Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1247 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. I, 21/01/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1247

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14757/2019 proposto da:

B.S., difeso dall’avv. Mario Novelli, domiciliato presso la I

sezione civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 13/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona, con decreto depositato in data 28.03.2019, ha rigettato la domanda di B.S., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero in capo al ricorrente i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo riconducibili i fatti narrati agli atti persecutori previsti dalla Convenzione di Ginevra (il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dal Bangladesh per le persecuzioni subite dagli abitanti del suo villaggio, in quanto orfano).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel suo paese di provenienza.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione B.S. affidandolo a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente in giudizio ai soli fini di un’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale, nel ritenere non fondato il rischio di danno grave in caso di rientro nel paese d’origine, non ha osservato i criteri legali nella valutazione della credibilità delle sue dichiarazioni, ritenendo sbrigativamente il suo racconto generico e non attendibile e rendendo una motivazione apparente ed apodittica.

Inoltre, è stata omessa ogni valutazione sulla situazione generale del Bangladesh.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Lamenta il ricorrente che il giudice di primo grado ha sottovalutato la sua vicenda, non tenendo conto che i report consultati riferiscono di una polizia altamente inefficiente, con conseguente sussistenza del rischio di danno “grave” dallo stesso paventato.

Si duole, inoltre, il ricorrente che non è stata considerata la situazione del paese di transito, essendo emigrato in Libia nel luglio 2016 per cercare un lavoro stabile e mantenere la sua famiglia, essendo stato costretto a partire a causa della guerra e della violenza indiscriminata.

3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Lamenta il ricorrente che l’esame della situazione del Bangladesh e di quello di transito non è stato effettuato o comunque in modo sufficientemente adeguato, omettendo la consultazione di informazioni precise e adeguate.

4. I primi tre motivi, da esaminare unitariamente, avendo ad oggetto questioni connesse, presentano profili di infondatezza ed inammissibilità.

In primo luogo, il ricorrente non ha colto la ratio decidendi del decreto impugnato relativamente al punto censurato nella prima parte del primo motivo. In particolare, il Tribunale non ha affatto ritenuto inattendibile il suo racconto, ma solo che si trattava di vicenda privata e di giustizia comune, con la conseguenza che il ricorrente avrebbe dovuto richiedere la protezione del suo Paese e attenderne l’esito.

Inoltre, il giudice di merito – a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente – ha effettivamente consultato report internazionali aggiornati (Amnesty International e Freedom House del 2018), alla luce dei quali ha ritenuto il sistema giudiziario bengalese efficiente, con l’unica eccezione (non sussistente nel caso di specie) delle vicende in cui sono coinvolti i politici.

L’esposto accertamento del Tribunale di Ancona costituisce una valutazione di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064), con la conseguenza che le censure del ricorrente si appalesano come di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di merito.

Va, inoltre, osservato che, in ragione della brevità della permanenza (meno di un anno tra il luglio 2016 ed il giugno 2017), non può neppure ritenersi significativo il soggiorno del richiedente nel paese di transito (Libia).

In proposito, questa Corte ha già statuito che, in tema di protezione umanitaria, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, impone al giudice del merito di valutare la domanda alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine del richiedente e “ove occorra” nel Paese in cui è transitato, allorchè l’esperienza vissuta in quest’ultimo presenti un certo grado di significatività in relazione ad indici specifici quali la durata in concreto del soggiorno, in comparazione con il tempo trascorso nel paese di origine. (Cass. n. 13758 del 03/07/2020).

Peraltro, il ricorrente non ha neppure dedotto di aver subito nel Paese di transito, e di temporanea permanenza, violenze potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass. n. 13565 del 02/07/2020).

6. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Evidenzia il ricorrente di essere meritevole della protezione umanitaria in ragione della grave situazione socio-politica nel Bangladesh, della sua vicenda personale e in virtù del suo percorso di integrazione sociale.

7. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità del richiedente, dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente, non ha minimamente correlato la dedotta esistenza di una situazione di insicurezza alla propria condizione personale, se non con riferimento alla vicenda delle angherie subite dagli abitanti del suo villaggio, in relazione alla quale, tuttavia, il Tribunale di Ancona ha coerentemente osservato che si trattava di una questione di giustizia comune per la quale il richiedente avrebbe dovuto chiedere protezione ed attenderne l’esito.

Inoltre, il ricorrente ha svolto mere censure di merito alla precisa affermazione del Tribunale di Ancona secondo cui lo stesso sarebbe comunque in grado, in caso di rimpatrio, di soddisfare i bisogni e le ineludibili esigenze di vita personale.

Infine, il richiedente si duole che non si è tenuto conto del suo percorso di integrazione, non considerando che tale elemento, secondo il costante insegnamento di questa Corte, può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, in ragione dell’inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero dell’Interno.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

 

 

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