone maggiore e ragguagliato al valore di mercato.

Ne conseguiva, secondo la Corte, che l’indennità di occupazione non avrebbe potuto che essere parametrata a quel canone tacitamente accettato dalla Iris, essendo l’obbligo di risarcire maggior danno subordinato alla prova dello stesso, altrimenti dovendo erogare il conduttore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna.

3. Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt 1571, 1599 e 999 c.c.. Inesistenza in capo al nudo proprietario del diritto di chiedere, dopo la morte dell’usufruttuario e sino alla scadenza del contratto di locazione, un aumento del canone corrisposto dal conduttore ragguagliato al canone corrente di mercato. Inconfigurabilità di un’accettazione tacita del canone corrisposto

4.Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 1591 c.c.. Inapplicabilità delle disposizioni dell’art. 1591 c.c., al contratto stipulato dall’usufruttuario ai fini del risarcimento del danno. Riconoscimento del danno e sua quantificazione secondo le regole generali.

5. I due motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico giuridica che li lega e sono infondati e sono infondati.

La motivazione della Corte d’appello, che dà rilievo ai fini della rigetto della domanda di maggior danno ex art. 1591 c.c., alla mancata richiesta di aumento del canone da parte del nudo proprietario alla morte dell’usufruttuario,è erroneamente motivata in diritto, ma la decisione è invece conforme al diritto. Di conseguenza questa Corte può correggere la motivazione sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

6. Si osserva che la circostanza che il contratto di locazione è stato stipulato dall’usufruttuario è del tutto irrilevante, perchè al momento del consolidamento del diritto di proprietà, il nudo proprietario subentra nel contratto di locazione così come stipulato dall’usufruttuario.

Infatti durante l’usufrutto è proprio l’usufruttuario che ha la disponibilità dell’immobile e che ne gode i frutti ed è legittimato a compiere tutti gli atti idonei al miglior sfruttamento economico dell’immobile.

Il nudo proprietario, divenuto pieno proprietario, subentra nel contratto di locazione dovendone rispettare le scadenze e di regime giuridico.

7. In ordine al maggior danno ex art. 1591 c.c., la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta secondo la giurisprudenza di questa Corte: in materia di danni per ritardata restituzione ex art. 1591 c.c., trattandosi di responsabilità del conduttore di natura contrattuale, il danno deve essere rigorosamente provato nella sua esistenza e nel suo preciso ammontare dal locatore; a tal fine è utilizzabile qualsiasi mezzo di prova, comprese le presunzioni, le quali non solo devono essere gravi precise e concordanti, ma debbono essere anche idonee a provare in concreto il danno del locatore, non essendo sufficiente invocarle in astratto, al solo scopo di provare un maggior canone di mercato. Cass., sentenza n. 8071 del 31/03/2007.

In tema di responsabilità del conduttore per il ritardato rilascio di immobile locato, il maggior danno, di cui all’art. 1591 c.c., deve essere provato in concreto dal locatore secondo le regole ordinarie, e, quindi, anche mediante presunzioni, tenendo presente che la carenza di specifiche proposte di locazione relative all’immobile è obiettivamente giustificabile proprio alla luce della persistente occupazione del bene da parte del conduttore successivamente alla scadenza del rapporto. Cass., Sentenza n. 1372 de/31/01/2012.

Di conseguenza il rigetto della domanda deve fondarsi sulla mancata prova del maggior danno, rispetto al canone convenuto, come giustamente affermato dal primo giudice.

8.Con il terzo motivo si denunzia omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti: l’esistenza del maggior danno sulla scorta delle circostanze di fatto acquisite al giudizio – omessa valutazione e considerazione ex art. 360 c.p.c..

Il motivo è inammissibile in quanto non formulato alla luce del nuovo modello legale di vizio di motivazione applicabile al giudizio di cassazione in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2017

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