Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12472 del 18/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 18/05/2017, (ud. 20/12/2016, dep.18/05/2017),  n. 12472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6803-2014 proposto da:

R.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IPPOLITO NIEVO

61, presso lo studio dell’avvocato MARIA GRAZIA PICCIANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO MOSCATO giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 710/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 07/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2016 dal Consigliere Dott. ARMANO ULIANA;

udito l’Avvocato MARIA GRAZIA PICCIANO per delega non scritta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

R.R. propone ricorso con tre motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, pubblicata il 7 settembre 2013, con la quale, a modifica della decisione di primo grado, è stata riconosciuta in favore del conduttore P.S. la somma di Euro 9.720,00, pari a 36 mensilità dell’ultimo canone di locazione, per non aver la locatrice R.R. adibito l’immobile all’uso indicato nel diniego di rinnovo alla prima scadenza inviato al conduttore. L’intimato non si è difeso.

La ricorrente ha depositato successiva memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’inversione dell’onere della prova effettuato dalla Corte d’appello circa la destinazione d’uso dell’immobile.

Si sostiene che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che la signora R. non aveva fornito la prova dell’avvenuta apertura dello studio medico come indicato nella disdetta.

2. Il motivo è infondato.

Si osserva che la Corte di appello ha ritenuto non che non fosse stato provato, ma al contrario che era stata raggiunta la prova positiva,sulla base dell’istruttoria svolta, che nella palazzina in questione non era stato aperto alcuno studio medico entro un anno dalla riconsegna dell’immobile da parte del conduttore.

Inoltre secondo costante giurisprudenza di legittimità Le sanzioni alternative di ripristino della locazione o di risarcimento del danno previste dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 31, a carico del locatore che abbia ottenuto la disponibilità anticipata dell’immobile per una finalità non più realizzata (nella specie, per adibirlo ad abitazione di familiari), hanno fondamento contrattuale, sicchè incombe sul locatore l’onere di provare di avere adempiuto all’obbligo corrispondente, ovvero di non aver potuto adempiere per cause ostative a lui non imputabili, ai sensi degli artt. 1218 e 2697 c.c.. Cass. sentenza n. 23794 del 07/11/2014.

3. Con il secondo motivo si denunzia violazione o falsa applicazione della normativa di legge (Testo unico leggi sanitarie) relativa alle modalità di apertura di uno studio medico.

4. Il motivo è inammissibile.

Infatti la censura non è congruente con la motivazione, ma appare in realtà contestare i requisiti necessari per l’emissione dell’ordine di esibizione ex art 210 c.p.c., pronunziato dalla Corte d’appello, questione del tutto nuova che non risulta proposta nel giudizio di appello.

5. Con il terzo motivo si denunzia contraddittoria motivazione circa l’interpretazione di una prova testimoniale decisiva per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5.

6. Il motivo è inammissibile.

Infatti, in considerazione della data di pubblicazione della sentenza,al ricorso si applica la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014.

La denunzia effettuata dalla ricorrente non corrisponde al modello di vizio di motivazione oggi ammissibile in cassazione, in quanto la censura richiede una nuova rivalutazione di merito.

Nulla spese stante l’assenza dell’intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2017

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