Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12472 del 16/06/2016


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Cassazione civile sez. II, 16/06/2016, (ud. 21/04/2016, dep. 16/06/2016), n.12472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

M.O., (OMISSIS), F.A.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE

MEDAGLIE D’ORO 48, presso lo studio dell’avvocato GIULIO

MASTROIANNI, che li rappreseneta e difende unitamente all’avvocato

MARIO CIOFFI;

– ricorrenti –

contro

D.C.D., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CHIANA 48, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

ALEANDRI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANPIERO QUADRINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 526/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato; GIULIO MASTROIANNI, difensore dei ricorrenti, che

ha chiesto di riportarsi ed ha insistito sull’accoglimento del

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – M.O. e F.A.M., nella qualità di comproprietari di un appartamento posto al primo piano di un edificio sito nel comune di (OMISSIS) convennero in giudizio D. C.D., proprietaria del piano terra del medesimo edificio, chiedendo che venisse accertata e dichiarata, ai sensi dell’art. 1117 c.c., la comproprietà della corte esistente nell’edificio e che la convenuta fosse condannata a cessare gli atti di impedimento e di molestia all’esercizio del loro diritto di comproprietà sulla corte stessa.

La convenuta resistette alla domanda, chiedendone il rigetto; chiamò in causa D.C.F. e T.R., i quali – con atto del 3.3.2000 – avevano venduto agli attori l’appartamento di cui essi erano proprietari, dopo averlo acquistato – con atto del 9.8.1997 –

da essa convenuta.

Il Tribunale di Cassino (Sezione distaccata di Sora) rigettò le domande attoree.

2. – Sul gravame proposto in via principale dagli attori e in via incidentale dalla convenuta, la Corte di Appello di Roma confermò la pronuncia di primo grado. Secondo i giudici di appello, l’analitica descrizione dei titoli prodotti e l’indicazione, in essi contenuta, dei confini del bene venduto con la restante proprietà della originaria venditrice deponevano in maniera univoca nel senso che agli attori era stato venduto solo l’appartamento posto al primo piano, e non anche la comproprietà della corte, e che su tale corte era stata costituita una servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia a favore dell’appartamento attoreo.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono M. O. e F.A.M. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso D.C.D..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1117 c.c. e dell’art. 1362 c.c. e ss., nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte di Appello ritenuto la proprietà esclusiva della Corte in capo alla convenuta, omettendo di considerare il contenuto degli atti di compravendita dai quali deriva il titolo di proprietà degli attori.

In particolare, si deduce che la Corte territoriale avrebbe ritenuto superata la presunzione legale di comproprietà della corte prevista dall’art. 1117 c.c. in totale disapplicazione di corretti canoni normativi ed ermeneutici e in contrasto col contenuto dei titoli di provenienza.

La censura è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella – asseritamente erronea – compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Sez. 2, Sentenza n. 7825 del 04/04/2006, Rv. 590121; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1926 del 03/02/2015, Rv. 634266).

Nella specie, perciò, i ricorrenti avrebbe dovuto trascrivere nel ricorso il contenuto dei vari atti di compravendita da cui proveniva il titolo di proprietà degli attori, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei vizi di legittimità denunciati col motivo in esame.

Non avendo i ricorrenti assolto tale onere, la censura risulta inammissibile.

2. – Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 817 e 818 c.c., nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale escluso il vincolo pertinenziale tra immobile principale ed accessorio. Si sostiene che il cortile de quo, pur non essendo esplicitamente citato negli atti notarili del 1997 e del 2000, doveva ritenersi trasferito unitamente al bene principale cui accede, in mancanza di una esplicita manifestazione di volontà – da parte della venditrice (la D.C.D.) o dai successivi venditori – nel senso della cessazione del vincolo pertinenziale e/o della riserva di proprietà esclusiva.

Il motivo è inammissibile, perchè contiene una censura nuova, non dedotta in appello, come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata (v. sintesi dei motivi di appello a p. 3-4), che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto.

3. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 1.200,00 (milleduecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Si dà atto che il procedimento è stato scrutinato con la collaborazione dell’Assistente di studio dott. Ma.Gi..

1Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2016

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