Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12470 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/05/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 12/05/2021), n.12470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4784-2016 proposto da:

G.C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza

Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentata

e difesa dall’avvocato CLAUDIO GRASSI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE ROMA, – AGENZIA DELLE

ENTRATE in persona del Direttore pro 335 tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3128/2015 della COMM.TRIB.REG. SICILIA

SEZ.DIST. di CATANIA, depositata il 14/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/01/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO MONDINI.

 

Fatto

PREMESSO

che:

1. la CTR della Sicilia, con la sentenza in epigrafe, ha ritenuto legittimo l’avviso di rettifica e liquidazione di maggior imposta di registro su atto di cessione di ramo di azienda da G.C.A. alla srl Sunshine, basato sulla rideterminazione dell’avviamento secondo i criteri di cui al D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2 e sul disconoscimento di alcune passività in quanto non risultanti dalle scritture contabili. In particolare, la CTR ha affermato che, al contrario di quanto eccepito dalla G.C., l’Agenzia legittimamente si era avvalsa del D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2 e che nessun rilievo poteva annettersi alla documentazione prodotta dalla contribuente per dimostrare l’effettiva esistenza delle passività aziendali, trattandosi di documentazione che, in parte era stata prodotta in copia, priva di data certa, e di cui l’ufficio aveva contestato la conformità all’originale, in parte – segnatamente la “lettera inviata alla Benetton Group spa di autorizzazione alla cessione di crediti dalla stessa vantati nei confronti della venditrice e ceduti alla società acquirente” – non opponibile all’ufficio in quanto “priva di firma autentica”;

3.la sentenza è impugnata dalla contribuente sulla base di tre motivi;

4.l’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. i primi due motivi di ricorso sono inammissibili. L’uno è così rubricato: “violazione falsa applicazione di norme di diritto e/o erronea applicazione di norme giuridiche sostanziali riguardanti la falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43 e art. 51, comma 4 in combinato disposto con l’art. 2560 c.c.”. Nel corpo del motivo viene detto che la CTR avrebbe omesso di valutare il bilancio di cessione non contestato dall’ufficio laddove figuravano le passività e si sarebbe limitata ad esaminare soltanto una specifica nota di cessione di crediti prodotta in fotocopia e irrilevante ai fini della valutazione delle passività”. L’altro è così rubricato: “Error in procedendo per omessa, insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c. a1, n. 3 su un pinto di fatto decisivo per il giudizio e cioè erroneo calcolo avviamento D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 4) e falsa applicazione D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 49”. Nel corpo del motivo viene detto che la CTR si sarebbe “limitata a confermare apoditticamente l’operato dell’ufficio”. I motivi di ricorso per cassazione devono essere formulati in modo da consentire l’individuazione delle censure sollevate contro la sentenza impugnata e la loro riconduzione a uno dei mezzi d’impugnazione previsti (art. 366 c.p.c.). Il che, nel caso di specie, non è consentito: non è possibile individuare nei due motivi in esame specifiche doglianze riferibili al contenuto della sentenza (riportato al punto 1 delle superiori premesse);

3. il terzo motivo di ricorso, con cui viene lamentata la “violazione del D.P.R. n. 460 del 1996, art. 4” – rectius: del D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2 – per avere la CTR ritenuto la norma applicabile malgrado che non vi fosse stata “alcuna adesione all’accertamento”, è infondato. Il D.P.R. n. 460 del 1996, recante “Regolamento per l’attuazione delle disposizioni previste in materia di accertamento con adesione, con riferimento alle imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria, catastale e comunale sull’incremento di valore degli immobili”, era stato emanato in attuazione del D.L. n. 564 del 1994, art. 2 ter, comma 2, convertito con L. n. 656 del 1994 (“Con regolamento da emanare ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le disposizioni necessarie per la determinazione delle modalità dell’accertamento con adesione basate su parametri oggettivi, ovvero, in mancanza di questi, su indagini sui valori medi di mercato nelle varie aree geografiche, con specifiche distinzioni per zone aventi caratteristiche similari, nonchè su studi idonei a realizzare la massima trasparenza e aderenza alla realtà economica dei valori oggetto della rettifica”). Il D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 4, prevedeva: “Per le aziende e per i diritti reali su di esse il valore di avviamento è determinato sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore o, in difetto, sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, moltiplicata per 3. La percentuale di redditività non può essere inferiore al rapporto tra il reddito d’impresa e i ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle stesse imposte e nel medesimo periodo. Il moltiplicatore è ridotto a 2 nel caso in cui emergano elementi validamente documentati e, comunque, nel caso in cui ricorra almeno una delle seguenti situazioni: a) l’attività sia stata iniziata entro i tre periodi d’imposta precedenti a quello in cui è intervenuto il trasferimento; b) l’attività non sia stata esercitata, nell’ultimo periodo precedente a quello in cui è intervenuto il trasferimento, per almeno la metà del normale periodo di svolgimento della attività’ stessa; c) la durata residua del contratto di locazione dei locali, nei quali èsvolta l’attività, sia inferiore a dodici mesi”. Il D.L. n. 546, art. 2 ter è stato soppresso dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 17. E’ di conseguenza caduto anche il D.P.R. n. 460 del 1996, segnatamente, per quanto interessa, art. 2, comma 4. Tuttavia, come la Corte ha già avuto modo di precisare, “In tema di imposta di registro, ai fini della determinazione del valore dell’avviamento dell’azienda, i criteri di cui al D.P.R. n. 460 del 1996 possono essere utilizzati nonostante l’abrogazione di tale decreto da parte del D.Lgs. n. 218 del 1997, atteso che lo stesso non ha previsto un metodo alternativo di determinazione di tale valore, ferma la possibilità per il contribuente di dimostrare un valore inferiore dell’avviamento aziendale rispetto a quello accertato.” (Cass. 7750/2019). Con questa precisazione è sconfessata la tesi della contribuente secondo cui i criteri suddetti potrebbero trovare applicazione solo nell’ambito di una procedura di accertamento con adesione. In realtà l’ufficio può impiegare i criteri in questione ai fini del calcolo del valore dell’avviamento commerciale quale parte del corrispettivo di cessione d’azienda, per la determinazione della base imponibile dell’imposta di registro, in base al generale disposto del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51;

4. il ricorso deve essere rigettato;

5.le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1500,00, oltre spese prenotate a debito;

ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, a norma dello stesso articolo, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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